Avete mai provato, nei momenti di estrema solitudine, a farvi cantare una canzone da Siri? Motivi, per farlo, effettivamente, non ce ne sono molti. Ma, nel caso voleste tentare l’esperimento, il celebre assistente vocale Apple vi delizierebbe con la sua versione di Nel blu dipinto di blu, senza dubbio il brano italiano più famoso nel mondo. Un ulteriore omaggio, forse il più inutile, che si aggiunge all’infinita schiera di quelli tributati negli anni a Domenico Modugno. Nato il 9 gennaio 1928, è l’artista che ha cambiato per sempre la musica italiana, inaugurando l’era moderna con le sue “hit”, che gli sono valse quattro Festival di Sanremo e due Grammy. Vecchio frac, Piove, Meraviglioso, La lontananza: canzoni cantate e coverizzate da chiunque.
Modugno, che ha trovato anche il tempo di recitare in quasi 50 film e a teatro, è stato una figura unica e complessa, come testimonia la sua biografia. Da Polignano a Mare, perla rara a pochi chilometri da Bari, a sette anni segue il padre a San Pietro Vernotico, nell’entroterra brindisino, paese che contende a quello di nascita, dove nel 2009 è stata eretta una statua per celebrarlo, la sua origine. Appena maggiorenne, con il sogno di recitare, si trasferisce a Torino, dove lavora in una fabbrica di pneumatici, e quindi a Roma.
Mister Volare, morto quasi 25 anni fa nella sua casa di Lampedusa per un arresto cardiaco, è stato un fiero cittadino del Meridione, come ha sempre rivendicato. Lui stesso ha contribuito ad alimentare una serie di leggende sulle proprie radici, con le sue canzoni in dialetto napoletano e siciliano. Erano i soli due idiomi che lo facevano “mangiare” in quegli anni, perché il pugliese era troppo poco cool per la Rai e il mondo dello spettacolo di allora. Il suggerimento di fingersi siciliano, terra da cui veniva la moglie Franca e a cui è sempre stato molto legato, vuole la leggenda, sarebbe arrivato da Frank Sinatra in persona. “Mi sarei finto anche giapponese, se necessario”, ha raccontato. Con la sua Puglia, che in un primo momento non ha vissuto affatto bene il “tradimento”, si sarebbe poi rifatto, cantando numerosi brani in vernacolo salentino (che assomiglia a quello messinese). Anche la Campania, con la sua infinita tradizione musicale, lo ringrazia.
Vi proponiamo cinque sue indimenticabili canzoni dialettali. Non sono quelle che gli hanno donato la popolarità eterna, ma contribuiscono a rendere unica la parabola di questo straordinario artista.
MALARAZZA
Nel 1976 Domenico Modugno ha già vissuto il suo rise and fall, con la lieve “crisi” discografica degli anni ’60, ed è tornato in cima a tutte le classifiche prima con Lontananza e poi con Piange il telefono. In quell’anno torna alle origini con un capolavoro tratto da un anonimo poeta siciliano, pubblicato per la prima volta alla metà dell’Ottocento e poi ripreso da numerosi artisti, fino a Dario Fo. Il brano è un dialogo tra un bracciante e il volto di Gesù, un inno alla ribellione contro ogni forma dominio e repressione. Molto coerente con il civismo di Modugno, che si è poi tradotto nell’impegno in prima persona in politica, come parlamentare radicale, e poi, negli anni ’90, per la causa ambientalista. Malarazza ha vissuto una seconda giovinezza negli ultimi anni, rifatta da Carmen Consoli, Roy Paci e altri artisti (siciliani e non solo).
LA CICORIA
Il primo singolo in assoluto di Modugno, registrato assieme a Ninna nanna nel 1954. Il cantante di Polignano ne scrive musica e parole, che canta in sanpietrano, il dialetto di San Pietro Vernotico, con la futura moglie Franca Gandolfi. Il brano è un capolavoro di semplicità, e descrive una famiglia di contadini intenta a mangiare la cicoria. Il successo del disco fu molto limitato in un primo momento, e proprio per questo oggi può valere parecchi soldi. Modugno ha rifatto varie versioni negli anni successivi, compresa un’improbabile Cicoria Twist del 1962.
FRASULINU
Appare per la prima volta nel 1971, nel disco Con l’affetto della memoria. Scritta in dialetto salentino, nei primi anni della sua carriera più volte frainteso con quello siciliano, racconta la storia di una sorta di scemo del villaggio. Freak e ubriacone, l’uomo si aggirava per le strade mangiando vetri e chiodi, per fare divertire la gente e racimolare qualche soldo. Fino all’epilogo più triste, nella migliore tradizione dei cantastorie del Sud.
LU PISCE SPADA
Con La donna riccia rappresenta il terzo singolo del cantautore, datato 1954. Modugno è autore del testo e della musica, che esegue da solo, accompagnato da chitarra. Anche questa canzone appartiene al filone dei cantastorie. Il brano è una storia d’amore, ovviamente tragica, tra due pesci, che finiscono catturati “per amore” in una tonnara. In alcune reincisioni Modugno lo ha intitolato U pisci spada, reiterando l’equivoco sul dialetto d’adozione.
LAZZARELLA
Un anno prima del successo di Nel blu dipinto di blu, Modugno dà vita a questa canzone napoletana, non perfetta nella pronuncia secondo i puristi, scritta assieme a Riccardo Pazzaglia. Nell’interpretazione di Aurelio Fierro, nel 1957, si classifica seconda al Festival della canzone napoletana. Gode di uno straordinario successo come colonna sonora dell’omonimo film, in cui il cantante veste i panni di Mimì, e nella versione francese di Dalida. Rifatta poi da Carosone, Arbore, Nino D’Angelo e tanti altri, andò all’epoca incontro a una ottusa censura: il verso “Lazzarella tu si già mamm” fu sostituito con “Lazzarella perdo ‘o tiempo appriesso a tte“, perché contraria alla morale dell’epoca, che voleva la verginità prima del matrimonio.