Un giorno forse capiremo perché non esiste un’efficace formula segreta per creare una canzone con una propria vera stabilità, un’autentica notorietà, un suo pubblico fedele capace di spingerla in alto da quando esce finché la carriera, o la vena artistica, di chi l’ha creata non si esaurisce.
Se ci pensate, infatti, tolta una manciata di evergreen, e neanche tutti gli evergreen, gran parte delle canzoni che amiamo, abbiamo amato o ameremo sono destinate, già dal momento della loro creazione, ai soliti implacabili percorsi vitali. Il successo immediato, quello faraonico, totale e totalizzante che, in una sorta di legge del contrappasso, finisce in una manciata di settimane (o di mesi al massimo) per dar spazio a un altro successo immediato, faraonico, in apparenza totale e totalizzante. Per poi finire, sia nel primo che nel secondo caso, così come gli altri prima e dopo, in una sorta di bolla (di “Ti ricordi quelli?” e “Ti ricordi quella canzone là?”) che, fate attenzione, non è propria soltanto dei cosiddetti tormentoni o dei one-hit-wonder ma di gran parte delle canzoni. Comprese quelle che consideriamo dei capisaldi della storia della musica. Basti citare il tale che chiede su Yahoo! il titolo della canzone che fa “Sciura scero sciura go”. Si parla dei Clash, signori miei, non di Despacito.
La seconda via è quella del sottobosco. Brani che fin dal principio non si calcola nessuno, tranne quelli che li hanno composti. In sede di recensione vengono chiamati riempitivi – o filler, che poi è lo stesso – e il loro titolo non è detto che venga scritto. Sono una caterva e sono quelli che ascoltano i fan, contribuendo ai litigi da retrobottega, eccessi critici ed esagerati complimenti, ponendo freno alla fama del brano stesso che rimane materia oscura per il grande pubblico. Nella migliore delle ipotesi, questo genere di canzoni sono ripescate ai concerti, creando sguardi turbati e urla di giubilo in egual misura.
Infine esiste una terza porzione di cielo, dove le carte si mischiano. Parliamo di quelle canzoni destinate alla base che, solo in seconda chance, scavalcano la barriera tra l’insuccesso (o successo di nicchia) e il successo di massa grazie ai più disparati motivi. Quali? È storia recentissima di una canzone del 1994, Over Your Shoulders dei Dinosaur Jr, che ha raggiunto 8 milioni di visualizzazioni, tutte in Giappone, ed è entrata ai piani alti di tutte le classifiche giapponesi, battendo anche Ariana Grande. Senza essere mai stato un singolo, o venire ristampata. Ecco, questo è uno dei motivi più vecchi di sempre, ragione per cui molti artisti cercano di sfondare nel Sol Levante: 130 milioni di potenziali ascoltatori non sono cosa da sottovalutare.
Ma ci sono motivi meno apprezzabili. Mentre scrivo ho in mente One More Light dei Linkin Park. Nata per dare il titolo al loro settimo disco in memoria di un’amica morta di cancro, non doveva essere nemmeno un singolo (“Rappresenta il cuore segreto dell’album”, nelle parole di Shinoda). Morto invece suicida Chester Bennington muta (“Per volere dei fan”, sempre secondo Shinoda) in una sorta di traccia commemorativa, diventando un video postumo da 125 milioni di visualizzazioni.
Ecco, per quel che mi riguarda, le morti più o meno premature rappresentano un motivo alquanto triste per portare in gloria un singolo brano o l’artista che lo ha composto (o solo cantato). Motivo per cui non troverete traccia di questa motivazione. Non mi piace, trovo sia paradossale che uno debba tirare le cuoia per essere notato (e trovo surreale che una canzone nata per commemorare un lutto sia usata per celebrarne un altro: da quando una morte vale l’altra?). E se fate parte del club dei mitomani forse un po’ dovreste riflettere su questa semplice considerazione.
Allo stesso modo, non troverete cover. Love Buzz rifatta dai Nirvana è “Love Buzz dei Nirvana”; che originariamente sia stata degli Shocking Blue è tutt’al più un merito artistico degli autori e una sfiziosa curiosità per i più interessati ma, dal numero delle t-shirt in giro dei Nirvana confrontato con quelle degli Shocking Blue, si potrebbe parlare di successo dei secondi solo in un futuro distopico. I restanti motivi dovrebbero essere, credo, tutti qua sotto.
10Dropkick Murphys – Shipping Up To Boston
Ovvero grazie al cinema. Come per Lovefool dei Cardigans grazie a Romeo + Giulietta o The Killing Moon degli Echo and the Bunnymen con Donnie Darko. Ma qui si parla di quando nel 2005 i Dropkick fecero uscire The Warrior’s Code, e decisero di inserire una traccia dell’anno prima, contenuta in Give ‘Em the Boot della Hellcat Records. Quella compilation non ha venduto granché e i bostoniani decidono di riproporre la traccia per i fan più distratti. Per oltre un anno ancora, il brano non sfiora neanche i primi 100 posti delle classifiche. Poi, nel 2006, Shipping Up To Boston finisce nella colonna sonora di The Departed di Martin Scorsese con Leo DiCaprio, e diventa un inno usato e abusato in ogni dove. Fate conto che il testo (scritto da Woody Guthrie) parla di un marinaio che ha perso una gamba e naviga fino a Boston per trovarne una di legno, e adesso viene usata anche come pre-partita per decine di sfide sportive.
