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Gli AC/DC in 25 canzoni essenziali

Per festeggiare i quarant'anni del best seller ‘Back in Black’, riascoltiamo il meglio dalla discografia della band australiana. «Ci accusano di avere rifatto lo stesso disco 12 volte. Non è vero, lo abbiamo rifatto 15 volte»

Foto: Michael Ochs Archives/Getty Images

Riff duri, più doppi sensi di quanti ne riesci a capire e una buffa uniforme da scolaretto: questi sono solo alcuni degli elementi che hanno reso gli AC/DC uno dei gruppi rock più iconici degli ultimi 45 anni. Canzoni come Highway to Hell e You Shook Me All Night Long sono ormai dei classici e il loro disco del 1980, Back in Black, sarebbe l’album più venduto di tutti i tempi se Thriller non esistesse.

Il segreto del loro successo è sempre stata la loro autenticità. Quando sono esplosi, nella Sydney degli anni ’70, lo scontroso frontman originale Bon Scott cantava brani su quella che era la trinità del gruppo – sesso, alcol e rock’n’roll – e da quando la voce roca di Brian Johnson ha preso le redini del gruppo dopo la morte di Scott, hanno continuato a pregare sullo stesso altare. «Siamo stati accusati di aver fatto lo stesso disco 12 volte», ha detto una volta il chitarrista Angus Young. «La verità è che abbiamo fatto lo stesso disco 15 volte».

Le migliori canzoni degli AC/DC sono pieni di riff rozzi e giochi di parole offensivi, sia che sia Scott che si vanta delle sue “grandi palle” o Young che accelera sull’autostrada per l’inferno lasciando assoli ad alto voltaggio. Come band, sono implacabili e suonano sempre a ruota libera. Nessuno si è mai dovuto chiedere se si divertano a fare musica. Per celebrare i 40 anni di Back in Black, abbiamo messo insieme una lista delle loro 25 migliori canzoni.

“It’s a Long Way to the Top (If You Wanna Rock ‘n Roll)” (1975)

Ne hanno fatto cover un po’ tutti, da Lemmy Kilmister a Lucinda Williams, da Jack Black a Pat Boone. Ma la prima canzone del primo disco pubblicato dagli AC/DC negli Stati Uniti apparterrà sempre a Bon Scott. Addirittura Brian Johnson si è rifiutato di cantarla nei suoi oltre 25 anni con gli AC/DC in segno di rispetto per il suo predecessore. E di sicuro, nonostante il riff duro come mia roccia, It’s a Long Way to the Top è un tour de force di Scott, dal testo brillantemente schietto e telegrafico che racconta la gloria e lo sporco dello stile di vita rock’n’roll al modo esuberante in cui viene cantato, per non parlare del modo non così abile in cui suona la cornamusa. «Bon in realtà sapeva suonare il flauto, non la cornamusa», ha ammesso una volta Malcolm Young in un’intervista a Billboard. «Quindi ha suonato la melodia, poi abbiamo fatto le altre parti separatamente, l’abbiamo montata e suonava bene».

“T.N.T.” (1975)

La title track del secondo album della band pubblicato in Australia (inclusa anche nella versione internazionale di High Voltage e poi comparsa nella colonna sonora di Tony Hawk’s Pro Skater 4) sono gli AC/DC ridotti alla loro essenza più pura. La band batte e grugnisce su un riff di tre accordi come degli uomini della caverne che fanno a pezzi un mammut, mentre Bon Scott fa un autoritratto ironico dandosi dello “sporco, cattivo e incredibilmente lurido”. Quando il produttore George Young ha sentito Angus Young che canticchiava il brano in studio gli aveva suggerito di aggiungere un coro che facesse “Oi!”. «Non sono mai stato il migliore a fare i cori», ha ricordato Angus.

