Il 18 febbraio 1968 David Jon Gilmour entra nei Pink Floyd. Da quel momento la musica della band cambierà per sempre. Gilmour ha il compito di affiancare il cantante e chitarrista (nonché principale compositore) Syd Barrett, sempre più distante mentalmente a causa dell’uso smodato di sostanze psichedeliche che non hanno solo reso bella e visionaria la musica del gruppo, ma gli stanno bruciando il cervello. In questo clima Gilmour, proveniente dai Jokers Wild e vecchio amico di Barrett, si trova a dovere fare i conti con la presenza di Syd nella band, che fa di tutto per dimostrare il suo malcontento per essere stato affiancato da un altro chitarrista. Tale periodo non dura però molto. In aprile i tre co-fondatori dei Pink Floyd, Nick Mason, Roger Waters e Richard Wright, decidono di mettere definitivamente alla porta l’amico Syd, stanchi delle sue follie, sopra e sotto il palco.
Dapprima timidamente poi in maniera sempre più decisa, David Gilmour dimostra di non essere un semplice sostituto. Il suo stile chitarristico è più raffinato di quello di Syd Barrett ma ugualmente capace di evocare scenari ‘cosmici’ grazie al sapiente uso degli effetti. Chitarrista di estrazione blues, mette a disposizione del gruppo un particolare modo di esibirsi in fraseggi, spesso lenti e melodiosi quando non acuti e positivamente strazianti, che diventeranno uno dei principali marchi di fabbrica dei Pink Floyd. Lo stile di David non è improntato al virtuosismo e all’esibizionismo, tutt’altro. Spiccano l’uso sapiente della scala pentatonica (scala musicale composta da cinque note), un certo modo di tirare le corde fino a raggiungere altre note (bending) e a un tocco unico che lo rende immediatamente riconoscibile.
A differenza dell’insicuro Wright e della sgraziato Waters, Gilmour possiede un timbro vocale che sa farsi dolce e intenso, ma anche rabbioso e rock, alla bisogna. La sua voce contribuirà a segnare alcune delle pagine più importanti e di successo del gruppo. Ciò fino a quando Waters deciderà di prendere definitivamente in mano la leadership e imporrà a tutti la sua voce rabbiosa e stentorea. Quando due paste vocali così distanti si uniranno nasceranno momenti di grande intensità.
Nel giorno del suo compleanno, ecco una classifica dei 10 momenti migliori di David Gilmour coi Pink Floyd.
10La pedal steel di “Atom Heart Mother” (1970)
Ci sono almeno due punti focali in cui il chitarrismo di Gilmour viene prepotentemente alla ribalta nella lunga suite che copre l’intera facciata del quinto album dei Pink Floyd. Da 3:55 a 5:22, quando David si dà da fare con la pedal steel guitar (manico di chitarra poggiato su un piano orizzontale sulle cui corde viene fatta scivolare una barra in metallo) producendo una serie di note in glissando (ovvero senza spazi tra l’una e l’altra) che vanno a incastrarsi perfettamente con gli arazzi dell’orchestra. L’altro momento importante è la sezione denominata Funky Dung (“sterco funky”), da 10:19 a 12:40, nella quale, su un formidabile tappeto di accordi ritmici di organo Hammond, Gilmour si lancia un un solo dal sapore funkeggiante. Un funk lento, ma al tempo stesso movimentato (grazie alla invenzioni della sezione ritmica) che cresce di intensità in maniera quasi sessuale.
9Il caos live di “A Saucerful of Secrets” (1969)
David Gilmour non è solo il chitarrista degli assoli carichi di passione ed emozione, specie all’inizio della sua carriera con i Pink Floyd è stato anche un abile sperimentatore delle possibilità che la chitarra poteva offrire all’epoca. Da questo punto di vista la versione live della title track del secondo album della band, contenuta in Ummagumma, è un vero laboratorio sonoro, con gli effetti di delay spalancati a creare veri abissi di caos. Si può ammirare David mentre esegue la suite durante Pink Floyd a Pompei, seduto per terra con la chitarra poggiata in grembo mentre da una parte percuote le corde, dall’altra aziona i pedali degli effetti in una baraonda sonica nella quale si incarna il concetto stesso di psichedelia.
8Il basso di “One of These Days” (1971)
Oltre a suonare la chitarra, qui Gilmour si esibisce anche al basso, suo è infatti quello che apre il brano, presto raggiunto da quello di Waters in un’accoppiata di strumenti fatti risuonare grazie a un eco Binson (effetto di costruzione italiana). David suona il basso anche nella sezione che va da 2:50 a 3:43, con un amplificatore H&H e la vibrazione impostata allo stesso ritmo dell’eco. Quando poi il brano esplode (da 3:44) torna in campo la pedal steel guitar con una serie di lunghe note in glissato che contrastano splendidamente con il ritmo forsennato della batteria.
7Il tema di “Dogs” (1977)
Il brano prende le fila da un giro di accordi scritto da Gilmour ed è stato sviluppato da Waters lungo 17 minuti. Dogs è il pretesto per mettere in luce il Gilmour compositore, che spesso propone spunti o parti di brano che poi vengono sviluppati insieme ai suo compagni. Sono pochissimi infatti i casi nei quali David compone interi brani per il gruppo, ma il contributo a livello di idee da lavorare insieme alla band è sempre fondamentale. Chitarristicamente parlando si segnala la sezione da 3:41 a 4:50, non un vero assolo quanto una tema melodico (doppiato, con alcune risposte da un’ulteriore chitarra sovraincisa) che dapprima viene ripetuto un paio di volte, poi si fa più carico e infine si apre (4:30) in maniera esaltante.