9Queen – Bohemian Rhapsody
Ovvero grazie alla perseveranza. Togliamoci subito il dente dei Queen così siamo tutti più felici. Il brano del 1975 si dice che ebbe tante difficoltà a essere considerato come un singolo per via della durata di sei minuti e di un testo definito “incomprensibile” da gran parte della critica. La svolta fu quando Kenny Everett, DJ amico di Mercury, riuscì a farsi dare una copia. Everett iniziò a passarla in radio, arrivando a quattordici volte in due giorni, finché altre radio ne seguirono l’esempio e, nel 1977, il pubblico lo nominò il “Miglior singolo degli ultimi 25 anni”. Che probabilmente è vero. Però già nel 1967 gli Iron Butterfly ebbero una storia simile. I 17 minuti della loro In-A-Gadda-Da-Vida, si sarebbero dovuti chiamare In The Garden Of Eden se il cantante Doug Ingle non fosse stato così fatto per pronunciarlo bene. Dopo un anno, lo scarso interesse radiofonico li spinse a creare un singolo di tre minuti ma il memorabile riff è arrivato fino a una puntata dei Simpson.
8Against Me – True Trans Soul Rebel
Ovvero diventando un’icona gay. Qua l’elenco è infinito. Potremmo partire dagli Abba e arrivare agli U2 fermandoci a tutte le lettere dell’alfabeto. Ma visto che bisogna sceglierne una, parliamo dei folk-punk Against Me!. “Superficialmente può sembrare che le mie canzoni parlino dell’essere un transgender, ma credo che temi come depressione, isolamento, dipendenza, il non sentirsi bene con se stessi, siano decisamente più universali e che tutti possano relazionarcisi in qualche modo”. A parlare è Tom Gabel, o meglio Laura Jane Grace. Già, perché dopo essersi sposato e aver sofferto di crisi d’identità alla nascita di una figlia, ha deciso di cambiar sesso. Problemi? Le sue miscellanee sonore sono sempre state di alto livello ma questa canzone, edita nel 2012, nel 2015 ha raggiunto la giusta visibilità grazie a un’altra icona gay, Miley Cyrus, che ne ha pubblicato sul suo canale una versione “da giardino” che l’ha fatta conoscere a diversi milioni di persone.
7The Undertones – Teenage Kicks
Ovvero perché il bene vince sempre sul male. Quando i nord-irlandesi Undertones scrissero il brano in questione, nell’estate del 1977, a credere in loro c’era solo Terri Hooley, un visionario proprietario di uno sfigatissimo negozio di dischi di Belfast. La fece registrare in un periodo storico in cui, per sua stessa ammissione, la gente entrava ai loro concerti solo per sputargli addosso. Non solo, ben più importante, l’Irlanda del Nord del 1977 era una nazione completamente isolata e a un passo dalla guerra civile. Vittima di omicidi, attentati e ferimenti per protesta contro la presenza britannica sul territorio irlandese. Nessuno ne voleva sapere di cosa venisse da lì. Fu John Peel della BBC di Londra a trasmetterla nel 1979 per la prima volta, fregandosene di tutto e tutti. E non una ma ben due volte di seguito. Con oltre 50 cover e un numero imprecisato di colonne sonore in cui appare, nel 1993 Teenage Kicks ancora entrava e usciva dalle classifiche UK.
6Def Leppard – Pour Some Sugar On Me
Ovvero perché tira più un pelo di figa che un carro di buoi. Non volevano nemmeno inciderla questa canzone. Tratta da Hysteria del 1987, era troppo aerosmithiana in un periodo in cui la band voleva essere unica. Poi però successe una cosa strana: col suo andamento ondeggiante e ritmato, unito a un testo lascivo, si è piazzata subito in tutte le playlist da strip-club del mondo. Centinaia di spogliarelliste avvinghiate a un palo amano da sempre ballarla e richiederla di continuo. E spesso capita che i frequentatori a loro volta inizino a volerla risentire per conto loro in auto. Da cosa nasce cosa, nel 1987 divenne un singolo e durante lo spring break del 2005, trainata anche dal successo dei The Darkness, Pour Some Sugar On Me visse una seconda giovinezza fatta di passaggi in radio e una Mtv incredula costretta a rimandare in onda un video vecchio di quasi vent’anni, tutto grazie a carovane di studenti dediti al divertimento più sfrenato.
