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Gli album dei Foo Fighters, dal peggiore al migliore

Era meglio il disco di ‘This Is a Call’ o quello di ‘Everlong’? O forse quello di ‘Learn to Fly’? E qual è il meno riuscito? Ecco la classifica degli album della band di Dave Grohl, uno che ha raggiunto il nirvana anche da solo

Foto: Brantley Gutierrez/RCA

Da almeno dieci anni, i Foo Fighters sono considerati una delle band di punta del panorama rock mondiale: riempiono i palasport, sfornano singoli, vincono Grammy. Tuttavia, nel 1995 nessuno avrebbe scommesso un centesimo sulle pretese soliste di Dave Grohl. Era già stato protagonista della più intensa vicenda musicale del decennio, perché perdere credibilità con un progetto del genere? In attesa del decimo lavoro in studio, abbiamo provato a mettere in fila tutti gli album della band, live ed EP esclusi, dal peggiore al migliore.

9Concrete and Gold (2017)

Pubblicizzato enfaticamente (e stupidamente) come l’album più rock di sempre, il nono lavoro in studio dei Foo Fighters mostra una band senza voglia di stupire il proprio pubblico. Non che manchi qualcosa al disco, ma la sensazione è che Grohl e soci potrebbero pubblicare album del genere ogni sei mesi, quasi col pilota automatico. I pezzi per riempire le arene, comunque, non mancano e Paul McCartney che suona la batteria, di per sé, vale il prezzo del biglietto.

8Echoes, Silence, Patience & Grace (2007)

Un album che parte fortissimo, per poi perdersi nella seconda parte. Il trittico iniziale è da urlo: The Pretender, Let It Die e Erase/Replace sono tra le cose migliori composte dalla band. Long Road To Ruin lascia immaginare che si prosegua sugli stessi livelli, ma lentamente l’ispirazione va un po’ a perdersi. È un lavoro vario che alla lunga perde mordente per via di alcune soluzioni non sempre all’altezza. Non a caso, seguirà una lunga pausa discografica.

7One by One (2002)

“Quattro brani erano buoni, mentre gli altri sette non li ho più cantati in vita mia. Ne siamo entrati e ne siamo anche usciti”. Queste le parole di Dave Grohl sull’album dei Foo Fighters a cui è meno legato. Eppure, One by One avrebbe potuto essere il gemello naturale di There Is Nothing Left To Lose se la travagliatissima gestazione non ne avesse compromesso la resa finale. Andatevi a ripescare la b-side Never Talking to You Again: capirete il perché della frase “no Hüsker Dü, no Foo Fighters”.

6Sonic Highways (2014)

Non è il disco migliore della band e nemmeno quello con un gran numero di brani rimasti nell’immaginario dei fan, ma è quello con alle spalle il progetto più interessante. Grohl decide di rendere omaggio a otto storici studi di registrazione americani e in ogni studio compone una canzone a tema. Il risultato sono una splendida serie tv e il resoconto musicale di quel viaggio. Non sempre l’operazione riesce, ma quando succede escono grandi cose come The Feast and the Famine e soprattutto la splendida I Am a River insieme a Tony Visconti.

5In Your Honor (2005)

Lo spartiacque della carriera discografica dei Foo Fighters, non a caso nato dopo uno dei momenti di maggior crisi di Grohl e soci. Dalle voci sempre più insistenti sullo scioglimento del gruppo si passa invece alla più ambiziosa celebrazione possibile dei suoi primi dieci anni. L’idea di un doppio album sembra una follia da nostalgici degli anni ’70 e forse qualche pezzo potrebbe rimanere fuori dalla tracklist definitiva, ma la qualità generale è altissima e coniuga l’appeal radiofonico di sempre con soluzioni inedite. Bello tornare a sentire Grohl in acustico.

4Foo Fighters (1995)

 

Molti hanno definito il disco d’esordio dei Foo Fighters l’ultimo urlo del Seattle Sound e in parte potrebbe anche essere vero. Foo Fighters è soprattutto il primo urlo di Grohl, che mostra al mondo di non essere una semplice comparsa in una delle avventure musicali più significative di sempre. Allo stesso tempo, Dave cerca di elaborarne il lutto, mescolando vecchi e nuovi stilemi musicali con estrema freschezza. This Is a Call e Big Me gli instant classics.

3Wasting Light (2011)

I quattro anni intercorsi tra Wasting Light e il precedente Echoes, Silence, Patience & Grace servono a Grohl e compagni per ricaricare le batterie e ripresentarsi al mondo con uno dei loro dischi più riusciti. Il primo singolo White Limo e il video che vede protagonista Lemmy Kilmister lasciano già intendere la voglia del gruppo di dimostrare la propria potenza. È però tutto l’album a sorprendere chi li riteneva in parabola discendente. Il disco sarebbe piaciuto anche a Kurt Cobain.

2There Is Nothing Left To Lose (1999)

Grohl decide di chiudere i suoi anni ’90 con una serie di brani che avrebbero potuto far parte di ognuno degli album precedenti della band. Il successo di The Colour and the Shape dà però all’ex Nirvana la consapevolezza di aver raggiunto il perfetto equilibrio tra ragione e sentimento, tra rabbia urlata a squarciagola e momenti radio friendly, ma non meno potenti. In pochi avrebbero immaginato un cammino del genere in soli quattro anni. Il mix è micidiale: Stacked Actors, Breakout, Learn to Fly, Generator e Next Year escono tutte da qui. Scusate se è poco.

1The Colour and the Shape (1997)

L’esordio di due anni prima era stato un fulmine a ciel sereno, la voglia di Dave Grohl di dimostrare di non essere solo un turnista alla corte di Kurt Cobain. Due anni dopo, Grohl ingrana subito la marcia più alta. Il secondo album è sempre il più difficile? Guai a dirlo a lui che, reclutata finalmente una vera band, dà alle stampe quello che forse rimarrà per sempre il suo capolavoro. In The Colour and the Shape è possibile trovare ogni sfaccettatura del suo animo, da quella punk cazzona a quella sentimentale, passando attraverso l’amore per tutti i suoi eroi musicali. E l’ultimo in cui terrà per sé il ruolo di batterista.

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