Gli anni ’70 del secolo scorso sono stati il regno dell’immaginazione. D’altronde anche uno slogan post sessantottino lo recitava: “Fantasia al potere!”. In Italia il prog, il più visionario dei generi, va per la maggiore, a livello cinematografico è la grande stagione dell’horror, di Profondo Rosso, de La casa dalle finestre che ridono, di Reazione a catena… un modo di far paura a volte grandguignolesco, ma più spesso psicologico, morboso, che mette in contatto con verità deformate. È evidente che ci fosse nel publico una certa propensione a lasciarsi ammaliare da storie maledette, con le quali esorcizzare le tensioni di tutti i giorni.
In tale clima la televisione (ovvero la Rai, altro non esisteva) non si tirava indietro quando si trattava di solleticare l’immaginazione dei telespettatori tramite la messa in onda di sceneggiati (oggi si chiamano fiction) dove il mistero la faceva da padrone. Mistero in varie declinazioni, con fantasmi, uomini e donne che si dileguavano nel nulla, sedute spiritiche, bambini che vedevano ciò che agli adulti era celato, statue che parlavano, fanciulle d’altri tempi reincarnate in moderne sembianze, piante che comunicavano con gli umani.
Gli sceneggiati Rai anni ’70 sono spesso in bianco e nero, lenti, verbosi, con movimenti minimi di camera. Noiosissimi per il pubblico di oggi. Ma fate una prova, cercate di resistere almeno dieci minuti, non potrete non essere catturati dalla magica atmosfera rétro di questi sogni/incubi d’altri tempi. Che dire poi delle prove attoriali? Teatranti di pregio prestati alla tv per mostrare quanto avanti poteva spingersi la bravura di un artista. Gente come Ugo Pagliai bucava lo schermo per l’eleganza con la quale conduceva il telespettatore a entrare nei mondi segreti narrati da storie gotiche, incredibilmente affascinanti. E il pubblico premiava la qualità: cose come Il segno del comando o Dov’è Anna? facevano share da brividi, praticamente tutta Italia era ipnotizzata a seguire le avventure del professor Lancelot Edward Forster, dell’impenetrabile Lucia o dell’evanescente Anna.
A tanta magnificenza servivano chiaramente musiche adeguate, ed è questo il cuore del nostro articolo. Le sigle erano opere di grandi autori come Ortolani, Cipriani, Simonetti, Micalizzi che introducevano il telespettatore nelle atmosfere spettrali e sospese delle serie. Trattandosi di partiture concepite nei ’70 non è strano ritrovarvi tracce di prog e funk, ma c’è anche tutta una corrente più o meno folk che veniva a galla, specie quando si trattava di serie ambientate in ere passate. Le arie di un tempo vibravano così dai televisori di tutta Italia insieme ai colori del rock strumentale, quello inquietante e morboso per il quale band come i Goblin sarebbero divenute celebri.
Ecco quindi la classifica: 10 incredibili sigle degli sceneggiati del mistero della tv italiana. Il consiglio questa volta non è solo di ascoltare, ma anche di mettersi alla visione (su YouTube o RaiPlay si trovano tutti) per far sì che l’immaginazione possa prendere di nuovo il sopravvento. Sarà il primo passo per farla tornare al potere.
10. “Dov’è Anna?” Stelvio Cipriani (1976)
Con i suoi 28 milioni di telespettatori Dov’è Anna? è la fiction più vista della televisione italiana. È la vicenda di una donna che scompare da un giorno all’altro e dell’affannosa ricerca da parte del marito (il bravissimo Mariano Rigillo), con una sigla a cura del maestro Stelvio Cipriani, famoso soprattutto per la colonna sonora di Anonimo veneziano. Mentre sullo schermo i protagonisti della fiction camminano in una galleria il suono di un piano verticale introduce a una melodia alla Nino Rota che stride con il fitto mistero messo in atto nella storia. Ma visto che gli opposti spesso si attraggono (e non sarà l’unico caso tra i brani in analisi) il connubio funziona alla perfezione, con la musica a tingersi magicamente di dramma mano a mano che le immagini scorrono.
