«Io sono lì con la mano tesa e spero che qualcuno l’afferri». Così Aretha Franklin ha descritto la sua missione di cantante. Questo legame profondo tra artista e ascoltatore è il tipo di connessione che sta alla base della musica. La nostra lista dei più grandi cantanti di tutti i tempi è un modo per celebrare questa connessione: ecco le voci che hanno fatto la storia e cambiato le nostre vite, dai più raffinati agli urlatori, dal gospel al punk, da Sinatra a Selena fino a SZA.
Quando, nel 2008, Rolling Stone ha pubblicato la prima lista dei 100 cantanti più grandi di sempre, ha utilizzato un complesso procedimento di votazione che teneva conto anche dell’input di alcuni musicisti molto noti. Questa nuova classifica è stata invece compilata dai nostri redattori e collaboratori principali e copre 100 anni di musica. Non ci sono cantanti d’opera: ci occupiamo di pop in senso lato, il che significa che quasi tutti gli artisti di questa lista hanno avuto carriere significative nel mercato di massa o come voci “crossover”.
Prima di iniziare a leggere (e commentare) tenete presente che questa è una lista dei cantanti più grandi, non delle voci più grandi. Il talento è impressionante, il genio è trascendentale. È vero che molti degli artisti citati hanno una voce notevole, sono perfettamente intonati e dotati di un’estensione notevole. Ma ci sono anche vocalist come Ozzy Osbourne che non hanno una bella voce, però hanno una gran voce.
Abbiamo quindi valorizzato l’originalità, l’influenza esercitata, la varietà e l’ampiezza della discografia. Ci sono voci splendide come quella di Mariah Carey, aspre come quella di Toots Hibbert, austere come quella di Willie Nelson, sontuose come quella di D’Angelo o caratteristiche come quella di Bob Dylan. Ma alla fine i cantanti sono in questa lista per una sola ragione: sono in grado di rifare il mondo semplicemente aprendo bocca.
Qui sotto le prime 50 posizioni, in coda le altre fino alla 200.
50
«Ero una piccolo soprano tutta sospiri», ha detto Joni Mitchell nel 1969. «Poi un giorno ho scoperto che potevo cantare nel registro basso. Ho pensato che avere perso la mia voce per sempre». Non era così. La sua bravura nello scrivere canzoni è stata ampiamente celebrata, specialmente in tempi recenti e dalle generazioni più giovani, ma anche la sua voce è irraggiungibile: il modo in cui sale di più ottave senza alcuno sforzo, la maniera in cui è a proprio agio nel registro basso come in quello alto, la sua profondità roca (per averne un assaggio basta ascoltare l’incredibile gioiello Lesson in Survival, dall’album For the Roses). Nonostante anni di sigarette e problemi di salute, ancora oggi Mitchell ci ricorda la sua grandezza con partecipazioni a sorpresa o preziose gemme recuperate dagli archivi. (A.M.)
49
Rod the Mod non si è limitato a copiare il modo di cantare passionale e ruvido del suo eroe Sam Cooke. L’ha reinventato diventando uno dei massimi interpreti rock. Stewart è in grado di spezzarti il cuore mentre canta come un ubriacone e sa farti rabbrividire o sorridere con la stessa facilità. Quando è in palla, rende meravigliosi anche i pezzi più ordinari. Quando il materiale con cui si cimenta è ottimo, diventa irresistibile. Se avesse pubblicato anche il solo Every Picture Tells a Story del 1971, un tour de force vocale in cui ogni emozione è evocata con estrema precisione, meriterebbe di comparire in questa classifica. Non ha mai smesso di imparare nuovi trucchi, come dimostrano i vari volumi di Songbook. (M.M.)
48
«Ho sempre avuto una voce bassa», ha detto Toni Braxton al Guardian nel 2020. «Ricordo che, a scuola, tutte cantavano Joy to the World e io ero l’unica che non riusciva a farla nella tonalità giusta». La voce della cantante R&B lascia ancora senza parole e non per ciò che non è in grado di fare: è per il timbro morbido e la capacità di infiammare anche i sentimenti più semplici. La super hit Un-Break My Heart ne evidenzia l’estensione della sua voce, ma è nella riflessiva Breathe Again che mostra d’essere in grado di far salire lentamente l’emozione fino a ottenere un effetto devastante. (M.J.)
47
La regina del country-rock non ha mai voluto essere una soprano che si limitava a un solo genere. E perciò nell’arco di quattro decenni s’è fatta guidare dalla curiosità invece di assecondare i desideri dei fan, mossa tipica anche del suo amico Neil Young. Si è rapidamente affermata come la più grande interprete nella storia della musica cantando di tutto, dagli standard operistici al repertorio tradizionale messicano della sua famiglia, facendo conoscere ai baby boomer canzoni che, altrimenti, non avrebbero mai scoperto. E con un’estensione leggendaria di diverse ottave poteva davvero cantare di tutto: chi altri sarebbe in grado di interpretare come lei sia Blue Bayou che Tú, sólo tú? (A.M.)
46
Da componente della band di famiglia degli Staple Singers, Mavis Staples ha portato la forza del gospel nelle classifiche pop: ascoltatela in I’ll Take You There. Nei dischi che ha pubblicato negli ultimi due decenni, che cantasse di diritti civili o lavorasse con collaboratori come Jeff Tweedy, Staples ha trovato sempre il contesto giusto per la sua vocalità. Ma ha anche dimostrato che le voci possono invecchiare in modo straordinario ed espressivo. Staples ha avuto una vita all’insegna di alti (era nel Last Waltz di The Band) e bassi (la perdita del padre e delle sorelle) e in tutto ciò che canta infonde esperienza, calore, saggezza, accettazione. (D.B.)