5Transplants – Diamonds and Guns
Ovvero per quei diabolici dei pubblicitari. Anche qui gli esempi potrebbero essere mille. Come Coin Operated Boy dei The Dresden Dolls, balzata agli onori della cronaca anni dopo, grazie allo spot di uno zainetto. Oppure Bohemian Like You dei Dandy Warhols, o ancora Let’s Go Surfing dei The Drums e via discorrendo. Visto che però siamo ragazzetti puliti parliamo di questa band. Progetto parallelo di Tim Armstrong dei Rancid e Travis Baker dei Blink 182, con il rapper Rob Asto. Uscita nel 2003, Diamons and Guns non convinse. Una serie di recensioni poco entusiaste e un modesto 19° posto in classifica (per come la vedo) riflettevano l’aver mancato il reale potenziale del pezzo. Venne riscoperta tempo dopo grazie alla pubblicità di uno shampoo della linea L’Oréal che la rese familiare anche alle orecchie di mia madre. Sorte beffarda per un gruppo composto in toto da persone pelate o con la cresta.
4Elton John – Candle In The Wind
Ovvero grazie alle emozioni di massa. Prendete una regina amata da tutti e odiata a corte. Fatela morire in un’incidente automobilistico durante un tragico inseguimento e chiamate un po’ chi vi pare a cantare qualcosa dal suo repertorio al suo funerale. Perdonate il cinismo ma, a meno che non stiate pensando di chiamare Burzum, ci sono parecchie possibilità che il brano abbia un po’ di successo. La versione originale di Elton John del 1973 non arrivò alla Top 10 di qualsiasi classifica e si fermò al 347° posto delle 500 canzoni più belle di sempre secondo Billboard. La versione che invece tutti conosciamo, dopo la tragedia di Lady Diana nel 1997, è il singolo più venduto della storia. Scritta prendendo come spunto Marilyn Monroe per descrivere l’eventualità della propria prematura morte all’apice della carriera, non tutti sanno che Elton, che all’epoca la cantava vestito da Mozart, scrisse solo la musica mentre il toccante testo è opera di Bernie Taupin.
3Aerosmith – Walk This Way
Ovvero se il rap ci mette lo zampino. Walk This Way nasce come singolo dei soli Aerosmith, come secondo estratto da Toys in the Attic, del 1975. La versione originale non è di sicuro tra i più celebri del quintetto di Boston e se la sentite, tolto l’immenso riff di Joe Perry, è un incredibile boogie dalle infinite possibilità ma senza il quid che fa gridare al miracolo. Ispirata a Frankenstein Jr., dal film di Mel Brooks gli Aerosmith devono avere preso anche la verve surreale e il clima fanciullesco. Solo così si spiega perché undici anni dopo decisero di riproporla nuovamente, stavolta mettendosi in gioco addirittura con i Run DMC (all’epoca Steven Tyler aveva quasi quarant’anni, Jam Master Jay la metà). In un’epoca in cui la musica ancora viveva per compartimenti stagni e ogni fuoricampo era segnato con una ammonizione, questa versione raggiunse il quarto posto in classifica, e permise agli Aerosmith di ritornare in auge guadagnandosi anche dei nuovi fan.
2The White Stripes – Seven Nation Army
Ovvero grazie al gioco del calcio. Dubito fortemente che Jack White avesse in mente i Mondiali di calcio del 2006 quando la scrisse. Eppure fu grazie ai cori dei tifosi che, tre anni dopo la sua uscita, il brano dei White Stripes entrò di diritto nell’immaginario collettivo e non solo degli amanti del rock. I tifosi italiani lo presero in prestito dai romanisti durante le partite della Uefa ma, ben presto, l’idea si espanse a macchia d’olio, visto che l’Italia finì per vincerli quei Mondiali. Nel tentativo di riproporre l’incedere incalzante del tema principale, tutti iniziarono a cantare il famoso “Po-po-po-po” che diventerà la colonna sonora di moltissime altre partite di calcio da lì in avanti. Il successo fu così grande che anche Rolling Stone quell’estate fece uscire in edicola un numero con una contro-copertina (su quella originale c’era Cristina Scabbia dei Lacuna Coil) nel quale spiegava per filo e per segno cosa si celasse dietro quel coro e quella canzone.
1Radiohead – Creep
Ovvero il tempo aggiusta le cose. Qui si potrebbe inserire anche Dog Days Are Over di Florence + The Machine che, uscita nel 2008, dovette aspettare due anni e un video più appetibile, per divenire la sua prima hit. Oppure una canzone a caso dei Joy Division sull’onda del successo degli Interpol. Ma c’è un caso senza dubbio più eclatante. Quando nel 1992 iniziò a girare Creep, la BBC la definì “troppo deprimente”, togliendola dalla programmazione dopo appena due trasmissioni. Non solo, la LBC, riferendosi a Yorke commentò: “Di lagne come le sue ne abbiamo sentite di migliori e di più profonde”. Con una simile pubblicità Creep si fermò al 72° posto in classifica in patria, diventando in prima battuta una hit solo in Israele (!). Fu dopo il successo in America e ancora di più dopo l’uscita di Ok Computer che le cose sono iniziate a cambiare e Creep è diventata un successo così grande che, per assurdo, fu la stessa band poi a rifiutarsi di suonarla.