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I 10 migliori album di Lucio Dalla

Meglio ‘Come è profondo il mare’ o il ‘Lucio Dalla’ del '79? Le follie con Roversi o l'elettronica di ‘1983’? Nel giorno in cui Dalla avrebbe compiuto 80 anni, ecco la classifica dei suoi dischi
lucio dalla 80 anni

Foto: archivio Sony

Lucio Dalla, o l’arte di essere Dio. Potrei fare i soliti discorsi sul fatto che pochi potevano vantare il suo genio, sul personaggio che è stato, estroverso ai massimi livelli e introverso come pochi al tempo stesso, sul fatto che non molti cantautori avevano una conoscenza e una cultura musicale altrettanto vasta e che è stato un compositore eccelso e un paroliere in grado di scrivere una serie di capolavori. Potrei parlare di tutto questo, ma direi cose risapute, già scritte un miliardo di volte. No, bisogna dire di più: Lucio Dalla è stato Dio.

Dio ama mettersi in gioco? Non lo so. Certamente Lucio lo ha fatto. Chi immagina un Dalla psichedelico? Lo è stato. E prog anche, e jazz pure, e folk. Non poteva accontentarsi di una normale carriera pop? Mi sa di no, era uno che, già enfant prodige, in pochi anni di vita aveva masticato mille miliardi di stili, quindi perché accontentarsi? Qualcosa in lui lo spingeva a cercare strade su strade e a volerle percorrere tutte, a cambiare, a capire i suoi limiti e i suoi obbiettivi. Appena raggiunto il successo con 4/3/1943 già era proiettato verso nuove avventure. C’erano mille altre cose da esplorare per entrare a far parte del cantautorato più evoluto.

Ma, un attimo, lui non era un vero cantautore, non sapeva scrivere i testi, o almeno questo pensava. Così arriva uno come Roberto Roversi in tre dischi che sono trattati di musica omnicomprensiva. Poi, come per magia, Lucio si rende conto di saperli scrivere eccome i testi, e che testi. Dal 1977 al 1981 conferma di essere Dio. Poi, siccome anche gli dei cadono, sbanda qua e là, l’inventiva viene meno a favore di un più onesto mestiere. Noi però siamo per parlare di religione e quindi lasciamo stare il mestiere e dedichiamoci alla classifica dei 10 indispensabili comandamenti di Lucio Dalla.

10

1983

1983

Quando pubblica 1983, Dalla ha già dato il meglio e cerca nuovi percorsi. L’album non appare del tutto a fuoco, dopo tanta perfezione le canzoni stentano a centrare il bersaglio, si sente che Dalla scalpita per qualcosa che non trova. Ma in 1983 c’è la mini-suite omonima, sei minuti di saliscendi emotivi in un piccolo affresco che dipinge la fine del sogno dei ’70 e il timore per questi ’80 iniziati da poco, tra Guerra fredda e musica leggerissima. Lucio non sa quello che succederà, e l’incertezza si sente tutta, ma quei minuti scaldano non poco i cuori tremanti di inizio decennio.

9

1999

1966

Altro anno, altro titolo, quello dell’esordio a 33 giri che è un piccolo bignami delle sue capacità dell’epoca. Parte con una serie di deliziosi brani così ’60 che di più si muore per poi offrire due omaggi: uno all’idolo James Brown, l’altro al trio tutto al femminile delle Shangri-Las. E non era così normale all’epoca che un cantante rifacesse il brano di una cantante. È una delle peculiarità di Dalla: quando pensi di averlo fotografato nel suo momento di sgargiante pop, ecco che se ne esce con due bombette psichedeliche nelle quali mette in scena viaggi acidi e futuri distopici. La sua meravigliosa imprevedibilità.

8

Storie di casa mia

1971

Storie di casa mia è il Dalla che si fa introspettivo e delicato in una serie di quadretti naïf nei quali, col senno di poi, già si intravedono alcune mosse future. Si avverte che in quel momento sta bene e vuole condividere col pubblico una manciata di canzoni belle e rasserenanti. Si gode il successo di 4/3/1943 e, spesso in coppia con la poetessa Paola Pallottino (altra particolarità per l’epoca: una donna che scriveva per un uomo) metteva insieme numeri color pastello quali Itaca, Il bambino di fumo, Il gigante e la bambina e La casa in riva al mare. Alla fine del disco si chiede Lucio dove vai. La risposta è: oltre.

7

Q Disc

1981

All’epoca la RCA chiamava Q Disc dei mini album con soli quattro brani venduti a prezzo speciale. Anche se si tratta dell’equivalente di un EP, non si può prescindere da queste canzoni che arrivano al termine di un triennio infuocato e che sono un post scriptum così intenso da non potere mancare in questa classifica. Tre pezzi sono figli della stessa ispirazione che aveva partorito gli album precedenti. La hit Telefonami tra vent’anni, l’ironica Ciao a te e sopratutto la struggente Madonna disperazione sono oltre il pop deluxe e più vicine a un senso assoluto di canzone, slegato da classifiche e traguardi. A chiudere un omaggio strumentale a Carole King, morbido commiato al miglior Lucio.