45
Le voci cambiano, succede col passare degli anni. Nel caso di Ella Fitzgerald, lo stile si è arricchito, la vocalità ha guadagnato in carattere e il suo fraseggio in sensibilità, mentre la voce ha dato l’illusione della giovinezza per decenni, anche quando aveva superato decisamente i 60 anni. Pazzesco. Il celebre eloquio precisissimo di Fitzgerald era lì fin dalla sua prima incisione, A-Tisket, A-Tasket del 1938 con l’orchestra di Chick Webb. Se l’orecchio di chi è cresciuto col rock potrebbe trovare un po’ fredda la sua precisione chirurgica, la grana della sua voce è sempre meravigliosamente calda. È sensuale, erudita ed energica e vale la pena ascoltarla in tutte le fasi della sua carriera. (M.M.)
44
Definire James Brown semplicemente un cantante sarebbe sminuente Se lo si ascolta al suo apice, tipo in brani come Super Bad, si è esposti a un fuoco di fila ininterrotto di effetti vocali. Il suo inimitabile canto roco è solo la rampa di lancio. A sparare in orbita le sue performance sono il modo in cui bilancia il fraseggio con piccole digressioni che attirano l’attenzione (esortazioni aspre come “Heh!”, “Hey!”, “Good God!”) e, nei passaggi dai bridge alle strofe, quel tipico urlo che scrosta la pittura dai muri, come un Little Richard in saturazione. Brown era in grado di cantare melodie come i migliori interpreti (si ascoltino Try Me o It’s a Man’s Man’s Man’s World), ma la sua vera genialità consisteva nel trasformare la vocalità pop in uno sport di contatto: una tecnica che Michael Jackson, fra gli altri, avrebbe utilizzato per costruire il suo impero. (H.S.)
43
Con un registro altissimo che rivaleggia con quello della migliore Mariah Carey e una voce che copre otto ottave, Ariana Grande è diventata una delle più grandi star degli anni 2010, ma la sua genialità si esprime su più livelli. Essendo brava, conosce l’importanza dell’essere misurati e usa il suo dono in performance mozzafiato (vedi God Is a Woman), ma anche semplici (7 Rings) disseminate in un catalogo già piuttosto ricco. La scaletta del tour di Sweetener non dava tregua: una raffica di hit sparate senza perdere colpi. Ancora più notevole è la sua abilità tecnica. «Conosce ogni minuscolo aspetto della sua voce», dice Savan Kotecha, co-autore che lavora con lei fin dagli esordi: «“Qui c’è una nota leggermente calante”. E noi: “Cosa? No, non lo è”. E lei: “Sì invece, in quella sillaba là”. Ariana Grande alla voce è il corrispettivo di ciò che Jimi Hendrix era alla chitarra». (M.C.)
42
Anche se è stato uno dei cantanti più importanti dei ’70, ci sono voluti anni perché il nome di Teddy Pendergrass diventasse popolare. Ha acquisito una certa notorietà all’inizio dei quel decennio come cantante (ma non leader) del gruppo Harold Melvin and the Blue Notes, per poi intraprendere la carriera solista nel 1977. La sua voce non era fatta per restare in secondo piano: il timbro imponente come una sequoia era il fulcro di emozioni altrettanto enormi. La voce virile e possente di Teddy poteva rendere una separazione simile alla fine del mondo (The Love I Lost del 1973 è l’esempio più devastante), ma sapeva anche essere di una delicatezza avvolgente, come nella supplica del 1975 Wake Up Everybody. (M.M.)
41
Etta James è una delle voci blues per eccellenza. Non solo ha contribuito a plasmare il primissimo R&B e il rock’n’roll, ma è anche diventata il modello per una nuova epoca di standard. Il suo contralto versatile le ha permesso di affrontare diversi generi e di esprimere l’ampia gamma di emozioni delle sue canzoni. Aveva una voce che ammaliava e comunicava con disinvoltura sia una furia immensa, sia passioni tenere. La sua At Last ha accompagnato all’altare milioni di coppie in tutto il mondo, legando per sempre il suo ricordo alla rappresentazione in musica più pura dell’amore da favola. (B.S.)
40
Forse la cosa più notevole della voce di Aaliyah, oltre a versatilità ed estensione, era il controllo quasi sovrannaturale: sembrava sempre che trattenesse la potenza per arrivare a esplorare meglio ogni aspetto dei sentimenti che descriveva. Non vuol dire che aveva un’espressività emotiva limitata, anzi. Il suo fraseggio sprigionava calore quando un brano sensuale lo richiedeva e la sua intelligenza musicale era sempre ben in evidenza. È scomparsa tragicamente a soli 22 anni, nel 2001, e perciò non sapremo mai quanto si sarebbe evoluta in profondità e ricchezza. Il segno che ha lasciato nel R&B e nel pop negli anni ’90 è però indelebile. (M.M.)
39
L’era moderna della popular music americana inizia con Louis Armstrong. La sua voce dal tono roco e immediatamente riconoscibile piaceva subito e funzionava alla grande sia nel registro comico (You Rascal You del 1931), sia in quello tragico (Black and Blue del 1929). In più, il suo swing rilassato e accentuatissimo ha trasformato profondamente il senso del ritmo nel pop (non solo a livello strumentale, ma anche nel cantato). Ascoltate le sue outtake di studio degli anni ’50 in cui reinsegna a Lotte Lenya (la cantante che l’ha interpretata originariamente) come swingare Mack the Knife: sentirete quanto lei è desiderosa d’imparare, perché sapeva di avere il migliore insegnante possibile. Per non dire del suo modo rivoluzionario di suonare la tromba. (M.M.)
38
Ci sono musicisti che si cimentano col falsetto. Curtis Mayfield ci viveva dentro, cantando con una voce mielosa capace di tessere le trame vocali più coinvolgenti mai sentite nel pop. Era un suono che si abbinava perfettamente all’approccio doo-wop e gospel degli Impressions (la parte di Mayfield in People Get Ready ha qualcosa di angelico) e funzionava bene anche nelle canzoni di protesta, quando raccontava la storia di una “vittima delle esigenze del ghetto” in Pusherman o parlava della morte violenta di un amico in Billy Jack. «La bellezza del suo stile è che la voce è delicata e accessibile, non è aggressiva o minacciosa», ha detto Aloe Blacc, «ma al contempo i testi sono potenti e politicizzati». (H.S.)