“Live Wire” (1975)

Questo brano del 1975 tratto dalla versione australiana di T.N.T. (comparso all’estero l’anno seguente su High Voltage) non è mai stato un singolo, ma ha un groove talmente assassino e una dose talmente esagerata della personalità pazza di Bon Scott che di fatto è diventato il brano standard di apertura dei concerti della band fino alla morte del cantante nel 1980. «Era rumoroso, profondo, minaccioso e pieno di ritmo», ha detto il bassista Mark Evans. Nel 1982 gli AC/DC hanno smesso di suonarlo, ma non appena Axl Rose è entrato nel gruppo come frontman nell’estate 2016 il brano ha fatto il suo glorioso ritorno.

“Dirty Deeds Done Dirty Cheap” (1976)

Nonostante il contributo lascivo, violento e persino assassino di Bon Scott su questa traccia – title track del terzo album australiano degli AC/DC, diventata una hit negli Stati Uniti cinque anni dopo la pubblicazione originale – il brano è nato originariamente come un omaggio alla serie tv animata per bambini Beany and Cecil. «Era un cartone di quando ero bambino», ha detto Angus Young nel 2009 a Guitar World. «C’era un personaggio che si chiamava Dishonest John e che andava in giro con un biglietto da visita con scritto “Dirty Deeds Done Dirty Cheap”. Ho immagazzinato un sacco di cose così nel mio cervello e poi ho tirato fuori quelle che mi piacevano di più».

“Big Balls” (1976)

In Big Balls il generoso Bon Scott si vanta della sua abilità di organizzare eventi. O parla di qualcos’altro? Il pezzo, apparso per la prima volta nel 1976 in Dirty Deeds Done Dirty Cheap e diventato poi un classico, è la dimostrazione più sfacciata dell’abilità di Scott coi doppi sensi. “I miei balli sono sempre pieni / La mia sala da ballo è sempre piena / E tutti vanno e vengono di nuovo” dice a un certo punto, mentre poi aggiunge “Alcuni balli sono per beneficenza, altri sono balli eleganti, altri li organizzo per piacere, e sono quelli che preferisco”. Ma persino Scott non è riuscito a tenere troppo a lungo questo doppio senso: in un’intervista del 1976 a Rock Australia Magazine, ha trafitto il velo di ironia dicendo «ho anch’io due palle grandi… ho appena controllato».

“Jailbreak” (1976)

Pubblicata per la prima volta in Australia nel 1976, Jailbreak è uscita negli Stati Uniti solo otto anni dopo in una compilation per capitalizzare sul nuovo successo degli AC/DC in terra americana. Da allora è diventata la canzone più amata del gruppo, e non è difficile capire perché. A partire dal riff fragoroso ripetuto all’infinito e su cui Bon Scott racconta la satira di un suo amico dentro per omicidio, Jailbreak inizia a costruire lentamente la tensione che poi esplode in un inno ai fuorilegge – inno in cui però il fuorilegge finisce con un proiettile nella schiena. Secondo Angus Young, l’idea per il testo è venuta a Scott dopo essere stato arrestato prima di un concerto degli AC/DC a Perth. «Ha cantato di una persona che ha incontrato mentre era ospite della galera di Sua Maestà», ha raccontato ridendo.

“Let There Be Rock” (1977)

La title track del quarto disco in studio degli AC/DC è una dichiarazione di intenti: Bon Scott vede il rock’n’roll come un dono del cielo e gli altri membri della band fanno riff e ritmi boogie-blues come se stessero eseguendo la volontà di Dio. È un brano di sei minuti elettrizzante che contiene tutta la magia del rock. Let There Be Rock è anche un punto fermo dei concerti della band, con Angus Young che spesso prolunga il suo assolo anche per 10 minuti mentre si porta in giro la sua chitarra per il palco. Apparentemente le cose erano altrettanto intense in studio, dove l’ampli di Young sarebbe esploso a metà registrazione. Ma come ha ricordato il fratello maggiore e co-produttore del brano George Young, «non valeva assolutamente la pena di fermare una prestazione come quella per un motivo tecnico come un ampli saltato».