6L’assolo di “The Final Cut” (1983)
In un disco che da molti viene ritenuto minore, o un semplice sfoggio solista di Waters, Gilmour ha comunque modo di primeggiare fornendo il suo apporto, specie nel brano che intitola la raccolta. Uno dei migliori sforzi compositivi di Waters al quale David pone il sigillo con un assolo (da 3:27 a 4:05) di una solennità così alta da mettere i brividi.
5Il blues di “Time” (1973)
Quello di Time è uno degli assoli per antonomasia di Gilmour, una prova nella quale il suo stile di derivazione blues viene completamente a galla. Da 3:13 a 4:39 le note sono dapprima rade e lunghe, poi di fanno sempre più insistite e intense. David pare letteralmente scatenarsi, fino a quando (a 4:10) lo scenario sonoro si apre negli accordi del ritornello, con il coro femminile e le note di chitarra che tornano pacate e melodiche. Nel brano si segnala anche un’interpretazione vocale di Gilmour più arrabbiata del solito, stemperata poi dalla dolcezza del ritornello nel quale entra in campo la voce Richard Wright, presto raggiunta dalle armonizzazioni del chitarrista.
4Le quattro note di “Shine On You Crazy Diamond” (1975)
Quattro note quattro che sono entrate dritte nella storia della musica. Intitolato Syd’s Theme (tutto Wish You Were Here è dedicato all’ex leader della band) il tema (che inizia a 4:07) prende le mosse da uno stacchetto musicale contenuto in un programma radiofonico inglese degli anni ’50: Take It From Here (lo si può ascoltare qui https://www.youtube.com/watch?v=HgcozDVI9O0). Da questo tema prende forma tutta la suite che poi si dipana in due lunghi spezzoni nei quali la chitarra di Gilmour ha modo di mettersi in luce in svariate possibilità: dal classico assolo (pacatamente nell’intro, a 2:10, e in maniera più decisa a 7:35), in un arpeggio di sottofondo al sax (11:25), con lancinanti accordi sotto un solo di tastiere (1:02 della Part 6 to 9), con lo slide (2:31 della Part 6 to 9) e con la ripresa reiterata dell’arpeggio della prima parte (a 6:05 della Part 6 to 9).
3L’introduzione folk di “Wish You Were Here” (1975)
La canzone che fornisce il titolo all’album del 1975 mette in mostra alcune peculiarità del Gilmour compositore, spesso propenso alla dimensione della ballata folk. Anche in questo caso David viene affiancato da Waters che fornisce uno commovente testo dedicato a Syd Barrett. Nel brano Gilmour si produce in un’interpretazione vocale dolce e malinconica, semplice ma di grande pathos. Si segnala inoltre il contributo alla chitarra acustica (una vecchia Martin G35 acquistata a New York nel 1972), con un tema iniziale che praticamente ogni chitarrista in erba del mondo tenterà di riprodurre. Un tema semplice, ma perfetto che dimostra che per colpire dritto al cuore non c’è alcun bisogno di essere un virtuoso.
2Il trip di “Echoes” (1971)
Echoes è la suite perfetta dei Pink Floyd, il loro brano più bello e completo, con tutta una serie di sezioni che si vanno ad armonizzare perfettamente l’una nell’altra. Un lungo viaggio nel quale David ha la possibilità di mostrare tutto il suo talento e la sua inventiva. A cominciare dalla parte vocale, interpretata insieme a Richard Wright, per poi continuare con un ampio campionario di possibilità chitarristiche: il classico solo alla Gilmour, con note rade e sostenute (che con il suo svolgimento, da 5:24 a 7:01, anticipa quello di Time), quello letteralmente lancinante su un base funk (da 7:03 a 11:06), un’invenzione ottenuta con un pedale di wah-wah bloccato al contrario fino a ottenere un effetto larsen che crea una sorta di lamento emesso da spettrali gabbiani lungo tutta la parte onirica che va da 11:07 a 14:32 e, infine, un ostinato ribattuto su una corda (da 16:37 a 18:13) a creare una grande tensione che poi sfocerà nel grandioso arpeggio elettrico (18:14) che conduce al finale.
1La perfezione di “Comfortably Numb” (1979)
La vetta non può che essere occupata dal brano che più di tutti mette in campo le capacità di Gilmour. La canzone è divisa con Waters dal punto di vista compositivo. Dopo le strofe del bassista David introduce il ritornello più melodico che compone e interpreta in maniera perfetta, con la sua voce angelica in contrapposizione a quella venata di malinconico cinismo di Roger. Le ciliegine sulla torta sono però offerte dagli assoli: quello centrale (da 2:01 a 2:43) e soprattutto, quello finale (da 4:32), definito da più parti come il più bell’assolo della storia del rock. La parte è realizzata con una Fender Stratocaster del 1970, un distorsore Big Muff, un pedale Electric Mistress e un amplificatore Hiwatt collegato a delle casse Yamaha R-A 200. Qui David si lascia completamente andare e letteralmente vola con la sua chitarra in una serie di fraseggi via via più intensi ed emozionanti che dal vivo creano una vera apoteosi. L’assolo finale di Comfortably Numb è un qualcosa che vorresti non finisse mai, che continuasse all’infinito tanta è la bellezza. È l’assolo perfetto.