«Se volete capire la storia contemporanea ripartite dal 1979», così diceva un famoso articolo di Christian Caryl di circa 10 anni fa. Questo titolo potrebbe facilmente essere appiccicato alla nostra classifica sostituendo musica a storia, non creando particolari fraintendimenti. Epoca in cui la rivoluzione punk già veniva rimasticata da nuovi linguaggi, il rock entrava in classifica costantemente come musica da enstablishment, le hit radiofoniche erano un trionfo della tecnologia, il 1979 possiede gran parte degli elementi che vedremo nascere, morire e resuscitare negli anni successivi sino a oggi.
Abbiamo dovuto lasciar fuori moltissimi capolavori, perdonateci.
20. “The Wall” Pink Floyd
Il primo lavoro solista di Roger Waters? Il più grande disco rock di tutti i tempi? La filosofia del muro sciorina le turbe psicoanalitiche dell’ormai leader incontrastato dei Pink Floyd fra meravigliose ballate oniriche, intermezzi ambientali e composizioni in stile Broadway. Indipendentemente dal suo valore artistico e musicale che spesso viene discusso dai critici, rimane la sensazione che The Wall, amato e discusso, sia un dizionario pre-acquisito per ogni appassionato di musica.
19. “Drums and Wires” XTC
Drums and Wires degli XTC fotografa più di molti album che direzione stava prendendo quarant’anni fa la musica britannica (e non): ironica, divertente, straniante e vagamente nuova ed esotica. Un disco bizzarro ma accessibile, un capolavoro “new wave” spesso ingiustamente dimenticato.
18. “Lodger” di David Bowie
Lodger è il terzo e meno celebre album della cosiddetta trilogia berlinese del duca bianco: Low–Heroes–Lodger. Spesso il meno citato ma non meno importante, Lodger creerà un’eredità che sarà immensa negli 80 per Talking Heads, Japan, Peter Gabriel e molti altri. Un album che si pone il problema di rimanere in bilico fra scrittura autoriale e innovazioni di produzione, equilibrio che a nostro avviso raggiunge magnificamente, grazie anche all’incredibile lavoro di Brian Eno.
17. “Survival” di Bob Marley & The Wailers
Qui non ci sono le canzoni che avete sentito un milione di volte su Legend, probabilmente perché Survival è l’album più politico e militante di Bob Marley, che nel 1979 già godeva di una fama più che consolidata a livello globale. Ascoltare le speranze di Marley nel pezzo Zimbabwe è particolarmente doloroso oggi, ma fa cogliere perfettamente il sentimento positivo e di speranza nella retorica politica dell’epoca.
16. “Reggatta de Blanc” The Police
Reggatta de Blanc ha il compito di dare seguito all’immenso successo commerciale del debutto Outlandos d’amour e ci riesce. Il trio formato da Sting, Copeland e Summers suonerà interrottamente nelle radio inglesi dal 1978 al 1980, con un aggiornamento del sound dell’esordio ma più sofisticato e adulto. Da qui in poi rimarranno nella leggenda.
15. “Three Imaginary Boys” The Cure
Il primo album dei Cure mostra al mondo l’incredibile talento di Smith nello scrivere canzoni apparentemente convenzionali, pur riuscendo a suonare sempre affascinante e decadente. Questo album uscirà l’anno successivo in una forma aggiustata negli Stati Uniti con il nome Boys Don’t Cry.
14. “Highway to Hell” AC/DC
Amati e odiati, gli AC/DC non sono certo la band più intelligente e innovativa del pianeta rock, ma come diceva su queste pagine un signore di nome Rick Rubin: “non c’era nessuno che suonava come loro”, ed è esattamente questo il punto. Highway to Hell è l’ultimo entusiasmante disco con Bon Scott, prima che lui muoia e che gli AC/DC diventino, con Back in Black, una delle band rock più famose al mondo.
13. “Off the Wall” di Michael Jackson
Non molto prima che Thriller lo consacri Re del Pop, Michael Jackson dà alle stampe Off the Wall, prodotto da Quincy Jones, che diede a Jackson 4 hit, tra cui le celeberrime Don’t Stop ‘Til You Get Enough e Rock With You.
12. “Overkill” Motorhead
Siamo sicuri qualcuno potrebbe aver da ridire sulla presenza dei Motorhead in questa classifica, ma non sarebbe stato semplice lasciar fuori la band di Lemmy che nello stesso anno usciva anche con Bombe, ridefinendo e ravvivando la fiamma dell’heavy metal riletta in chiave punk.
11. “One Step Beyond” Madness
Il debutto dei Madness, i più allegri del movimento ska-revival inglese, trasuda gioventù da tutte le parti. Un album leggero e splendidamente pop, la cui bellezza è spesso oscurata ingiustamente dalle sue hit.