37
Per toccare con mano il genio vocale di Van Morrison occorre andare oltre le parole. Possiamo concentrarci, per esempio, sulla seconda parte di una sua performance live del 1974 di Listen to the Lion: comincia con un crooning dolcissimo e un mormorio estasiato, prova una dozzina di cadenze diverse sulla parola “you” e alla fine si abbandona a grugniti e gemiti. Fin dai suoi esordi nei Them, poi durante gli anni mistici di Astral Weeks e Veedon Fleece, fino alla sua incarnazione attuale nei panni di cantore rude di R&B (con idee profondamente errate sui vaccini anti-Covid e i lockdown), ha sempre cercato di coniugare i lamenti e le urla dei suoi idoli come Lead Belly e Ray Charles con un’instancabile ricerca di ciò che Greil Marcus descrive come lo “yarragh”, la verità fondamentale di una canzone. (H.S.)
36
La voce di Cobain era un suono in guerra con se stesso: spesso ruvida al punto di sembrare grottesca, ma fortemente melodica anche quando era imbruttita. Questa miscela nasce dalle sue diverse influenze vocali, che vanno dalle cantilene leziose di Eugene Kelly e Frances McKee dei Vaselines fino al ringhio ferito di Greg Sage dei Wipers. Il risultato era una voce in grado di far emergere la melodia nel noise-metal caotico di School o Breed e di scovare la lametta nascosta nel frutto grunge di Drain You o In Bloom. «È una voce che mi ha sempre sconvolto», ha detto John McCauley dei Deer Tick a Rolling Stone. «Avevo già sentito gente con la voce roca, ma quella di Kurt era diversa. Non è una voce bella, non si era certo formato con degli studi formali, ma mi dava speranza». (H.S.)
35
Sfrontata, sexy, divertente e triste: Dusty Springfield era in grado di emergere in mezzo a un muro di suono (il suo grande successo d’esordio I Only Wanna Be with You), evocare timidezza lussuriosa (The Look of Love) o trasudare sicurezza sessuale e seduzione (Breakfast in Bed). In What Have I Done to Deserve This, la sua hit del 1987 coi Pet Shop Boys, si è adattata senza problemi a un contesto techno pop. Il suo apice è senza dubbio è la performance vulnerabile e gioiosa in Son of a Preacher Man, il momento più elevato di un’artista che per molti è la più grande cantante soul bianca di tutti i tempi. (J.G.)
34
Il suo falsetto dolente ha aperto la strada a migliaia di Chris Martin, nessuno dei quali si è mai neppure avvicinato all’ululato ferito di Street Spirit, alla nota altissima e ultraterrena in Let Down o al mormorio magnetico in Wolf at the Door. Ciò che quei millennial mugolanti non hanno saputo imitare è la genuina alienazione nella voce di Yorke, la sensazione che lui sia sincero quando canta di essere terrorizzato dalle automobili, dai computer e dai minotauri. Se anche tu provavi le stesse cose, lui era il tuo uomo. Ha detto: «Trovo nella musica una qualità catartica della musica anche nei momenti di stress. La musica finisce per sorprenderti. Ti prende alla sprovvista». Questo è un suo modo tipico, sobrio, di descrivere ciò che ha dato al mondo negli ultimi 30 anni. (S.V.L.)
33
La strada che porta alla Regina del soul comincia con l’Imperatrice del blues. L’uptown blues di Bessie Smith degli anni ’20 e ’30 l’ha fatta diventare la cantante preferita di Mahalia Jackson, ha ispirato Dinah Washington a incidere un album in suo tributo e ha spinto Janis Joplin a comprare una lapide da posare sulla sua tomba. Che declami dal profondo la sua Down Hearted Blues o affronti ’Tain’t Nobody’s Bizness If I Do con piglio gioioso, Smith sembra la sorella maggiore che ha ispirato le urla di Lizzo e i gemiti di Rihanna: l’antenata di tutte le cantanti che splendono di regalità, ma restano coi piedi per terra. (D.C.)
32
Il ricco tono baritonale e l’impostazione attoriale di David Bowie inizialmente l’hanno fatto apparire ostico alle orecchie abituate a stili vocali più blues e colloquiali. Ma il suo modo di cantare non era affatto snob e, man mano che prendeva confidenza col ruolo di rock star, si è fatto più sciolto e sicuro, in particolare nei rave up ad alto tasso di energia che gli hanno consentito di sbaragliare la concorrenza a livello vocale. Era parte integrante della sua formazione di ragazzo appassionato di teatro. Life on Mars? ha contribuito a creare il modello della power ballad e le numerose incursioni nel soul americano hanno dato vita ad alcune delle sue performance vocali più intense. Il falsetto in Young Americans potrebbe essere l’apice assoluto di Bowie. (M.M.)
31
Quella del crooner soul Luther Vandross veniva spesso definita «voce di velluto» quando ancora calcava le scene e il suo timbro da tenore levigato e duttile arroventava jam lente come la scintillante Here and Now e infondeva vita e pathos a brani come la passionale A House Is Not a Home e la triste Dance with My Father. Vandross ha sviluppato una profonda conoscenza del canto come forma d’arte. Nel 2010 il turnista Marcus Miller ha parlato con NPR di come Vandross studiasse gli altri cantanti e riuscisse a dissezionare le tecniche che artisti come Dionne Warwick e Donny Hathaway utilizzavano per emozionare. Nonostante fosse un rigoroso studioso del canto, le sue performance erano sentite e naturali. (M.J.)
30
Hank Williams era in grado di fare lo yodel, gemere, cantare da crooner, agitarsi, fremere, lamentarsi, urlare o (come nelle sue incisioni a nome Luke the Drifter) predicare. Aveva la straordinaria capacità di convogliare l’intero bagaglio emotivo d’un brano in una sola parola. C’era il peso di una separazione devastante nel modo in cui cantava la parola “apart” in Cold Cold Heart. E quando cantava “Cosa bolle in pentola?” in Hey, Good Lookin’, quel “cosa” esuberante e prolungato raccontava una storia degna di un romanzo circa il protagonista della canzone. Oppure pensiamo alla redenzione che esprime con il “cool” di Cool Water. Perché quasi dopo 75 anni i pezzi di Hank Williams sono ancora degli standard country? Il motivo, in gran parte, risiede nel modo in cui li ha interpretati. (J.B.)