“Whole Lotta Rosie” (1977)

Una delle canzoni più sordide degli AC/DC è stata ispirata da un incontro che Bon Scott ha avuto con quella che una volta ha descritto come “un diavolo della Tasmania”, una groupie australiana chiamata Rosie alta quasi 1,90 per 140 kg di peso. «Era così grande che quando ha chiuso la porta e si è buttata su di me era troppo grande per dire di no. Quindi ho dovuto soccombere. Ho dovuto farlo. Mio dio. Vorrei non averlo fatto». La band in quel periodo suonava una canzone chiamata Dirty Eyes ma, dopo aver incontrato Rosie, Scott ha cambiato il testo e ho scritto quella che sarebbe diventato Whole Lotta Rosie. Malcolm Young ha detto una volta che il gruppo voleva qualcosa “tipo Little Richard, stile buon vecchio rock”, cosa che sono riusciti a ottenere – il brano è diventato un punto fermo nei loro concerti, e negli ultimi anni è stato affiancato da un’enorme Rosie gonfiabile. E come Rosie, la sua leggenda si è fatta sempre più grande da quando artisti come i Guns N’ Roses e Kenny Chesney ne hanno fatto delle cover.

“Sin City” (1978)

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Una delle tracce più straordinarie di Powerage, un disco molto sottovalutato, è Sin City, costruita intorno a uno dei riff a tre corde più drammatici degli AC/DC e che poi si impenna in un overdrive grazie a uno degli assoli di chitarra più sfrenati di Angus Young. Anche il testo è uno tra i più velenosi di Scott, e dipinge in modo molto vivido una fantasia di ricchezza e sesso che attende chi vince forte a Las Vegas (o in qualsiasi altra città legata alle scommesse) pur riconoscendo allo stesso tempo che il mazzo è inevitabilmente truccato a favore del banco. “Ricco, povero, mendicante, ladro”, canta Scott, “non ho una speranza all’inferno, in questo credo”.

“Down Payment Blues” (1978)

Bon Scott ha suonato in diverse band per circa un decennio prima di unirsi agli AC/DC e quando è uscito Powerage, nel 1978, nonostante avessero fatto un tour con i Black Sabbath in Europa e negli Stati Uniti, la band non aveva ancora veramente sfondato. Quindi la lotta per la vita rock’n’roll che il cantante racconta in Down Payment Blues era probabilmente qualcosa di molto vero all’epoca. Ma ciò che rendeva Scott un grande autore di testi è che riusciva a dipingere in modo molto vivido e a volte anche divertente immagini molto deprimenti. “Non possono nemmeno dare da mangiare al gatto”, canta a un certo punto. Dietro di lui, nel frattempo, Angus e Malcolm Young escogitano uno dei loro riff più semplici e insieme catartici, essenzialmente un pattern di due accordi che viaggia attorno alla tastiera, costruendo costantemente tensione fino a fermarsi bruscamente mentre Scott urla la frase del titolo.

“Riff Raff” (1978)

I primi 40 secondi di Riff Raff, riempiti dalla chitarra di Angus Young, sono tra i più tesi e carichi di aspettative di tutto il rock. Una volta che arriva il resto della band, il brano si lancia in un’esplosione di forza ed energia fantastica, dal riff sinuoso e contorto di Angus al basso propulsivo di Cliff Williams, alla chitarra di Malcolm Young, all’ululato febbrile di Bon Scott. Riff Raff è una canzone apparentemente costruita per essere suonata live (come si vede nella performance particolarmente calda del 1978 qui sopra), che è stata riportata nei set della band quando gli AC/DC sono andati in tour con Axl Rose nel 2016, a quanto pare su richiesta del cantante dei Guns.