10. “Damn the Torpedoes” Tom Petty and The Heartbreakers
Tom Petty, uno degli ultimi grandi rocker proletari, arriva al suo terzo album con una fama già solida ma con più di qualche problema legato alla cessione della sua precedente label. Ciononostante, ci sono album destinati a diventare dei classici e questo Damn the Torpedoes – che cita l’ammiraglio Farragut, che vinse alla Baia di Mobile, uno degli eventi cruciali della guerra civile americana – suona un classico sin dalla magnifica opener Refugees.
9. “154” Wire
Provenienti dalla scuola d’arte e completamente analfabeti musicalmente, i Wire si accodarono alla scena punk nel 1977, di cui in realtà condividevano più la brevità e l’efficacia, che l’atteggiamento distruttivo e nichilista. Già dall’esordio si capiva come l’obiettivo fosse quello di decostruire. 154 è il perfetto album di passaggio fra la canzone punk e quella post-punk/new wave, modernista e intellettuale.
8. “The Specials” The Specials
“Non mi piace lo ska ma…” è forse una delle frasi più legate a questo splendido esordio degli Specials. Jerry Dammers fu l’uomo che lanciò il revival-ska, fondando la 2Tone Records, appropriandosi e approfittando della nuova libertà che il punk aveva lanciato. Prodotto da Elvis Costello, The Specials è uno dei migliori album rock della sua epoca.
7. “Metal Box” Public Image Ltd.
Formati da Johnny “Rotten” Lydon, fondatore dei Sex Pistols, i Public Image Ltd. crearono uno stile musicale unico che incrociava rock e dub, scavando in tutti gli stadi dell’alienazione, come provarono a fare altri coevi. Anche qui si vede splendidamente il passaggio fra la violenza verbale del punk e la denuncia dei possibili mali di un futuro tecnologico e alienante che offriva la moderna musica che si affacciava agli anni ’80.
6. “Y” The Pop Group
Don’t sell your dreams. Uno dei dischi più radicali, influenti, coraggiosi del ’79 è questo Y del Pop Group. La prima caratteristica che salta all’occhio è il dichiarato impegno politico, volto a distanziarsi chiaramente dal disorientato nichilismo punk. Il Pop Group primitivizza il funk da classifica, riconducendolo a una sorta di natura tribale, tutto ciò filtrato da una cultura occidentale più che consapevole.
5. “Entertainment!” Gang of Four
Il funk rivisto in chiave punk e provocatoria, privato del lato pirotecnico ed emozionale, sono stati questo i Gang of Four, autori di una musica danzabile e dai contenuti marcatamente marxisti/anti-capitalisti. Finiti ad influenzare la musica di Michael Stipe, Red Hot Chili Peppers e il moderno indie ballabile (vedi Franz Ferdinand), ma spesso dimenticati dal grande pubblico.
4. “Armed Forces” Elvis Costello & The Attractions
Il disco più politico, pop e accattivante di Costello, già dai due precedenti album etichettato come il più letterato fra gli artisti della new-wave britannica, un dizionario di repertorio rock che si muove nelle ossessioni individualistiche del giovane Costello fra metafore militari e drammi urbani. And I would rather be anywhere else than here today.
3. “Fear of Music” Talking Heads
David Byrne e i Talking Heads, in occasione del loro terzo album, acuiscono il lato funk e ballabile della loro musica, avvicinandosi a una disco-music affascinante e orgiastica. Il tono giovanile dei primi due dischi viene abbandonato a un tono più profetico e austero, ossessionante e ossessionato. Un’opera di arte moderna, un disco che non ha epigoni.
2. “Unknown Pleasures” Joy Division
Si è detto così tanto di questo album, uno dei dischi manifesto della new wave, che spesso si dimentica che la carriera dei Joy Divison è durata poco più di quattro anni e una manciata di concerti. Ian Curtis viene spesso accostato a un ibrido fra Jim Morrison e Lou Reed: è il poeta che ammalia mentre la band crea quel sound che sarà per sempre associato alla moda dark-wave. Un disco rabbioso e decadente, il più grande album indipendente mai uscito.
1. “London Calling” The Clash
Il disco con cui i Clash smettono di essere punk o quello in cui lo diventano più di chiunque altro?
Si è dibattuto molto su questo tema. Quel che è che certo è che i Clash cambiano completamente le carte in tavola con una pietra miliare che affronta 35 anni di musica rock in Inghilterra, cambiando la percezione di ciò che è punk a livello globale, se non fosse stato per questo album il punk probabilmente sarebbe davvero morto.