29
Le performance vocali di Chaka Khan possono essere vere e proprie cavalcate da brivido. Ascoltate come interpreta la fine di I Feel for You (scritta da Prince), quando risponde a Melle Mel, che le propone di “rockarla” con un lunghissimo “iiiiiii” a pieni polmoni che mostra la sua potenza ed estensione vocale. Quel momento, da solo, le garantirebbe l’inclusione in questa classifica, ma la sua discografia (da solista e con la funk band Rufus) ne comprende molti altri. Sa esprimere ogni tipo d’emozione: i suoi versi su scala discendente in Tell Me Something Good sono controbilanciati dalla spavalderia del ritornello, mentre nell’inno proto-girl power I’m Every Woman canta con la sicurezza e il fervore di una che è pronta a guidare le sue compagne verso la terra promessa dell’uguaglianza. (M.J.)
28
Ancora oggi, a 50 anni dalla scomparsa, nessuno incarna più di Mahalia Jackson l’immagine della cantante gospel: un donnone col vocione, le mani giunte davanti a sé, gli occhi al cielo o chiusi, meravigliata dal fatto di avercela fatta fin lì. Le performance di Jackson (mai uguali) di Didn’t It Rain e Take My Hand, Precious Lord sono caratterizzate da un’impetuosa improvvisazione bluesy, così come da un falsetto delicato, e sono in grado di esprimere solennità ed esuberanza in chiave religiosa. Il suo contralto era limitato dal punto di vista tecnico e lei ha fatto leva su questo limite trasformandolo nelle fondamenta del canto popolare americano. (D.C.)
27
Pura come l’aria di montagna, dolce come una pesca, adolescenziale anche dopo aver superato di parecchio la mezza età, ma anche profondamente matura: la voce di Dolly Parton è molto più di un «incrocio fra Tiny Tim e una capretta» (secondo la sua memorabile descrizione). Possiede tutta la purezza del country e anche le sue incursioni pop di fine anni ’70 hanno la stessa naturalezza, col senno di poi; così come pare naturale che la sua fama da star sia spalmata su tutti i media, per ovvia conseguenza del suo carisma. Riascoltate Jolene e fatevi prendere dal dramma espresso nel ritornello oppure sentite il trasporto che mette nell’inno firmato da Porter Wagoner When I Sing for Him. (M.M.)
26
Paul McCartney è un genio in molti campi (songwriting, produzione, capacità di suonare tutti gli strumenti e in particolare il basso), per cui non è cosa da poco affermare che forse canta anche meglio di quanto faccia tutto il resto. L’urlo di John Lennon è da manuale, ma la voce di Paul ha quasi la stessa intensità ed è più virtuosa (si veda Helter Skelter). Può affrontare una ballata in modo così dolce da rendere brillante anche un testo mediocre (nessuno supererà mai la sua versione originale di Here, There and Everywhere). Da I Saw Her Standing There a Band on the Run, fino ai momenti più carichi del recente McCartney III, pochi nel rock sono alla sua altezza. (M.M.)
25
Crescendo, Mary J. Blige si è data al canto come via di fuga e spesso, agli esordi, affrontava i suoi demoni nelle performance. «C’erano volte in cui era in studio per cantare e faceva la take più bella del mondo, ma scoppiava a piangere», ha ricordato il produttore Chucky Thompson a proposito del secondo album My Life. La cantante ha poi afferrato saldamente le redini di vita e carriera e le sue interpretazioni ne hanno beneficiato: l’emozione profonda è rimasta intatta, la cupezza è sparita. Ma, più di ogni altra cosa, è emerso il carattere di chi ne ha passate di tutti i colori e si rifiuta di mollare. (M.M.)
24
L’estensione della voce George Jones era notevole e lui la utilizzava appieno, ma raramente sembrava bullarsene. I suoi brani più leggeri potevano essere molto divertenti (dalla sostenuta Why Baby Why degli esordi alla demenziale Yabba Dabba Doo! (So Are You) dell’ultimo periodo), ma Jones era il più grande rimuginatore del country. Il modo in cui, a metà di una frase, indugiava su una parola (vedi “Ha detto ‘Ti amerò finché muoio’”, il verso di apertura di He Stopped Loving Her Today, del 1980) per dare un brivido all’ascoltatore faceva capire che era un uomo talmente pieno di sentimento da non riuscire a trattenerlo. (M.M.)
23
Smokey Robinson è un songwriter enorme e il cuore pulsante della sua leggenda è la voce. Come ha detto l’altra leggenda della Motown Martha Reeves, «riusciva a farti innamorare col suo timbro e la sua interpretazione». L’impero della Motown è stato costruito attorno a Robinson: quando tocca quelle note alte e incredibilmente delicate incarna l’essenza delle invocazioni romantiche. È cresciuto con il doo-wop degli anni ’50, ma ha inventato il proprio stile soul coi Miracles, spremendo emozione a fiotti da ballate come Ooo Baby Baby, The Tracks of My Tears o The Love I Saw in You Was Just a Mirage. Ha insegnato a cantare ai Beatles (come ha detto Paul McCartney, «per noi era un Dio»). La sua voce, col tempo, s’è fatta più potente e seducente, come dimostrano classici della maturità come Cruisin’ o il suo celebratissimo album A Quiet Storm. (R.S.)
22
Adele ha trovato letteralmente la sua voce maturando anno dopo anno. Alla fine degli anni 2000, quelli di Chasing Pavements, il suo mezzo soprano era disincantato, ma in Rolling in the Deep la voce si trasforma quasi in un pianto sommesso che evoca vendetta e rimorso. In Someone Like You, il suo successo strappalacrime tratto da 21, offre una performance eccezionale con vocali piene e arrotondate che trasmettono la consapevolezza di sé che cresce all’indomani di una separazione. Il registro espressivo di Adele si è ampliato nei dischi più recenti: più si allarga il registro stilistico della sua voce, più lei diventa forte. (M.J.)
