Nel 2005, trascinati dal fugace successo dei Tokyo Hotel, sette redattori di una rivista britannica si impuntarono nel voler fare una Top 50 dei migliori dischi emo di sempre. Come è ovvio aspettarsi, con simili premesse, il podio della classifica (Panic! At The Disco, Paramore e Fall Out Boy), creò non pochi travasi di bile tra i lettori e un incessante battibecco per mesi.
Lo spirito che ci anima in questa classifica – 10 brani essenziali (+6) – invece è lo stesso che abita in Jack Black commesso nel negozio di dischi Championship Vinyl nel celebre film di Stephen Frears del 2000. Siamo tra amici, nessuno giudica nessuno, ma non dite mai ad anima viva che non conoscevate Blonde On Blonde di Bob Dylan. Allo stesso modo, ma in chiave emotional-hardcore, abbiamo sommato 10 dischi che non possono mancare tanto nei vostri ascolti quanto nelle chiacchiere che farete tra il pubblico di una delle due date italiane (il 13 e il 14 maggio, a Bologna e Milano) dei redivivi Get Up Kids, leggendaria band emo di Kansas City la cui reunion ha creato non poco rumore nell’ambiente.
Sono 10 e per noi imprescindibili, sarà poi il vostro gusto a farvi amare uno più dell’altro. È stata una dura lotta, lo ammettiamo, ostacolata anche dalle incessanti new-entry che abbiamo lasciato fuori per un cauto beneficio del dubbio, e dai soliti noti che abbiamo preferito limitare all’osso per darvi una rosa meno scontata possibile. Se uno dei vostri album preferiti è rimasto fuori, molto probabilmente è stato di un soffio. Come nel caso dei Mineral di The Power Of Failing, dei Sunny Day Real Estate di How It Feels to Be Something On? o dei My Chemical Romance di I Brought You My Bullets, You Brought Me Your Love. Del resto, al pari di Jack Black, pure noi a volte pecchiamo un po’ di presunzione e di assolutismo. Per questo abbiamo eliminato anche tutte le derive tendenti al pop-punk; con buona pace di dischi come Good Mourning degli Alkaline Trio, Sing The Sorrow degli Afi e altri che comunque fecero la parte da leoni nei nostri ascolti dell’epoca. Per farci perdonare, abbiamo deciso di regalarvi non 1 ma 6 piani B, indicandovi sei album italiani che non vi faranno sembrare (solo) dei vecchi nostalgici esterofili del piffero ma gente “sul pezzo” veramente. Ecco: ora siete salvi. Ma se per voi emo sono i Twenty One Pilots il problema è vostro, sorry, noi non possiamo farci nulla.
The End Of The Rings Wars di Appleseed Last (1998)
Uscito nell’estate del 1998, ha segnato l’esordio della band originaria di Lawrence, Kansas, guidata dal chitarrista e compositore Christopher Crisci e autrice di una discografia centellinata ma sempre di grande spessore. Influenzata tanto dai Sunny Day Real Estate quanto dai Mineral, nel tempo finirà per abbracciare sonorità più vicine al post-rock che all’emo comunemente inteso.
Peripheral Vision di Turnover (2015)
Uscito nel maggio 2015, questo degli americani Turnover è un disco più complesso di quanto pare. Una punta nostalgica di fondo e un suono uniforme e smussato rendono Peripheral Vision un disco compatto e sotto alcuni aspetti unico nel suo genere. L’umore emo persiste di fondo in brani come Cutting My Finger Off ma con un pizzico in più dato da reminiscenze indie e persino dark.
Rites Of Spring di Rites Of Spring (1985)
Tutto nasce da qui, visto che il termine “emo” venne per la prima volta usato come epiteto contro il quartetto di Washington DC guidato da Guy Picciotto nel 1985. Eppure, per assurdo, quello dei Rites è uno dei nomi meno nominati quando si parla di emo. Piuttosto si inseriscono a forza i loro concittadini Fugazi, più legati invece al post-hardcore. Un ascolto storicamente obbligatorio.
Do You Know Who You Are? di Texas Is The Reason (1996)
A prescindere da tutto, questo è di sicuro il miglior titolo, le ultime parole dette da Lennon prima di essere ucciso, e il miglior nome, riferito alla cospirazione dietro l’omicidio Kennedy, per un gruppo emo.
Detto ciò, dall’inizio alla fine, questo disco uscito nel 1996 vive dei riff di chitarra di Norman Brannon: travolgenti, nove canzoni multiformi che portano l’ascoltatore fino all’estasi.
Four Minute Mile di The Get Up Kids (1997)
Appena diciottenni, caricano gli strumenti su di un van a Kansas City per dirigersi a Chicago, dove Bob Weston degli Shellac li aspetta per registrare. E’ il 1997 e ne viene fuori un disco che trasuda i migliori anni dell’adolescenza, tra foga, dubbi e tormenti amorosi. Tutto supportato dai due cantanti e chitarristi Matthew Pryor e Jim Suptic che trascinano la band in un vorticoso emocore.
American Football di American Football (1999)
Che poi non sarebbe il calcio, bensì quello che noi chiamiamo rugby. E allo stesso modo, nel 1999, questa band di Urbana, Illinois, confonde le acque del genere grazie soprattutto al talento irrequieto e policromo di Mike Kinsella. Ne viene fuori una notturna confessione che ammette che l’emo non può bastare, perciò inizia una danza al crepuscolo col jazz e il math rock. Colto e bellissimo.
