I 25 migliori album internazionali del 2022 | Rolling Stone Italia
Classifiche e Liste

I 25 migliori album internazionali del 2022

È stato un ottimo anno per il pop grazie a Rosalía, Harry Styles, Beyoncé, The Weeknd, Taylor Swift. Ma sono stati anche 12 mesi rock con Wet Leg, Arctic Monkeys, Fontaines D.C., Yard Act, Jack White. E la solita certezza Kendrick Lamar

I 25 migliori album internazionali del 2022

Artwork: Stefania Magli

25

“Dirt Femme”Tove Lo

Che Tove Lo faccia delle belle canzoni lo sappiamo da quando è uscita Habits (Stay High), nel 2013, un singolo da sbornia che parlava della volontà di cedere a tutti i vizi per superare le crisi d’amore. Ce lo ha confermato anche anni dopo, in Dirt Femme, la sua prima pubblicazione come artista indipendente. Il singolo No One Dies From Love è una delle canzoni pop migliori degli ultimi mesi. Un brano che sarebbe perfetto come colonna sonora di qualche blockbuster, magari d’azione. E che non è nemmeno l’unica traccia ad avere caratteristiche cinematografiche all’interno del disco: c’è 2 Die 4, che evoca immagini di avventure notturne sotto una pioggia battente, c’è True Romance, in cui Tove Lo si scatena come non mai. In Dirt Femme la cantautrice ci rivela il suo lato più vulnerabile. Ora le tocca continuare ad alzare l’asticella. Siamo sicuri ce la farà. (FF)

24

“Not Tight”DOMi & JD Beck

E questi ora chi cazzo sono e che cos’è questa cosa incantevole che arriva nelle orecchie? Ce lo siamo chiesti tutti quando abbiamo ascoltato per la prima volta questo disco, che in copertina ritrae il duo in tutto il loro post-adolescenziale splendore, immersi nel mondo magico e colorato nel quale veniamo trascinati per circa tre quarti d’ora, tipo trip da funghetti abbreviato. Questi due prodigi sfuggono a qualsiasi definizione e facile catalogazione, è jazz fatto da un’intelligenza artificiale, post rock tagliato con l’md, avanguardia in chiave pop, o viceversa? Proprio quando si pensa di aver preso le misure dopo i primi pezzi, arrivano dei misteriosi ospiti a distruggere ogni vana certezza acquisita: sono nientemeno che gente del calibro di Thundercat, Mac DeMarco, Herbie Hancock, che contribuiscono al sound delicato e evanescente di Not Tight, ma poi come se non bastasse sbucano Anderson .Paak e che cazzo persino Busta Rhymes e si alzano le mani. (EV)

23

“Natural Brown Prom Queen” Sudan Archives

“A volte penso che se avessi la pelle chiara / sarei invitata a tutte le feste / vincerei tutti i Grammy […] / questo perché non sono mediocre”, canta Sudan Archives nel singolo che dà il titolo all’album, NBPQ (Topless); una bella dichiarazione di consapevolezza personale e sociale. Il tema è comune per tutto il disco, un’occasione maiuscola per Brittney Denis Parks di sottolineare – tra peripezie sonore e testi infuocati – quanto il termine mediocre siano lontano e distante dalla sua artisticità. (MB)

22

“Ramona Park Broke My Heart”Vince Staples

Pochi nel rap hanno la capacità di reinventarsi da disco a disco come Vince Staples. Rispetto a molta produzione del suo recente passato, Ramona Park Broke My Heart è un album che suona completamente differente dai suoi predecessori, ovvero rilassato, rotondo, accogliente. Introspettivo, vulnerabile, profondo, ci mostra un lato tutto nuovo del rapper californiano che sembra allontanarsi definitivamente del dettaglio della sua realtà per cercare un approccio più ampio e universale ai suoi testi. A 29 anni e con cinque album pubblicati l’età adulta è arrivata. (MB)

21

“Caprisongs”FKA twigs

Caprisongs è un mixtape, ovvero un escamotage linguistico utilizzo da FKA twigs per togliersi un po’ di pressioni di dosso e pubblicare un lavoro che fa della libertà espressiva la sua chiave di ascolto. Poco coerente forse, ma è proprio questo il punto della libertà. Nelle 17 tracce appaiono The Weeknd, Pa Salieu, Shygirl, Daniel Caeser, Jorja Smith giusto per ricordarci che comunque stiamo parlando di un’artista importante, futuristica, ambiziosa. Tanti esperimenti, moltissima carne al fuoco, che forma avrà il futuro di FKA twigs? Probabilmente qualsiasi forma possibile. (MB)