21
“Gli uccelli volano alti, sai che lo sento / Il sole è in cielo, sai come mi sento”, cantava Nina Simone in Feeling Good (1965). E chi l’ha ascoltata sa ciò che lei provava, l’euforia che pulsava nella sua voce era eloquente. Simone era in grado di esprimere ogni aspetto dell’esistenza. Ha tirato fuori la rabbia nelle canzoni di protesta per i diritti civili come Mississippi Goddam, Four Women, l’orgoglio in To Be Young, Gifted and Black e la sua joie de vivre nella rilettura di Ain’t Got No/I Got Life da Hair. A proposito dell’interpretazione di Simone del 1976 di Stars di Janis Ian, Brittany Howard ha detto che «era straordinariamente viscerale e vera, come se cantasse della propria vita, anche se le parole non le aveva scritte lei». (K.G.)
20
Chi lo intervistava notava la precisione della voce di Gaye quando parlava, una qualità che si rifletteva nel suo modo di cantare: aveva un eloquio limpido, in ogni sillaba, anche quando sbavava la nota. A colpire è la sua varietà espressiva: è morbido, pieno di desiderio, sicurissimo di sé, dotato di una ruvidità che utilizza nei momenti chiave per controbilanciare il falsetto. Sapeva come raccontare un dramma, eccome: riascoltate come interpreta I Heard It Through the Grapevine o crea un calore erotico palpabile in Let’s Get It On. E poi ascoltate altri suoi pezzi: resistere non si può. (M.M.)
19
Il controllo del respiro, lo studio accurato di ogni parola, la ricerca continua della perfezione: Sinatra era anzitutto un colosso davanti al microfono. Pochi altri cantanti hanno saputo esprimere la stessa profondità di emozioni: How Insensitive, la sua collaborazione del 1967 con Antônio Carlos Jobim, trasmette la depressione più cupa di un uomo che nonostante tutto ancora resta in piedi, mentre nell’immortale I’ve Got You Under My Skin del 1956 ha colorato una canzone vivace trasmettendo un senso di maturità rilassata che comunicava la voglia di bella vita agli americani del Dopoguerra, cresciuti ascoltando Frankie alla radio. Il fascino elegante e la capacità di Sinatra di arrivare fino al nocciolo emotivo di una canzone sono ancora oggi stupefacenti. (M.M.)
18
Nella voce di Celia Cruz si può sentire moltissimo della sua vita: il tono intenso e inimitabile catturava il calore e la vitalità dell’Avana, evocando il richiamo dei venditori di strada e la potenza delle canzoni della santeria afrocubana che aveva ascoltato da piccola. Anche se si è fatta conoscere a Cuba, è poi diventata una star a New York, mostrando il suo infinito carisma e la potenza della sua voce con le orchestre di salsa più importanti di tutti i tempi. Cruz brillava con chiunque cantasse grazie alla capacità suscitare emozioni: sapeva catturare il senso di nostalgia e il desiderio, ma anche di urlare “azúcar!” e incarnare la voglia di vita che, ancora oggi, la rende una delle cantanti più eccezionali di sempre. (J.L.)
17
La voce di Elvis Presley era uno strumento sui generis: note alte piagnucolanti e basse intense in grado di portare Don’t Be Cruel al vertice delle classifiche statunitensi di pop, R&B e country nel 1956. Fra gli eroi di Elvis c’erano Fats Domino, Roy Orbison e Dean Martin, ma lui non cantava come nessuno di loro. Come ha detto Orbison, «c’è chi, cantando, recita bene, Elvis invece lo vive». Le incisioni del primissimo periodo come That’s All Right, Mama erano esplosioni di gioia ed entusiasmo. Il suo registro espressivo si è ampliato negli anni ’60 e ’70: Can’t Help Falling in Love è un esempio perfetto delle sue abilità da crooner, mentre la sua passione per il gospel è evidentissima in How Great Thou Art, un cavallo di battaglia dal vivo. Forse è Suspicious Minds il suo picco. Dall’apertura trattenuta fino al ritornello esplosivo, Elvis si piazza al comando di questa corazzata con spavalderia da vendere. Sì, le viveva le canzoni che cantava. (J.G.)
16
Non esiste un altro coro come quello in cui cantano tanti Prince. Ascoltate Adore, l’apice paradisiaco di Sign o’ the Times (1987), e crogiolatevi in quella soffice costruzione fatta di voci sovraincise, su più registri, assemblata con gioia. Cantare doveva essere una faccenda molto intima per Prince, che solitamente ordinava ai tecnici del suono di allontanarsi quando doveva incidere le parti vocali, e nella magistrale When Doves Cry o in The Holy River (pezzone tratto da Emancipation) raggiunge un grado di intimità rarissimo e stupefacente che rafforza l’impatto delle sue mosse da grande showman come il falsetto di Kiss. (M.M.)
15
Per alcuni la voce di Bob Dylan (specialmente quella aggressivamente nasale degli esordi) ha qualcosa di caricaturale, ma se è una delle voci più eccentriche d’America è anche per il mondo in cui trasformava quelle interpretazioni da brutto anatroccolo in qualcosa di espressivo tanto quanto i testi che scriveva. Quando ha imparato a padroneggiare del tutto il suo strumento, l’ha usato per comunicare ogni tipo di emozione, dallo sdegno (Like a Rolling Stone) alla devozione più profonda (If Not for You), passando per il pathos straziante (Goin’ to Acapulco, il capolavoro tratto dai Basement Tapes) e il veleno sardonico (Idiot Wind). In Nashville Skyline del 1969 si è anche trasformato in un crooner dalla voce limpida. Ultimamente ha utilizzato la sua voce sempre più roca per creare uno stile maturo, passando dal romanticismo malinconico (ad esempio My One and Only Love in Triplicate) all’umorismo nero (False Prophet). (H.S.)
