Tutti probabilmente ricordano il 1989 per la caduta del muro di Berlino e l’inizio del dominio degli Stati Uniti di Bush padre. Prima, in quello stesso anno, l’Unione Sovietica già viveva una profondissima crisi, a gennaio a Praga si teneva una manifestazione in onore di Jan Palach in cui furono arrestati e malmenati tantissimi manifestanti, l’esercito sovietico si ritirava dall’Afghanistan, nei Balcani due milioni di persone formavano una catena umana per sensibilizzare il mondo sulle condizioni di estrema povertà delle zone baltiche occupate dai sovietici.
In Italia Forlani diventava segretario della Democrazia Cristiana, il controverso monsignor Paul Marcinkus si dimetteva dallo Ior, a Venezia i Pink Floyd suonavano ad uno dei concerti più ricordati della storia del nostro paese ed Achille Occhetto annunciava che il PCI avrebbe cambiato nome, fra lo sgomento di gran parte dei suoi iscritti.
In Italia i singoli più venduti sono la Lambada, Viva La Mamma di Bennato e Batdance di Prince, negli Stati Uniti domina Look Away, la hit AOR dei Chicago, in buona compagnia con Every Rose Has It’s Thorn dei Poison, band che saranno spazzate due anni dopo da Nervmind dei Nirvana – esordienti con un LP proprio nell’89.
Andando oltre le mode tra paninari, metallari, dark, punk, rockabilly, gli anni 80 chiudono i battenti con alcuni album epocali, ecco a voi i 10 che preferiamo.
Prima di iniziare, però, qualche esclusione eccellente: dovendo nominare 10 album qualcosa rimane inevitabilmente fuori, fra questi vorremmo citare: On Fire dei Galaxy 500, Passion di Peter Gabriel, The Real Thing dei Faith No More, Full Moon Fever di Tom Petty e molte uscite eccellenti nel mondo metal per Sepultura, Morbid Angel, Godflesh e molti altri.
10. “New York” di Lou Reed
“New York is ‘meant to be listened to in one 58 minute sitting as though it were a book or a movie”, parole di Lou Reed, impossibili da non citare per uno degli album più riusciti della sua carriera. Il dio del songwriting urbano e decadente saluta il decennio con un album immenso, accompagnato da una delle formazioni più sperimentali della sua carriera: la fedelissima Maureen Tucker, Bob Wasserman, Mike Rathke e Fred Maher. Un disco rabbioso, onesto e con quella onesta sporcizia lirica di cui Lou Reed è stato il più grande interprete. Uno dei migliori dischi rock n’ roll degli anni ’80, con un’attitudine, una intelligenza deviata, una capacità seduttiva pressoché inesistente oggi, sicuramente nel podio dei migliori dischi solisti di Reed.
9. “Technique” New Order
Un album che cattura perfettamente quello che sono stati i New Order, band formata dai “sopravvissuti” dei Joy Division: un mish-mash straordinario di dance, synth-pop, new wave e cultura indie. Il disco, registrato a Ibizia – elemento che già rende abbastanza l’idea – è un po’ una post acid-house extravaganza, permeato da una malinconia costante, probabilmente una combinazione fra gli eccessi e le crescenti divisioni dei tre del gruppo. Un’ottima fotografia dell’anima festosa e del fondo malinconico degli 80s.
8. “Floating Into The Night” di Julee Cruise
Forse questo è il disco che i nostri lettori ricorderanno di meno, ma che merita a maggior ragione di essere citato. In un periodo in cui Twin Peaks sta vivendo una seconda giovinezza, non si può non menzionare questo splendido album interamente composto da quel genio di Angelo Badalamenti. Chi conosce bene l’iconica serie e David Lynch riconoscerà almeno 5 pezzi di questo album al primo ascolto. La voce eterea di Julee Cruise, le atmosfere di Badalamenti e alcuni testi sparsi di David Lynch ci sembrano elementi sufficienti per inserire l’album in questa classifica.
7. “Wrong” NoMeansNo
Non inserire un disco punk-hardcore in questa classifica sarebbe stato davvero un crimine, soprattutto per quello che questo genere ha rappresentato e generato negli anni ’80. I canadesi NoMeansNo conoscono alla perfezione la storia del genere e si spingono qualche passo oltre. Definire questo lavoro semplicemente hardcore sarebbe abbastanza ingiusto, in effetti Wrong esplora il punk rock, come il progressive (ma prendiamo il termine con il beneficio di inventario), trasformando l’album in una sorta di missile jazz-core, qui dentro ci sono fra le linee di basso più accattivanti e le follie vocali più brillanti del genere.