20

“Gemini Rights”Steve Lacy

Steve Lacy ha solo 24 anni eppure ha già pubblicato due album con gli Internet, band della galassia Odd Future (Frank Ocean, Tyler, The Creator, Earl Sweatshirt, Syd), un EP e due dischi solisti per un totale di sei candidature ai Grammy. Quattro sono arrivate proprio con Gemini Rights, l’album della svolta lanciato da Bad Habit, uno dei migliori singoli di quest’anno. L’artista di Campton oltre ad essere un eccellente chitarrista, è oramai un songwriter e produttore maturo capace di plasmare un R&B fresco e contemporaneo, con una propria personalità che fonde funk, rock, psichedelia. Il “blerd” più figo del 2022 riuscirà a diventare una popstar? (MB)

19

“Ants from Up There”Black Country, New Road

Una delle cose più interessanti e inaspettate uscite quest’anno. Non che fossero una sorpresa, sebbene si tratti solo del loro secondo album. I Black Country, New Road non sono una band, ma un ensemble di più di sette membri, oppure si possono definire una specie di cazzo di mostro meraviglioso e suadente, che mischia cose apparentemente incompatibili, tipo violini, flauti, sassofoni e indie rock. Ants from Up There è davvero tante cose, persino difficili da elencare. È innanzitutto un’opera, non si può definire in altro modo, un’epopea di emozioni che vanno dal jazz-rock al chamber pop. È impossibile non sentire qualcosa accadere su un piano viscerale mentre questo disco è in riproduzione. Il 2022 è stata un’annata incredibile per loro, macchiata solo in parte dall’abbandono del cantante Isaac Wood per curarsi da problemi di depressione e salute mentale. Come con l’esplosione delle supernove, in questo momento stiamo guardando qualcosa di incantevole, che però appartiene al passato e ha già preso un’altra forma, forse sarà musica strumentale, forse l’oblio, adesso non possiamo saperlo. Un’entità fragile, commovente, non abbiamo ascoltato niente di simile quest’anno. (EV)

18

“De Todas las Flores”
Natalia Lafourcade

Dopo aver ampiamente omaggiato la tradizione latina nei due volumi di Musas: Un Homenaje al Folclore Latinoamericano en Manos de Los Macorinos, e quella messicana nei due episodi di Un Canto por México, la cantautrice centroamericana è tornata a scrivere canzoni inedite dopo sette anni di pausa, producendole a quattro mani con Adán Jodorowsky, figlio del celebre Alejandro. De Todas las Flores raccoglie tutto ciò che Natalia ha imparato in questi anni dalla sua terra mettendo in mostra una semplicità di scrittura capace di esaltare la sua affascinante espressività vocale. Un viaggio al centro delle radici latine della musica. (MB)

17

“Fossora”Björk

Pochi personaggi sono divisivi come Björk. E in effetti cosa può stimolare una persona che per il suo album costruisce un mondo fungino di clarinetti e techno? Amore e odio. Fossora è musica ancestrale e rave party, cori tradizionali e visioni futuristiche, un magma denso e complesso in cui l’ascoltatore può immergersi e scoprire nuovi territori o fuggirne impaurito. Chi vuole seguire il folletto islandese in lande sconosciute? (MB)

16

“No Thank You”Little Simz

“A loro non interessa se la tua salute mentale è sul ciglio di qualcosa di oscuro / fino a quando non contribuirai alla loro busta paga / o manderai i loro figli in scuole private con un’astronave / io mi rifiuto di stare in una barca di schiavi”, rappa Little Simz in Angel, il brano di apertura di No Thank You, il disco che la rapper inglese ha pubblicato così, prendendo un po’ tutti alla sprovvista, a metà dicembre. Prodotto da Inflo, membro dei Sault, oscuro collettivo britannico di culto, No Thank You è uno di quei dischi che suonano così bene che puoi metterlo di sottofondo anche se sopra Little Simz sta rappando di cose pesantissime, dal razzismo al capitalismo atroce dell’industria musicale. Un altro passo solido della rapper più importante della sua generazione. (MB)

15

“It’s Almost Dry”Pusha T

È un peccato sapere, già ora, che un disco come It’s Almost Dry non potrà più nascere. Dopo anni di grande supporto, e grande musica, la collaborazione tra Kanye West e Pusha T è naufragata dopo le recenti dichiarazioni di Ye. Un peccato visto che It’s Almost Dry, l’album più importante della carriera di Pusha T, nasce mano nella mano con Kanye che qui è presente in due brani e in metà delle produzioni (l’altra metà è affidata a Pharrell). Su alcuni dei beat più belli prodotti da West (Dreaming of the Past è oro), il rapper di New York disegna rime nel pieno della sua maturità con un flow d’acciaio che ci ricorda che la vecchia scuola è sempre la migliore scuola. (MB)