“Highway to Hell” (1979)

Con i suoi testi satanici e l’aria turbolenta e blasfema, la title track del sesto album degli AC/DC (sulla cui cover appare un diabolico Angus Young) ha offeso ovunque i guardiani della morale, anche se in realtà parlava della vita dei musicisti sul bus con cui andavano in tour. «Dormire con i calzini del cantante a due centimetri dal naso», ha detto Angus a Guitar World nel 1993, «ecco cos’è l’inferno». Purtroppo, la prima hit della band negli Stati Uniti è diventata anche l’epitaffio di Bon Scott, che è morto due mesi dopo aver raggiunto il numero 47 nella classifica dei singoli di Billboard.

“If You Want Blood (You’ve Got It)” (1979)

Come hanno dimostrato con High Voltage, se hai un ottimo titolo per un album, perché non usarlo anche per una canzone? If You Want Blood (You’ve Got It) è comparsa su Highway to Hell un anno dopo l’uscita del primo album live degli AC/DC con quello stesso titolo. «Il titolo ci è venuto da un concerto che abbiamo fatto in America, al festival Day of the Green, con 80 mila persone», ha raccontato Angus Young. «Suonavamo alle 10:30 del mattino, la maggior parte di noi non aveva nemmeno dormito. Questo tizio di una troupe che filmava l’evento ha bloccato me e Bon e ci ha chiesto che tipo di concerto sarebbe stato. Bon ha detto “Ti ricordi quando i cristiani venivano dati in pasto ai leoni? Bene, noi siamo i cristiani”. Poi ha fatto la stessa domanda a me e io ho detto, “se vogliono il sangue, glielo daremo”». Il brano è all’altezza delle dischiarazione dei due musicisti e ha un beat ballabile, un riff potente e Scott che parla di “sentirsi un cristiano chiuso in una gabbia, gettato in pasto ai leoni”. Una profezia autoavverante, insomma.

“Touch Too Much” (1979)

Axl Rose ha detto che Touch Too Much è la sua canzone preferita degli AC/DC ed è facile capire il perché. Le sue strofe sono viscide, i suoi ritornelli esplosivi, l’assolo di chitarra di Angus Young è una coltellata, i testi comici di Bon Scott raccontano una notte romantica con una donna che aveva “un corpo da Venere… ma con le braccia”. Stranamente, a parte un’esibizione in playback al Top of the Pops inglese meno di due settimane prima della morte di Bon, la band non l’ha mai suonata dal vivo fino a quando Axl Rose non è salito a bordo per il tour 2016.

“You Shook Me All Night Long” (1980)

Secondo Brian Johnson, gli AC/DC stavano registrando Back in Black alle Bahamas quando lui ha visto un paio di bellissime donne americane in tv. «Mi sono sempre voluto scopare una così!», ha raccontato. «Erano favolose». Quella visione lo ha ispirato a scrivere uno dei testi più memorabili nel repertorio degli AC/DC: “Mi metti KO con quelle cosce americane”, “mi ha detto di venire, ma io ero già lì”. Secondo alcuni fan complottisti, alcune di queste punchline venivano in realtà da un quaderno di Bon Scott. Quale che sia la verità, il brano è diventato il primo singolo di Back in Black e rimane ancora oggi forse la canzone più nota degli AC/DC.

“Hells Bells” (1980)

Pubblicato appena cinque mesi dopo la prematura scomparsa di Bon Scott, Back in Black contiene due riferimenti espliciti al frontman deceduto: la copertura dell’album tutta nera e una serie di rintocchi (fatti con una campana su misura) che aprono la prima traccia. La chitarra di Angus Young, che alla fine si unisce ai rintocchi, è altrettanto inquietante. Ma da lì Hells Bells diventa un brano rock avvolgente e indimenticabile. Sul palco, Brian Johnson la cantava spesso oscillando su una corda mentre una gigantesca campana con il logo degli AC/DC faceva risuonare i suoi rintocchi e il pubblico si scatenava. Per quanto riguarda la frase con cui si apre la canzone, “Sono tuono potente / pioggia battente”, Johnson ha raccontato che durante le session di registrazione alle Bahamas «il tempo era una merda e c’era questo tuonare perenne nel cielo, e [il produttore] Mutt [Lange] è entrato e ha detto “ho un’idea per te, Brian”».