14
Il vibrato che ti scuote l’anima di Freddie Mercury e la sua estensione di quattro ottave (per non dire del suo carisma eccezionale) hanno reso grande e spettacolare la musica dei Queen. Bohemian Rhapsody è lo specchio perfetto della grandezza di Mercury grazie a tutte le sue sezioni, tra cui il break in cui le voci del cantante, del chitarrista Brian May e del batterista Roger Taylor si fondono in un grande coro. La discografia dei Queen è strapiena di altri momenti che mostrano quanto talento avesse Mercury: in Somebody to Love si libra in alto, volando fra le ottave e i mood senza il minimo sforzo; Another One Bites the Dust è scattante e spavalda; The Show Must Go On rappresenta una chiusura mestamente perfetta, con Mercury che offre una performance esagerata, anche se ormai la salute lo stava abbandonando. (M.J.)
13
La carriera della pioniera del country pop Patsy Cline si è interrotta prematuramente (è morta in un incidente aereo a 30 anni), ma la sua voce forte e duttile la rende la portabandiera di tutti gli aspiranti cantori di cuori spezzati, e non solo a Nashville. Cline attribuiva la varietà del suo contralto alla febbre reumatica che l’aveva colpita a 13 anni: «Si potrebbe dire che la mia carriera di cantante sia iniziata quando sono tornata fra i vivi, dopo parecchi giorni», spiegava sarcastica nel 1957. Ma il modo pieno di sfumature in cui interpretava il suo repertorio romantico (Crazy, I Fall to Pieces) davano peso emotivo alle sue performance. Ecco perché tocca ancora i cuori, sei decenni dopo la sua morte. (M.J.)
12
La voce di Lennon era come la sua mente: agile, brillante, vitale. Dalla sua versione urlata di Money (That’s What I Want) di Barrett Strong, con i Beatles che superavano l’originale in veemenza rock, fino alla logorrea rabbiosa di Instant Karma! (We All Shine On), passando per un pezzo rock minore dell’ultimo periodo come What You Got, cantare dando tutto se stesso era il marchio di fabbrica di Lennon. Il suo primo album solista, Plastic Ono Band del 1970, è stupefacente. Come dice il critico Robert Christgau, è «un’escursione che tocca tutte le sfumature del rock, dall’urlo al lamento». Si può dire lo stesso del White Album, in particolare nel passaggio da Julia a Everybody’s Got Something to Hide Except Me and My Monkey. (M.M.)
11
Little Richard è il santo patrono di tutti i cantanti che hanno provato a spingere la propria voce oltre il limite. Le sue hit sono corsi accelerati su come creare eccitazione alzando di continuo la posta, a livello vocale: in Long Tall Sally lancia un urlo grintoso prima di partire con uno “whoo-oo-oo-oo!” in falsetto vertiginoso; in Good Golly, Miss Molly si spinge verso picchi d’intensità ancora più estremi, arrivando a emettere un ringhio che sembra pericoloso anche solo da imitare e, introducendo l’assolo di sax, si lascia andare a un urlo proto-punk che anticipa tutti, da Prince a Iggy Pop. (H.S.)
10
La voce di Al Green ha qualcosa di felino: una sinuosità che si manifesta in luoghi che l’ascoltatore non si aspetterebbe (la qual cosa è sempre gradita). Pochi cantanti, come lui, riescono a creare l’illusione di essere davvero trasportati dalla canzone che stanno interpretando. Che si nasconda in un groove di Memphis funk come un pitone pronto ad attaccare (si ascolti il pezzo degli esordi I’m a Ram) o sovraincida più tracce di falsetto etereo (come nel climax di Have You Been Making Out Ok), il Reverendo Green sa evocare il trasporto estatico come se fosse un gioco da ragazzi. In realtà, lavorava sodo ai suoi classici. Che canti di Dio o di erotismo, Green è il soul man definitivo. (M.M.)
9
Dal vivo (a partire dalla sua performance maestosa al Monterey Pop Festival del 1967) Otis Redding non conosceva limiti e faceva tremare il palco. In studio il raschio nella sua voce suonava che era una meraviglia, per non dire del suo controllo. Nelle ballate soul come Try a Little Tenderness, Mr. Pitiful e (Sittin’ on) The Dock of the Bay Redding assaporava ogni singola parola, aggiungendo esclamazioni alla fine delle frasi, senza mai esagerare. Un’altra grande testimonianza della sua forza è il modo in cui era in grado di fare cover di hit rock’n’roll come (I Can’t Get No) Satisfaction e A Hard Day’s Night facendoti dimenticare che erano già state cantate da altri. (D.B.)
8
Nella voce di Beyoncé è racchiusa l’intera storia della musica nera. In un certo senso, è una storica del pop, un’artista così innamorata degli idoli che l’hanno plasmata da cercare di continuo di rendere loro omaggio con la sua musica, con le sue performance e, ovviamente, con la sua voce. Eppure non c’è nulla di derivativo in ciò che fa: Beyoncé ha assorbito tutto ciò che poteva da Prince, Tina, Diana, Michael, Janet, Donna e molti altri e poi si è plasmata in forma di icona degna di stare al fianco di quei giganti. A volte è sfacciatamente sudista, altre angelicamente religiosa: la sua duttilità e la propensione al trasformismo vocale le hanno consentito di spaziare senza problemi dal funk al country all’hard rock (a volte nello stesso album). E ha controllo e potenza sia nel canto melodico che in quello rappato. (B.S.)
7
La voce di Stevie Wonder è in grado di trasmettere senza alcuno sforzo qualunque stato d’animo, dal romanticismo più ingenuo al realismo più spietato. Pochi altri cantanti possono rendere sia la tenerezza disarmante di You Are the Sunshine of My Life o I Just Called to Say I Love You che la rabbia ribollente di You Haven’t Done Nothin’ o Living for the City. In quest’ultimo pezzo c’è il tipico growl di Wonder, una delle tante tecniche vocali che utilizza per spingere una canzone al massimo (si vedano anche le acrobazie melodiche sul registro alto di Sir Duke o gli svolazzi quasi gospel nel climax di They Won’t Go When I Go). (H.S.)