14

“Fear of the Dawn”Jack White

Esistono grandi dischi senza grandi canzoni? È possibile esaltarsi per un album anche se non contiene alcun pezzo memorabile? La risposta è affermativa se l’autore è uno come Jack White. Pur essendo meno estremo di Boarding House Reach di quattro anni fa, Fear of the Dawn ha l’intensità, l’originalità, la bizzarria tipiche dell’ultimo grande eccentrico del rock americano. Altri costruiscono carriere rifacendo il passato a beneficio di chi non l’ha vissuto. Lui, che è un progressista camuffato da tradizionalista, usa la storia del rock come materia per realizzare dischi strambi e anticonformisti. Tre mesi dopo, White ha pubblicato il più tradizionale Entering Heaven Alive, ma Fear of the Dawn è un’altra cosa. (CT)

13

“Dawn FM”The Weeknd

C’è chi ha ripreso la lezione degli anni ’80 portandola nel presente infarcendo i propri brani di nauseanti synth arpeggiati e chi, come The Weeknd (e pochi altri), è riuscito ad estrapolare il meglio di quell’estetica sonora per costruirci sopra un nuovo pop, decisamente contemporaneo. Nonostante questa chiave che ha aperto il mainstream all’artista canadese, i migliori momenti di Dawn FM sono quelli in cui si preferisce rileggere quel periodo con la produzione sofisticata di Daniel Lopatin (Oneohtrix Point Never) e il tocco magico di Max Martin, facendo un passo indietro all’enfasi da Swedish House Mafia (del singolone Sacrifice) a favore di un approccio che sembra quasi richiamare il miglior revival di quegli anni, la French touch (Out of Time potrebbe essere benissimo un estratto di Random Access Memories mentre Is There Someone Else? ci riporta agli apici di Kavinsky). (MB)

12

“The Car”Arctic Monkeys

Uno dei dischi più attesi dell’anno, che conferma la più che esplicita volontà di Alex Turner di portare i Monkeys su tutt’altre frequenze rispetto alle origini, con il pregio di farla sembrare una cosa perfettamente coerente con la storia di una delle ultime grandi band rimaste in circolazione. The Car infatti si allinea all’evoluzione del sound inaugurata dalla band con il precedente Tranquility Base Hotel & Casino che a questo punto segna un prima e un dopo nella discografia degli Arctic Monkeys. Pochissime chitarre distorte e nessun riff memorabile, quindi. Al loro posto un disco di eleganti ballate da crooner, pianoforte, organi, wah-wah e un’estetica vintage e pastosa anni ’70. Anticipato da due singoli uno più bello dell’altro There’d Better Be a Mirror Ball e Body Paint, The Car è il disco più mellifluo degli AM, che si distingue senz’altro da tutto quello che sta succedendo attorno nel panorama musicale contemporaneo. Probabilmente non sarà ricordato come il loro più grande disco in assoluto, ma oggi suona benissimo ed è impossibile da ignorare. Il modo migliore di tornare alla ribalta. (EV)

11

“The Overload”Yard Act

Un altro grande esordio, un’altra nomination al Mercury Prize, un altro punto per questa strana Cool Britannia anni ’20, ma, soprattutto, ancora tanto post punk. Gli Yard Act sono un sasso lanciato contro l’incompetente classe politica inglese, che se non altro ha il merito di aver risvegliato un moto artistico e politico nel Regno Unito post Brexit. The Overload è un disco che si riascolta a ripetizione, ironico, spietato, incazzato, che ricorda tanto la spigolosità dei Fall, l’aplomb dei Blur, l’impeto degli Sleaford Mods. Undici pezzi con un’intrinseca capacità di raccontare le masse, la classe media impoverita, le insensatezze della nostra società rincoglionita, l’irrilevanza dell’individuo, la gentrificazione, la pandemia e sostanzialmente il fatto che siamo un po’ tutti fuori di testa. Riff impazziti, coretti inquietanti, bassi serpeggianti e tanta energia. Una bombetta. (EV)