Dance Tonight! Revolution Tomorrow! di Orchid (2000)
Secondo album della breve carriera della band di Amherst, Massachusetts. Formatosi nel 1997, il gruppo si è sciolto nel 2002 dopo aver pubblicato tre soli(di) dischi. Questo uscì nel 2000 e diventò all’istante un caposaldo dell’emo nella sua variante screamo. Qui il cantato si fa estremo, lancinante, senza compromessi, disperato, nichilista e la musica lo segue. A volte le emozioni sono forti.
Distal di Crash Of Rhinos (2011)
Uscito grazie alla bella intuizione di una piccola label torinese, la Triste, l’esordio di questi cinque ragazzi inglesi suona teso e vibrante. Sette brani che li infilarono nel 2011 in un grande calderone pieno di reminiscenze storiche, una freccia al cuore di ex-kids venuti su a pane e Faraquet, Archers Of Loaf, Karate e un sacco di altra bella musica. In un revival più toccante che anacronistico.
Somewhere at the Bottom of the River Between Vega and Altair di La Dispute (2008)
Partiamo dal presupposto che i loro tre album li dovreste ascoltare tutti perché vi potrà fare solo un gran bene, mettiamo il debutto del 2008 più che altro per quella Such Small Hands che di recente ho visto rifare per chitarra e voce da una ragazza che fino all’altro ieri blaterava di Avril Lavigne. Fare breccia così, in nemmeno 2 minuti, nelle orecchie e nella mente di qualcuno non è cosa da tutti.
The Devil And God Are Raging Inside Me di Brand New (2006)
Entrati dopo un testa a testa con i Touché Amoré di Jeremy Bolm, improntato sull’esatta percentuale di purezza emo nelle due band, i Brand New l’hanno spuntata per un diritto di anzianità più che per una reale inflessibilità. Anzi, magari è vero l’esatto contrario. Questo disco, inciso nel 2006, rappresenta in pieno l’emo della generazione Y. Un mix tra alt-rock, alt-pop e simil-prog.
Dopodiché, ci piacerebbe menzionare e farvi sentire anche qualcosa dei prime-mover di casa nostra. Gente che, in tempi non sospetti, nella prima e nella seconda metà degli anni Novanta, ha contribuito a rendere la scena italiana al passo con i tempi e competitiva con quella estera per come la (ri)conosciamo ai giorni nostri. Gruppi come i Frammenti o i NuvolaBlu di Torino, gli Eversor di Pesaro o gli Irrealtà di Vicenza. Purtroppo siamo costretti ad escluderli per la scarsa reperibilità del loro materiale (per alcuni uscito solo in musicassetta) e la totale assenza di video che ne possano completarne l’analisi. Speriamo però di incuriosire, con questa premessa, i più svegli e volenterosi affinché si mettano alla ricerca. Spulciando negli anfratti più reconditi del deep-web o, più realisticamente, curiosando negli ultimi negozi di dischi rimasti; nella speranza di trovare un valido Jack Black come commesso.
Di Tutte Le Cose Che Abbiamo Perso E Perderemo di Quercia (2019)
Uno degli apici di questo 2019. Un disco, quello dei sardi, suonato e sudato. Che parte dal concetto di emo e lo fa deragliare ora verso il post-hardcore ora verso lo screamo, creando undici brani uno più ispirato dell’altro. Il dolore nelle chitarre e le liriche di Luca Fois arrivano dentro per restare.
La Fine Non è La Fine di La Quiete (2004)
Scelta del nome quanto meno bislacca, i La Quiete da Forlì sono un gruppo emo/screamo semplice: hanno inciso più singoli, split ed EP (nove per la precisione) che album, ovvero uno solo, questo del 2004. Con testi bellissimi e un tiro micidiale, compresso in voli pindarici fulminei e in battaglia.
Riviera di Riviera (2014)
Ogni tanto spunta pure una tromba, in questo disco del 2014. Manco si trattasse di un side-project dei fratelli Kinsella. Invece siamo in Italia, in Romagna. Bello e malinconico, ottimo da spararsi in cuffia guardando fuori dal finestrino di un tram, magari sotto la pioggia. Genere: “megapeso”.
Days Like Years di Given Vent (2016)
Dietro il nome si nasconde in realtà solo Marcello Donadelli, emo modenese con un approccio quasi cantautorale alla materia proposta. Non a caso per lui si è spesso utilizzata l’espressione emo-writer. L’elettroacustica la fa da padrone in questa uscita del 2016; intimista, minimale ma toccante.
Sacrosanto di Gomma (2019)
Se vi piacciono o (vi piacerebbe stare al posto loro e quindi) vi stanno sul culo poco conta, è certo che se si parla di emo tra i giovani/ssimi, in un contesto storico in cui pure mia madre farà un disco trap prima o poi, lo si deve a quest’uscita del gennaio scorso. Ascolto obbligato. Anzi, sacrosanto.
Sfortuna di Fine Before You Came (2009)
Oramai, in determinati concerti, si vedono più maglie dei FBYC che dei Nirvana o dei Joy Division. E potremmo chiuderla qui. L’importanza dei milanesi è appieno rappresentata da una fanbase solida ed estesa all’estero. Questo immenso album del 2009 è il primo totalmente in italiano: una svolta.