6. “3 Feet High and Rising” De La Soul
Nessun fan dell’hip hop negherà mai che questo sia uno dei migliori dischi degli anni ’80, la produzione è incredibilmente avanti per i suoi tempi, almeno quanto il disco di cui parleremo poco più avanti. 3 Feet High and Rising in un certo senso ha salvato il rap dall’ essere semplicemente un’espressione machista, drogata e testosteronica, riportandolo alla positività e a un’attitudine più gioiosa, positiva e pacifica. I beat, il flow e le rime sono colorate almeno quanto la copertina dell’album.
5. “Paul’s Boutique” Beastie Boys
Uno dei capisaldi di quello che per un breve periodo sarà chiamato progressive hip-hop o hip-hop alternativo, in particolare grazie soprattutto ai Dust Brothers (E.Z. Mike e King Gizmo), beatmaker molto in voga della scena losangelina. I beat creati per questo album sono quasi avveniristici se paragonati a quelli che l’album hip-hop medio proponeva in quegli anni, ma più in generale è il concetto di disco che cambia: non sarà più un insieme di tracce, ma un magnifico poutpourri citazionista – ogni brano campiona da un minimo di 4 a un massimo di 10 brani. Cambiano anche i riferimenti culturali, il disco oltre a citare i soliti mostri sacri del funk, prende anche in prestito dal rock, dal reggae e dalla tradizione americana. Tutto molto lontano da ciò che si era sentito in quell’attitudine da ironici, festaioli punk bianchi del primo Licensed to Ill. I Bestie Boys decidono di abbandonare il loro pubblico adolescenziale ed entrano in era crossover con un irripetibile disco di culto.
4. “Disintegration” The Cure
Se si dovesse scegliere un solo album per descrivere la carriera dei Cure probabilmente Disintegration sarebbe il migliore, deliziosamente cupo e sorprendentemente pop. La scrittura di Smith ritorna ad essere più cupa e melanconica, pur con l’intelligenza artistica della fase pop appena attraversata dalla band che sarebbe tornata con il magnifico Wish nel ’92. Il sound si aggiorna con arrangiamenti sinfonici e ripetizioni ossessive, dando ai Cure una veste ancor più apocalittica, ma mantenendo in qualche misura la capacità di ammaliare il pubblico e non distanziarsi. Probabilmente questo è l’album con cui saranno ricordati, certamente uno dei dischi più rappresentativi della decade che volgeva al termine.
3. “Bleach” Nirvana
Per i duri e puri è il disco più bello della band di Cobain, per altri (ingiustamente) è l’unico disco ascoltabile, l’unica vera gemma alternativa del trio di Aberdeen (quartetto poco prima dell’uscita di questo disco). Quel che è certo è che l’album apriva la stagione d’oro della band di Seattle. Oltre a contenere la celeberrima, meravigliosa gemma garage-rock About a Girl, l’album è un concentrato catchy di violenza urbana, sarcasmo giovanile sardonico e abrasivo. Per ovvie ragioni è l’album della Sub Pop che ha venduto di più in assoluto.
2. “The Stone Roses” The Stone Roses
“We are the best band because we have the best songs”. Evidentemente l’arroganza è di casa a Manchester, tuttavia all’epoca del loro primo (e ultimo) capolavoro era davvero difficile sostenere il contrario, l’esordio degli Stone Roses è un classico assoluto di quella che era la Manchester di quell’epoca (film consigliati: Control, 24 hour party people, Spike Island), quella stramba “summer of love” che ha investito la città fra la fine degli anni ottanta e metà degli anni novanta – più per le sostanze assunte che per il sole. L’album mantiene ancora un’affascinante veste di perla del pop-rock alternativo di culto, nonostante ormai l’hype gigantesco questo album ha raggiunto negli ultimi trent’anni che darà il via sia all’era brit-pop che alla neo-psichedelia baggy, non dimenticando la nascente scena rave.
1. “Doolittle” Pixies
Non penso che nessuno possa negare che i Pixies siano la band di rock alternativo più influente di sempre e che il loro Doolittle sia il disco più influente del genere. Meno ostico, caotico e spigoloso del precedente capolavoro Surfer Rosa, Doolittle è un disco straniante ma pieno di melodie orecchiabili, facciamo fatica a non pensare a qualche band successiva del genere che non abbia preso in prestito qualcosa da loro. Alcuni dei testi di Charles Michael Kittridge Thompson IV – passato alla storia come Francis Black – sono oscure e sinistre, benché la superficie sia ironica e divertente. Il classico cambio di dinamica piano-forte è un tratto distintivo che chiunque ha provato a copiare (leggete cosa dice Cobain di Smells Like Teen Spirit) ma che pochi sono riusciti a replicare. Un classico.