10

“SOS”SZA

SOS è il secondo album di SZA ed è ancora meglio del debutto del 2017, CTRL. I pezzi sono più rilassati e si evince una sicurezza che non era così scontato trovare. Un disco che non contiene passi falsi e che, uscendo a dicembre, ha sballato tutte le previsioni sui migliori dischi del 2022, prendendosi il suo posto di diritto. Come suona l’R&B oggi? Come questo disco, in cui c’è tutta la scena contemporanea ma pure Ol’ Dirty Bastard. Tra testi insolenti e ironici, la maturità ha fatto decisamente bene a SZA. Ecco per cosa sta SOS: Savor Our Sins. Godiamoci i nostri peccati. (FF)

9

“And in the Darkness, Hearts Aglow”Weyes Blood

Succede una cosa notevole quando ascolti l’ultimo disco di Weyes Blood, cantautrice americana fra le migliori uscite negli ultimi dieci anni. Le canzoni durano anche sei minuti eppure, in quest’epoca in cui sembriamo tutti affetti da ADHD quando ascoltiamo musica, manco te ne accorgi. Perché ti ci perdi, galleggi nel suono folk-pop orchestrale, sei sedotto dalla compostezza e dal gusto di un album dove non c’è (quasi) nulla fuori posto, un «romanzo romantico» fatto di canzoni classiche ma non antiquate, che fanno suonare perturbante la dolcezza e soave il dolore. And in the Darkness, Hearts Aglow ti riconcilia con tutto. (CT)

8

“Skinty Fia”Fontaines D.C.

Se il 2022 è stato un po’ l’anno della rivincita delle chitarre e delle band, buona parte del merito è dei Fontaines D.C. Skinty Fia incarna alla perfezione il sound amaro di quest’epoca, alternando pezzi lugubri e ansiogeni come In ár gCroíthe go deo o How Cold Love Is a singoli di successo come Jackie Down the Line e la meravigliosa Roman Holiday, uno dei pezzi più belli dell’anno, che contribuiscono a rendere quest’album un piccolo capolavoro. Dentro c’è l’isteria dei Pulp di Separation, un’oscurità che riverbera dai Joy Division, l’adrenalina tossica alla Underworld, il cinismo dei prim Verve e quell’accento irlandese che fa suonare tutto un po’ disincantato e inesorabile. Persino le ballate romantiche dal titolo esplicito I Love You non si scollano di dosso quella coltre spettrale che pervade il disco e che un po’ ci portiamo appresso anche noi nei polmoni da qualche tempo. Un disco che non scomparirà in un buco nero. (EV)

7

“Un verano sin ti”Bad Bunny

Bad Bunny è riuscito a portare nel reggaeton quello che Drake, qualche anno fa, ha introdotto nel rap: una versione del maschio sensibile in un ambiente prepotentemente machista. Un Verano Sin Ti ribadisce, con maggiore chiarezza, questa nuova veste del reggaetonero, affiancando alla sensuale eroticità del genere latino una gamma emotiva inedita. L’esempio lampante è proprio la title track, uno dei brani più sorprendenti delle 23 tracce che compongono questo disco dei record (il più streammato su Spotify nel 2022), in cui Bad Bunny, su un beat composto solo da un paio di synth, mostra tutta la sua vulnerabilità tanto da citare le sue sedute di terapia aprende ad un universo ben lontano dagli stereotipi del genere. (MB)

6

“Midnights”Taylor Swift

Ci sono dischi che diventano qualcosa di diverso, forse qualcosa di più. Diventano eventi pop globali. È il caso di Midnights, album dei record e ciclo di canzoni che Taylor Swift ha dedicato ai pensieri notturni, alla veglia tormentosa, ai momenti in cui un pensiero passeggero, una fantasia di vendetta, un ricordo vivido o un rimpianto ci tengono svegli. Per raccontare queste storie, Swift e il co-produttore e principale co-autore Jack Antonoff hanno scelto una via di mezzo tra il linguaggio intimo di Folklore o Evermore, privato d’ogni elemento folk, e quello ultra pop di 1989 o Lover, a cui è stata tolta ogni traccia d’euforia. Il risultato è un suono minimale e lievemente rimbombante che somiglia a quel che resta in testa, una volta tornati a casa, dopo una serata passata fuori. E poi ci sono i soliti, folgoranti versi-meme. Eroina o anti-eroina, Swift riesce sempre a rimanere al centro del pop. (CT)