“Back in Black” (1980)

Cantata da Brian Johnson e registrata come omaggio per Bon Scott, la title track del settimo album in studio degli AC/DC è diventata uno degli inni distintivi della band. Ma secondo Angus Young, suo fratello Malcolm all’inizio non era sicuro che il riff di chitarra un po’ blues e spavaldo della canzone – che da allora è stato campionato un po’ da tutti, dai Beastie Boys a Eminem – andasse effettivamente bene. «Malcolm ha avuto in testa quel riff per circa tre settimane», ha detto Angus a Classic Rock nel 2000. «Una notte è venuto da me e ha detto: “hai il tuo registratore qui? Posso buttarlo giù? Mi sta facendo impazzire. Non dormirò finché non l’avrò messo su cassetta”. Poi si è seduto e l’ha suonato. La cosa più divertente è che alla fine mi ha detto “che ne pensi? Non so se è una merda o no”».

“Shoot to Thrill” (1980)

La potenza di Back in Black si vede anche dal fatto che la versione in studio di Shoot to Thill, una canzone così forte che la maggior parte delle band hard rock dell’epoca avrebbe scambiato tutta la propria pelle e le proprie borchie per un pezzo tosto la metà, non è mai stata pubblicata come singolo. È un esempio da manuale della stretta relazione tra le chitarre di Angus e Malcolm Young, con il primo che spara non uno, ma due assoli feroci. Elemento base dei set della band dal 1980, il brano è stato presentato a un nuovo pubblico nel 2010 quando è stato incluso nella colonna sonora di Iron Man 2.

“Let’s Get It Up” (1981)

Quando nel dicembre 1981 hanno pubblicato Let’s Get It Up, il primo singolo di For Those About to Rock (We Salute You), seguito ideale di Back in Black, gli AC/DC hanno attirato l’attenzione di tutto il mondo del rock. E hanno deciso di sfruttare l’occasione per un brano che parla di erezioni. “I fili allentati causano incendi”, canta Brian Johnson. “Sono aggrovigliato nei miei desideri / per cui fanciullo, collegalo”. Non ha nemmeno cercato di nascondere che cosa avesse ispirato quel testo. «Siamo una band zozza!», ha detto nel 1982.

“For Those About to Rock (We Salute You)” (1981)

Come superi un brano di apertura che comincia con delle campane? Iniziando il disco successivo con un brano che culmina con delle cannonate. Il brano in questione è anche una delle composizioni più epiche degli AC/DC: mentre la maggior parte delle melodie della band stordiscono l’ascoltatore con una serie di riff rompiossa e ritmi boogie-rock, For Those About to Rock sembra scivolare e soffocare tutto ciò che trova come un enorme serpente. Il suo ritmo sembra una scelta insolita sia per un brano di apertura che per il pezzo che si suona alla fine di un concerto, ma l’esperienza insegna che funziona benissimo in entrambi i contesti. For Those About to Rock è diventata il brano di chiusura dei concerti degli AC/DC sin dal giorno in cui è stata pubblicata, con tanto di cannoni sul palco per sparare a salve sul finale. Ma da dove viene la passione per tutta quella potenza di fuoco? «Volevo qualcosa di forte», ha detto Angus Young in merito. «Qualcosa di maschile, di rock. E cosa c’è di più maschile di un cannone? Carica, spara e distrugge».

“Sink the Pink” (1985)

Anche per una band che ha intitolato una canzone Givin the Dog a Bone, Sink the Pink è un doppio senso sessuale piuttosto rozzo. Ma la canzone è uno degli inni rock più potenti degli AC/DC, con ritmi schiacciasassi, cori con le doppie voci e alcune linee di chitarra ben scelte, oltre a un assolo di Angus da paura. Fly on the Wall e la metà degli anni ’80 in generale sono comunemente considerati un punto basso nella carriera degli AC/DC. E in effetti Sink the Pink evidenzia alcune per loro inusuali concessioni alle tendenze dell’epoca, come i tamburi con il riverbero e un ridicolo video musicale a tema dance. Ma il brano dimostra anche che gli AC/DC, come dice il ritornello, sapevano come “regalare bei momenti” meglio di qualsiasi altra rock band.