6
«Dicono che sono un cantante jazz o blues, ma per me non c’è alcuna differenza», ha detto Ray Charles nel 1963. «Mi limito a cantare, interpretando le canzoni che mi piacciono. Tento anche di mettere un po’ d’anima in tutto». E intendeva proprio tutto. Charles era un gigante del R&B, del pop, del jazz e del country e il motivo per cui il suo box antologico del 1991 era intitolato The Birth of Soul è che la rilettura di Charles di una canzone gospel, che è diventata la lasciva I Got a Woman, ha dato il via alla soul music. Ha anche trasformato uno degli inni alla nazione più soporiferi di sempre, America the Beautiful, in un pezzo epico che ti strazia l’anima. Era in grado di infondere anima in qualunque cosa. (M.M.)
5
L’estensione: ecco cos’ha Mariah Carey. Spaziando in cinque ottave, la “elusive chanteuse” può passare agilmente dal growl caustico a un registro alto tagliente. Fin da Vision of Love, negli anni ’90, ha cavalcato il delicato equilibrio fra il R&B old school e il pop più moderno e spesso all’avanguardia. Il suo segreto è una dolcezza che può essere ora angelica, ora demoniaca, a seconda delle armi segrete che estrae dal suo arsenale vocale. Può fare di tutto, dai timidi sussurri sottovoce ai boati a pieni polmoni, con gli stessi risultati elettrizzanti. Combinando il suo talento vocale operistico con un atteggiamento da dura e una propensione per il glamour e il dramma, Carey ha aperto la strada a intere generazioni di imitatrici. Nessuna è ancora riuscita a superare la madre del pop moderno. (B.S.)
4
Leggende della voce jazz come Sarah Vaughan ed Ella Fitzgerald davano il meglio di sé usando la raffinatezza, Billie Holiday preferiva l’autenticità delle emozioni. È una qualità che le ha donato uno status speciale fra gli artisti come lei, dal sassofonista e suo collaboratore storico Lester Young fino a Miles Davis, che nella sua autobiografia ha scritto che quando Holiday cantava una ballata come I Loves You Porgy, che parla di una donna abusata da un amante violento, «potevi sentire quello che provava lei. Il modo in cui la cantava era bello e triste». Sarà nota per sempre come una poetessa della tristezza e le sue interpretazioni lente, dispensate con lentezza, si adattavano perfettamente alla disperazione (Lover Man) o addirittura al macabro (Strange Fruit, sul linciaggio). Ma era anche in grado di utilizzare la voce per trasmettere una gioia incontenibile (Too Marvelous for Words). «Billie Holiday trasmette alla perfezione il significato e l’intento di ogni singola parola che canta, anche a spese del timbro o dell’intonazione», ha detto una volta Joni Mitchell. «Billie è quella che mi tocca più nel profondo». (H.S.)
3
Nella popular music ci sono un prima e un dopo Sam Cooke. Nel 1957, all’avvio della carriera solista, era già una superstar con i Soul Stirrers, ma ha subito iniziato ad allontanarsi dalla soul music innovando e mischiando i generi. Il suo tenore è seducente in You Send Me del 1957 e fa sognare in Wonderful World, un brano che in mani meno sapienti sarebbe stato banale. Pochi cantanti assaporavano la sensazione di stare dentro a una canzone come Cooke. Nel Live at the Copacabana del 1964 interpretava standard perfetti, mentre in One Night Stand – Live at the Harlem Square Club (un concerto tostissimo del 1963, rimasto inedito fino al 1985) si lanciava in un R&B grezzo e vivace. E poi c’è il suo capolavoro del 1964, A Change Is Gonna Come. Cooke, attivista per i diritti civili e ispirato da Blowin’ in the Wind di Bob Dylan, canta “I was booorrrn by the river…” su un tappeto di archi e trasmette emozioni tanto quanto la musica. (J.G.)
2
Cantante R&B per antonomasia, Whitney Houston era una soprano tanto potente quanto dolce. Prendiamo la sua cover di I Will Always Love You di Dolly Parton, uno dei singoli più rappresentativi degli anni ’90. In apertura è teneramente meditabonda e la voce, senza accompagnamento strumentale, dà l’impressione che stia lasciando il suo amante con delicatezza. Ma ogni cosa diventa vetrina per il suo registro più alto, agilissimo e potente; canta la frase del titolo con feeling e perfezione tecnica, trasformando le emozioni conflittuali che costituiscono il nucleo della canzone in un trampolino per il prossimo passo della sua vita.
L’esordio di Houston, l’album omonimo del 1985, è uscito poco più di sei mesi prima del suo ventiduesimo compleanno, facendola subito entrare nel novero delle voci più potenti del pop. Non è successo per caso: stare a contatto fin da bambina con leggende R&B come Aretha Franklin e Roberta Flack (ma anche sua mamma, la cantante gospel Cissy Houston) le aveva inculcato l’idea di esprimere i suoi sentimenti cantando a pieni polmoni. «Ha avuto un grande impatto su di me, come cantante, performer e musicista. Se cresci in quel contesto, non puoi farne a meno. E mi ci sono subito identificata. Iniziare a cantare è stato naturale quasi come parlare». Questa naturalezza le ha consentito di lanciarsi in interpretazioni insuperabili. Saving All My Love for You, dall’esordio, sembra una conversazione d’amore straziante anche quando tocca le note più alte, mentre il modo in cui la sua triste solitudine lascia spazio all’euforia nel classico tristallegro I Wanna Dance With Somebody (Who Loves Me) è sempre una delizia, anche al centesimo ascolto. Houston è morta nel 2012, ma la sua voce risuonerà per decenni. (M.J.)