5

“Renaissance”Beyoncé

I ritorni di Beyoncé non possono mai passare inosservati. In Renaissance, Queen Bey ha messo insieme una raccolta di brani profondi alternati a brani dance in cui vince la vecchia scuola, 16 canzoni tra deep house, afrobeat e boogie. Un’ode sincera a tutto ciò che Beyoncé ama dell’amore. Ricordandoci, ogni tanto, che non vuole mollare neanche per un secondo il suo posto nella schiera di leggende del soul vicino a nomi come Etta James e Tina Turner. Un’evoluzione rispetto a Lemonade? Non proprio, ma va bene così. (FF)

4

“Harry’s House”Harry Styles

Col terzo album Harry Styles ha piazzato un altro bel colpo. La sua musica è diventata più raffinata, tra pop e R&B, e con questo lavoro l’ex One Direction ci ha fatto dimenticare totalmente la sua vita precedente all’interno di una delle boyband più famosa del pianeta. L’album si apre con Music for a Sushi Restaurant in cui Harry, in un’atmosfera degna di Prince – non strabuzzate gli occhi – canta di occhi verdi, riso fritto, gelato e gomma da masticare arrotolata sulla lingua. Late Night Talking è un ottimo studio sul sound dei primi anni ’80, con Styles che promette teneramente di “seguirti in ogni luogo, che sia Hollywood o Bishopsgate”. Insomma, gran parte degli artisti che cercano di replicare le vibe anni ’80 finiscono per mimare la freddezza della new wave. Styles invece è riuscito a trovare il suo tocco. Ci aspettiamo (altre) grandi cose. (FF)

3

“Wet Leg”Wet Leg

Partite dall’isola britannica di Wight, in meno di tre anni le Wet Leg – un’espressione in effetti molto calzante che sull’isola significa “forestiero” – hanno firmato per la Domino Records, esordito con il loro primo LP omonimo, raggiunto il primo posto in classifica in UK, Irlanda e Australia, sono state inserite nella shortlist del Mercury Prize, oltre ad aver ottenuto cinque nomination ai Grammy e milioni di stream con il loro primo singolo Chaise Lounge. Se il 2022 è stato un anno stratosferico, il 2023 non si preannuncia da meno, visto che apriranno gli show del tour europeo di Harry Styles. Il motivo di tanto clamore è che hanno ottenuto questo enorme successo sfornando 12 tracce di puro indie rock che possiamo definire persino nostalgico dei gloriosi anni ’10, presentandosi sul palco con due chitarre, outfit incredibili e l’attitudine da rockstar. La loro esistenza è una notizia bellissima. (EV)

2

“Mr. Morale & The Big Steppers”Kendrick Lamar

Kendrick Lamar è il più importante rapper vivente oggi, questo oramai è un dato di fatto. Mr. Morale & The Big Steppers ne è la conferma assoluta e forse, proprio per questo, è bene prendersi un attimo per allontanarci dal rapper e parlare delle splendide produzioni di questo disco: composizioni (chiamarli beat sarebbe riduttivo) fuori dall’ordinario come United In Gried, Worldwide Steppers, Crown (un gioiello di Duval Timothy, pianista e producer ambient), Mother I Sober (brano lacerante con Beth Gibbons dei Portishead) che evadono dalla griglia del rap, flirtando con jazz e neo-ambient, enfatizzando le pesantissime parole di Kendrick, oramai pagine di storia dell’hip hop. (MB)

1

“Motomami”Rosalía

Bisogna avere il coraggio di essere liberi per riuscire a scrivere e produrre dei dischi bellissimi. Il senso di Motomami, in fondo, è proprio questo, un elogio alla libertà creativa ed espressiva declinato in 24 episodi (se consideriamo la deluxe version in cui appaiono brani clamorosi come Lax e Chiri). Rosalía fa tutto, e tutto estremamente bene, sia nella scrittura (spesso in collaborazione con il suo ragazzo, il reggaetonero Rauw Alejandro) che nella produzione, in cui è affiancata dai migliori produttori urban in circolazione come Noah Goldstein (Kanye West, The Weeknd), El Guincho (co-produttore del precedente El Mar Querer), Michael Uzowuru (Frank Ocean, Beyoncé, SZA), Pharrell. Il risultato è un disco paradossalmente minimalista nelle scelte sonore in cui ogni canzone però si compone di almeno 2-3 differenti brani (CUUUUuuuuuute ne è l’esempio perfetto), capaci di espandersi dal reggaeton all’avant pop, dal pop d’autore alla scuola spagnola. Se ogni anno uscisse almeno un disco così, l’universo discografico sarebbe magnifico. O quantomeno pieno di Motomami. (MB)

Schede di Mattia Barro, Filippo Ferrari, Claudio Todesco, Edoardo Vitale.