“Who Made Who” (1986)

Dato che i loro testi erano solitamente più terra terra delle visioni distopiche di macchine che si rivoltano e soggiogano gli esseri umani raccontate in Maximum Overdrive, il classico di Stephen King, gli AC/DC sembravano una strana scelta per scriverne la colonna sonora. Ma King – che stando alla leggenda avrebbe dimostrato alla band di essere loro fan facendogli una serenata con Ain’t No Fun Waiting Round to Be a Millionaire – aveva insistito sul fatto che fossero loro a occuparsene. E la band ha ripagato la fiducia dello scrittore e regista scrivendo una delle canzoni più potenti degli anni ’80. Who Made Who è stata anche la prima hit per le radio della band da Flick of the Switch del 1983.

“Thunderstruck” (1990)

Nel bel mezzo del tour di Blow Up Your Video nel 1988, Angus Young ha deciso di andare a trovare i genitori della moglie in Olanda. Ha preso un piccolo aereo per andare al concerto della band a Berlino, e durante il volo il velivolo è stato colpito da un fulmine. Young pensava di morire e quando è arrivato a destinazione ha scritto Thunderstruck. «Ho iniziato buttando giù un piccolo giro che avevo int esta», ha ricordato una volta. «L’ho fatto sentire a Mal e lui ha detto “oh, io ho un buon ritmo che ci starebbe bene” e abbiamo costruito la canzone partendo da lì… ci è venuta in mente questa cosa del tuono, che suonava bene. AC/DC = potenza. Quella è l’idea di base». Il gruppo aveva registrato diverse volte la canzone in studio, ma Mike Fraser, che si occupava del mixaggio, ha detto che in quella che è diventata la versione definitiva Angus ha suonato l’iconico rapidissimo giro di chitarra in una sola take per tutta la canzone. Il risultato è così accattivante che da allora è diventato un punto fermo dei concerti della band.

“Big Gun” (1993)

Il brillante contributo degli AC/DC alla colonna sonora di Last Action Hero di Arnold Schwarzenegger è questo pezzo muscolare rock-blues che deve molto ai primi anni del gruppo, con un riff boogie-woogie e un giro di chitarra di Angus Young. È stato il primo lavoro della band con il produttore Rick Rubin ed è andato talmente bene che hanno lavorato di nuovo insieme su Ballbreaker nel 1995. Anche se alla fine il film si è rivelato un flop, Schwarzenegger in persona ha dato una spinta alla canzone apparendo nel video vestito come Angus e chiudendolo con una frase a favore di telecamera: «Questo è quello che chiamo azione».

“Rock the Blues Away” (2014)

Il terzo e ultimo singolo di Rock or Bust è un inno al piacere di uscire con gli amici. “Giocare a biliardo con gli amici”, canta Johnson, “fumare sigarette / raccontare barzellette / ridere tutti insieme”. Ma all’epoca le cose erano tutt’altro che felici per gli AC/DC, con il batterista Phil Rudd agli arresti domiciliari in Nuova Zelanda e il chitarrista Malcolm Young in una casa di cura per colpa dell’insorgere di una demenza prematura. A metà del tour di Rock or Bust, anche il cantante Brian Johnson ha lasciato la band per problemi di udito. Per un po’ è sembrato che Rock or Bust sarebbe potuto essere il loro ultimo singolo, ma le ultime notizie dicono che Johnson sarebbe tornato e il gruppo starebbe lavorando a un nuovo album. Se fosse vero, possiamo aspettarci qualcosa di non molto diverso da Rock the Blues Away. I fan non si aspettano niente di meno.

Questo articolo è stato tradotto da Rolling Stone US.

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