1
È una forza della natura. Geniale. Un dono che viene dal paradiso. La voce di Aretha Franklin è tutto ciò e anche di più e questo è il motivo per cui lei è (e lo sarà sempre) la Regina, anche a distanza di anni dalla scomparsa. Il suo canto è il suono più meraviglioso mai prodotto dall’America, più universale della tromba di Coltrane, più audace della chitarra di Hendrix. È esplosa in tutto il mondo con la sua hit del 1967 Respect, reclamando il titolo di cantante pop, rock e soul più grande di tutti i tempi. Come ha detto Mary J. Blige a Rolling Stone, «è lei il motivo per cui le donne vogliono cantare».
Aretha era in grado di comunicare esultanza, come spiega Amazing Grace, il documentario su di lei, e sapeva esprimere il dolore più profondo in ballate come Ain’t No Way. La sua arte è il punto più alto della musica americana, se non dell’intera storia d’Americ, la sua voce il crocicchio in cui si incontrano tutte le diverse tradizioni musicali, dal gospel al funk al rock al blues. Come ha detto lei stessa, «penso di poter dire che viaggio molto con la mia voce».
È cresciuta fra i grandi del gospel, a Detroit, prendendo lezioni in chiesa da Mahalia Jackson. Inizialmente la sua etichetta discografica ha cercato di farne una cantante lounge, ma lei ha cambiato strada dopo l’incontro con un altro giovane outsider sotto contratto con la stessa label, uno con una voce che non rientrava nei canoni del pop: Bob Dylan. Come ha detto a Gerri Hirshey, «nessuno di noi due si poteva definire… come si dice… mainstream».
Aretha è andata a Muscle Shoals ed è diventata Lady Soul, creando il proprio sound R&B crudo e intenso. Ha costretto il mainstream ad andarle incontro, cambiando per sempre il modo in cui la musica suonava, in tutto il mondo. Il suo genio si è espresso in molte forme: gospel negli anni ’70, glam disco negli ’80, collaborazioni con allieve come Whitney Houston e Lauryn Hill. Per non parlare della notte in cui ha rubato la scena, durante la cerimonia dei Grammy, cantando Nessun dorma senza neanche averla provato.
Qualunque cosa cantasse, la faceva sua. Non esiste nessun altro come Aretha Franklin e questo è il motivo per cui la sua voce continua a cambiare il mondo. Regina delle regine. Lady Soul, ti salutiamo. (R.S.)
Le posizioni dalla 51 alla 200:
51 Sade
52 Mick Jagger
53 Miriam Makeba
54 Willie Nelson
55 Tina Turner
56 Barry White
57 Brian Wilson
58 Lady Gaga
59 Howlin’ Wolf
60 Kate Bush
61 Umm Kulthum
62 George Michael
63 Robert Plant
64 Björk
65 Minnie Ripperton
66 David Ruffin
67 Dennis Brown
68 Rihanna
69 Youssou N’Dour
70 Ronnie Spector
71 Roy Orbison
72 Muddy Waters
73 Héctor Lavoe
74 Patti LaBelle
75 D’Angelo
76 Wilson Pickett
77 Bruce Springsteen
78 Janis Joplin
79 Emmylou Harris
80 Chris Cornell
81 João Gilberto
82 Steve Perry
83 Amy Winehouse
84 Lata Mangeshkar
85 Johnny Cash
86 Michael Jackson
87 Diana Ross
88 Jimmie Rodgers
89 Selena
90 Gal Costa
91 Nusrat Fateh Ali Khan
92 Anita Baker
93 Stevie Nicks
94 Toots Hibbert
95 Vicente Fernández
96 Chuck Berry
97 Usher
98 Bob Marley
99 Clyde McPhatter
100 Elton John
101 Gladys Knight
102 Taylor Swift
103 Leonard Cohen
104 Aaron Neville
105 Eddie Vedder
106 Bill Withers
107 Lou Reed
108 Caetano Veloso
109 Roger Daltrey
110 The Weeknd
111 Fiona Apple
112 Ozzy Osbourne
113 La India
114 Chrissie Hynde
115 Erykah Badu
116 Chet Baker
117 Patti Smith
118 John Fogerty
119 Barrington Levy
120 Charlie Rich
120 Jackie Wilson
122 Donna Summer
123 Karen Carpenter
124 Robert Johnson
125 Joe Strummer
126 Donny Hathaway
127 Tammy Wynette
128 Florence Welch
129 Rob Halford
130 Courtney Love
131 Jeff Buckley
132 Loretta Lynn
133 Neil Young
134 Axl Rose
135 IU
136 Lauryn Hill
137 Ed DeBarge
138 Merle Haggard
139 Rocío Dúrcal
140 Bono
141 Christina Aguilera
142 Russell Thompskin Jr.
143 Luciano
144 Darlene Love
145 PJ Harvey
146 Ruth Brown
147 Barbra Streisand
148 Levon Helm
149 Wanda Jackson
150 Bryan Ferry
151 Martha Reeves
152 Michael Stipe
153 Mahlathini
154 Dion
155 Corin Tucker
156 George Strait
157 Robert Smith
158 Carrie Underwood
159 Mississippi John Hurt
160 Mercedes Sosa
161 Brenda Lee
162 Françoise Hardy
163 Bobby “Blue” Bland
164 Sandy Denny
165 Ronnie James Dio
166 Morrissey
167 Marc Anthony
168 Debbie Harry
169 Sylvester
170 Chris Stapleton
171 Odetta
172 Juan Gabriel
173 Marianne Faithfull
174 Buddy Holly
175 Lana Del Rey
176 Iggy Pop
177 Patty Loveless
178 Tabu Ley Rochereau
179 Martha Wash
180 SZA
181 Bob Seger
182 Jazmine Sullivan
183 Solomon Burke
184 Karen O
185 Alicia Keys
186 Ofra Haza
187 Bonnie Raitt
188 Fela Kuti
189 Joan Baez
190 Frank Ocean
191 Jung Kook
192 Anohni
193 Brandy
194 Kelly Clarkson
195 Poly Styrene
196 Paul Westerberg
197 Burna Boy
198 Billie Eilish
199 Glenn Danzig
200 Rosalía
Tradotto da Rolling Stone US.