9. “Il fauno di marmo” Stelvio Cipriani (1977)
Ancora Cipriani che si avvale dell’aiuto della superstar romana Lando Fiorini in uno di quegli innesti di arie antiche atti a sottolineare le atmosfere gotiche di una serie. Il fauno di marmo (fiction in tre puntate diretta da Silverio Blasi e ispirata all’omonimo romanzo di Nathaniel Hawthorne) narra del ritrovamento di un anonimo diario dell’Ottocento nel quale appaiono le figure di quattro amici destinati a rivivere un mistero avvenuto 100 anni prima a Roma. La capitale è spesso affascinante protagonista di questi sceneggiati e un’aria come quella interpretata da Fiorini è perfetta per avvolgere lo spettatore nell’arcano segreto della fiction. Lo svolgimento musicale è tanto prevedibile quanto azzeccato, chitarra acustica, orchestra e la voce accorata di Fiorini in un testo in romanesco che mischia sentimenti terreni a visioni dell’aldilà.
8. “L’amaro caso della baronessa di Carini” Gigi Proietti (1975)
Una dark ballad degna del miglior Nick Cave o dei Current 93, interpretata con trasporto da Gigi Proietti in dialetto siciliano su testo di Otello Profazio e musica di Romolo Grano. Esagerato? In realtà no, il nostro patrimonio culturale è pieno di macabre vicende musicate e messe in scena con un piglio degno dei migliori cantori moderni dell’oscuro. L’insospettabile Proietti ci catapulta in un orribile delitto compiuto da un padre nei confronti della figlia, la baronessa del titolo, nella sicilia borbonica. Delitto che è destinato a ripetersi oltre 250 anni dopo.
7. “Albert e l’uomo nero” Franco Micalizzi (1976)
Questa è una di quelle fiction che ha levato il sonno a molti bambini dell’epoca. Albert, 9 anni, si ritrova solo in casa di notte, frangente nel quale gli capita di intravedere un uomo “completamente nero dalla testa ai piedi”, come riferisce il piccolo nella prima delle tre puntate, trasmesse nel marzo 1976. Chi sarà mai il misterioso uomo nero? Lo saprete dando un’occhiata alla serie, meglio se di notte e da soli. Intanto va segnalata la colonna sonora a opera di un altro colosso: Franco Micalizzi, quello di decine di poliziotteschi che qui offre un bel funkettone teso, progressivo e venato di free jazz, nel quale pare di perdersi in una delle tante stanze buie della magione di Albert.
6. “A come Andromeda” Mario Migliardi (1972)
La fantascienza non è un genere molto battuto dagli sceneggiati anni ’70, ma basta questo adattamento italiano dell’omonima serie inglese per soddisfare gli appassionati. Per riallacciarci alle scelte operate finora potremmo parlare di fantascienza gotica tanto è il senso di oscura oppressione che pervade le cinque puntate interpretate dal compianto Luigi Vannucchi. A come Andromeda, con una storia basata sul contatto con un’intelligenza aliena che metterà a dura prova le certezze dei protagonisti, si avvale di una sigla strepitosa a cura di Mario Migliardi, con la collaborazione di Edda Dell’Orso e dei Cantori Moderni di Alessandroni, entrambi di morriconiana memoria. La Dell’Orso sussurra languida e incorporea il tema del brano che si rifà a Dido’s Lament: When I Am Laid in Earth, del compositore inglese Henry Purcell. All’inizio delle puntate il messaggio è chiaro: “Questa storia si svolge in Inghilterra l’anno prossimo”.