6

Anidride solforosa

1975

Dalla-Roversi atto secondo. Anidride solforosa è cupo, profondamente legato a temi sociali di grande spessore quali l’inquinamento, i detenuti del carcere minorile Ferrante Aporti di Torino e un serial killer statunitense. C’è però anche un delirante sketch ambientato nella sala borsa. A contorno delle parole il range nel quale si muove Dalla è ampio, dal pop al jazz passando per il folk e il funk, tra maratone sperimentali e momenti più melodici.

5

Il giorno aveva cinque teste

1973

Dalla-Roversi atto primo. Disco denso e variegato con brani nei quali vengono scardinate le strutture. Non esistono più strofe e ritornelli, ma un flusso musical-poetico dove non si perde mai il gusto per la melodia forte e l’arrangiamento variegato. Il disco si caratterizza per la presenza di momenti che si rifanno al prog sinfonico in voga in quel periodo, con innesti di sintetizzatori, cambi di tempo e di atmosfera. Il tutto usando parole che coadiuvano la riflessione sociale. «Ho capito che anche con una sola canzone si può infliggere al mondo una coltellata nel fianco», dice in quel periodo Dalla. «Sono del parere che un cantante, oggi, non può limitarsi a cantare perché la canzone è diventata motivo di discussione, di comunicazione, di lotta. Dal mio punto di vista non me la sento di prendere in giro la gente con motivetti facili, senza niente dentro».

4

Automobili

1976

Dalla-Roversi atto terzo. Automobili è il capolavoro della coppia, concept dedicato a passato, presente e futuro dell’auto che si segnala per la compattezza, la bellezza dei brani e i super arrangiamenti. Le canzoni sono le più lunghe della trilogia, suite colme di sorprese che mettono insieme l’afflato prog de Il giorno aveva cinque teste con quello jazz-rock di Anidride solforosa. Dentro ci sono anche bizzarrie cabarettiste e schizzi alla Demetrio Stratos, epopee a bordo di auto d’epoca tra le campagne emiliane, omaggi al grande Nuvolari, febbrili numeri psichedelici e aperture sinfoniche da brivido. Poi Roversi si rompe le scatole di avere a che fare con l’industria discografica, il sodalizio si scioglie e Dalla si vede costretto a ripensarsi.

3

Dalla

1980

Oramai Lucio Dalla sa scrivere canzoni formidabili. Dalla, con iconica copertina che rende immortale il suo baschetto, è giusto un piccolo passo indietro rispetto all’album precedente per la presenza di un paio di episodi (Mambo, Siamo dei) non perfettissimi. Ma le altre sei canzoni sono lo stato dell’arte del songwriting pop, brani che si prendono il tempo che meritano (sono tutti oltre i quattro minuti) per mettere in scena tutto il meglio. Poi qui dentro c’è Futura.

2

Lucio Dalla

1979

Dopo avere dimostrato di essere in grado di scriversi da solo i testi, Dalla è pronto al grande salto. In pochi mesi registra un pacchetto di nove canzoni di incredibile bellezza e profondità, messe insieme in un’opera che il cantautore sceglie di chiamare semplicemente con il suo nome e cognome, quasi a offrire un nuovo esordio. In Lucio Dalla il cantautore si apre al mondo e parla una lingua meravigliosa. E chi se non Dio poteva tirare fuori un disco nel quale trovano posto, in sequenza, L’ultima luna, Stella di mare, La signora, Milano, Anna e Marco, Tango, Cosa sarà, Notte e L’anno che verrà?

1

Come è profondo il mare

1977

Perché Come è profondo il mare è un gradino oltre tutto il resto? In primis perché è sa mettere insieme o spirito più avventuroso di Lucio Dalla con quello pop che da lì a poco esploderà. Poi perché qui Lucio concepisce poesie che sono schegge di vita, a volte metaforiche a volte no, pezzi di mondi e personaggi che si stampano immediatamente in testa. Sa evocare scenari surreali non dimenticando l’appiglio alla realtà, riesce a essere ironico, grottesco, poi amaro, poi dolcissimo. Qui dentro ci sono processioni di uomini in un mondo in rovina, padri disperati ma ancora capaci di sognare, caos cittadino, puttane di sinistra e masturbazioni, ritratti di esistenze nelle quali specchiarsi e infine il lasciarsi cullare dalle onde di un mare finalmente amico. Un viaggio che dalle angosce della title track conduce alla consapevolezza che a volte è sufficiente l’abbaiare di un cane e un piatto caldo per essere felici.

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