5. “Ritratto di donna velata” Riz Ortolani (1972)
Il sax si muove felpato in una melodia lenta… lenta… Solo negli anni ’70 una cosa del genere poteva essere concepita, mai prima, mai più dopo. Sullo schermo un’indecifrabile statuetta etrusca, una figura umana filiforme, denominata Ombra della sera. Scorrono i titoli, poi ci ritroviamo catapultati negli anfratti più oscuri di Volterra, con l’enigmatica Elisa (Daria Nicolodi, reduce dal successo di Profondo rosso) che pare essere la reincarnazione di una misteriosa dama ritratta in un quadro del Settecento. Tra necropoli e ville maledette, la colonna sonora del sommo Riz Ortolani (che tra le molte ha firmato quelle cult di Mondo Cane e Cannibal Holocaust) è seducente come la donna velata del titolo.
4. “Ho incontrato un’ombra” Berto Pisano (1974)
Come il precedente, il tema che apre Ho incontrato un’ombra (denominato A Blue Shadow) è basato su una morbida melodia di sax adagiata su un tappeto di pianoforte, a seguire l’orchestra e la ritmica. Un cliché tipico di molte colonne sonore anni ’70 che riesce sempre a smuovere emozioni profonde, specie se lo si associa alla visione di un altro fitto mistero: quello del pubblicitario Philippe. Questi, al ritorno dal lavoro, si accorge più volte che qualcuno è entrato nella sua abitazione a sua insaputa. Chi sarà mai? Berto Pisano, il compositore della sigla, si specializzerà nelle colonne sonore di famose commedie scollacciate quali La collegiale (1975), Dove vai se il vizietto non ce l’hai? (1979) e Pierino contro tutti (1981).
3. “Gamma” Enrico Simonetti (1975)
Arrivano le gemme più preziose. A cominciare da questo tema composto da Enrico Simonetti, padre del famoso Claudio (storico tastierista dei Goblin). Lo sceneggiato è una storia allucinante a base di trapianti di cervello, per contrasto la sigla è quanto più malinconico possa esserci, con il sax ancora una volta protagonista e alcune belle accelerate a base di chitarra e fiati. Il risultato riesce però a inquietare proprio grazie a questo contrasto. Finezze oggi non più di moda. Dimenticavo di segnalare che i musicisti sono gli stessi Goblin, e si sente.
2. “La traccia verde” Berto Pisano (1975)
Attenzione alla sigla finale (ancora Berto Pisano), è uno dei pezzi funk-prog più succulenti della storia delle colonne sonore italiane, degno di stare accanto a certi capolavori a opera di Micalizzi, Cipriani o Bacalov. Ritmo, clavinet e piano elettrico in evidenza, poi un salto psichedelico tra theremin e sintetizzatori da paura (in tutti i sensi). Nello sceneggiato le piante fungono da testimoni di un efferato delitto, roba che in quegli anni inquietava sul serio. Qualcuno suggerisca ai Calibro 35 di farne una cover!
1. “Il segno del comando” Nico Tirone (1971)
La regina delle sigle per il re degli sceneggiati televisivi. Un successo stellare che ancora oggi fa sentire la sua eco, una Roma arcana e trasfigurata, con i vicoli di Trastevere magici e misteriosi come non li rivedrete mai. Reincarnazione, sette, necromanzie, medium, oscure taverne, palazzi decadenti, Edward Foster (Ugo Pagliai), indagatore dell’incubo ante litteram, l’evanescente Lucia (la splendida Carla Gravina), fantasma che vive solo quando ama… Ogni mistero svelato conduce a un altro in una serie di scatole cinesi che sembrano non avere mai fine. Un vero must per gli amanti dell’esoterismo, con la sigla che rappresenta un altro bel contrasto: lo stornello in romanesco Cento campane (composto da Fiorenzo Fiorentini e Romolo Grano e interpretato da Nico Tirone, cantante del gruppo beat Nico e i Gabbiani) è tanto lirico quanto profondamente legato all’occulto. Ve ne accorgerete non fermandovi all’apparenza, grattando sotto la superficie. Potreste sentire in lontananza una voce che sussurra parole come: «21 aprile 1817, notte, ore 11. Esperienza indimenticabile, luogo meraviglioso, piazza con rudere di tempio romano, chiesa rinascimentale, fontana con delfini, messaggero di pietra, musica celestiale, tenebrose presenze».