In una celebre scena di Aprile, Nanni Moretti attacca l’assenza politica e umana degli allora dirigenti di sinistra all’indomani della tragedia di Otranto del 28 marzo 1997: «Io me li ricordo, negli anni ’70, a Roma, la FGCI, i giovani comunisti romani… stavano tutti i pomeriggi a guardare Happy Days», e chiude con i pollici all’insù.
Piaccia o meno, Nanni le incoerenze ha sempre saputo coglierle e ricordarle; e di incoerenze è pieno l’anno inaugurato proprio dal debutto della serie tv con Fonzie e i Cunningham, a sua volta contraddittorio segno visivo di una società che tenta di rimuovere il trauma del Vietnam e lo scandalo del Watergate rincorrendo l’epoca d’oro del sogno americano. Il 1974 è un semaforo giallo sulla linea del tempo, all’incrocio tra progresso e restaurazione, piombo e austerity, spionaggi e diritti civili (in Italia è l’anno del referendum sul divorzio e del primo grande convegno nazionale femminista). E cosa c’è di più incoerente della finale mondiale dominata dall’Olanda, ma vinta da Beckenbauer (buonanima) e compagni?
In campo musicale l’onda lunga della crisi energetica si appresta a bussare alle porte delle case discografiche. Mentre l’eco di Woodstock si affievolisce sempre più, altre onde, di natura sismica, iniziano a scuotere il sottosuolo da un epicentro a cui due anni dopo daranno un nome: punk. È ovvio che siano gli artisti i primi ad avvertire le piccole e grandi contraddizioni serpeggianti nel tessuto socioculturale: non tutti hanno il radar di Nanni Moretti, ma negli album di quell’anno — seppur inconsciamente — i contrasti la fanno da padrone.
Si è detto a lungo che, per i vini, l’annata 1974 è stata da dimenticare; per i dischi non è così, provare per credere.
Court and Spark
Joni Mitchell
Gennaio 1974“Dicono che da bambina sembravo un po’ selvaggia / Con tutte le mie idee folli / Ma sapevo cosa stava succedendo / sapevo di essere un genio”. Così canta Joni Mitchell in Twisted Dice. La consapevolezza del contrasto non le è mai mancata, né la sapienza per armonizzare le tinte complementari: nell’album che riverbera Blue presagendo Hejira, la brillantezza musicale si stempera nei testi ombrosi e il semaforo, in questo caso, ci invita a sostare al bivio tra folk e jazz. È la splendida incoerenza di un disco che finisce per essere il primo successo pop della cantautrice canadese.
Grievous Angel
Gram Parsons
Gennaio 1974Ha fatto giusto in tempo a terminare le registrazioni, Gram Parsons, prima di andarsene per un’overdose. Si fa presto a dire che l’album è segnato dall’urgenza, sin da quella scaletta approntata con rapidissimo songwriting e ripescaggi di materiale in archivio (Brass Buttons, Hickory Wind — souvenir della sua stagione con i Byrds — e Cash on the Barrelhead dei Louvin Brothers). Ma è proprio questa sensazione di impellenza, di cui In My Hour of Darkness è nadir perfetto, a conferire all’album il suo senso più profondo.
Jolene
Dolly Parton
Febbraio 1974È la segretaria di banca dai capelli rosso fuoco che flirtava con Carl Dean, marito di Dolly, a ispirare il personaggio di Jolene, “beauty beyond compare” al cui cospetto una disperata Parton si trova a implorare in ginocchio: “Ti prego, non portare via il mio uomo”. Un altro contrasto palese, tra la personalità dell’autrice e quella delle sue protagoniste, che nel 1974 iniziano ad apparire problematicamente reazionarie per il coevo movimento femminista. Dopo la versione dei White Stripes, nel recentissimo passato il brano che dà il titolo all’album è tornato in voga, complici — manco a dirlo — i Måneskin, chiamati in studio dalla Parton per un remake del pezzo. Un feat a cinquant’anni dall’originale non può che accentuarne ulteriormente l’anacronismo; ma anche per questo, oltre che per la grande musica (contiene anche I Will Always Love You, poi riportata al successo da Whitney Houston), l’album merita di essere ricordato come uno dei tanti segni discordanti del suo tempo.
Burn
Deep Purple
Febbraio 1974Ritchie Blackmore suggella la sua tirannide dopo la defenestrazione di Ian Gillan e Roger Glover. Con la Mark II in esilio, Re Riccardo chiama a sé i giovani Glenn Hughes e David Coverdale, suoi scudieri nella ricerca del Santo Graal (ossia, il sound grezzo cristallizzato da In Rock). Ci si perdonerà l’abusato vocabolario medievaleggiante, ma è difficile resistervi quando si parla del Blackmore di metà anni ’70 (del Novecento), piantato lì con un piede nel metal e uno nel rinascimento albionico. Condizione lampante nella giustapposizione di potentissimi riff e classicissime progressioni nell’omonimo brano d’apertura di quello che è l’ultimo grande album dei Deep Purple.
Kiss
Kiss
Febbraio 1974«You wanted the best! You’ve got the best! The hottest band in the world!». Così urlano Simmons e Stanley all’inizio di ogni concerto. E in quegli anni lo saranno davvero, la band più calda del mondo. A dispetto, o per merito, del travaglio di un gruppo alla prova dell’esordio, che contro ogni evidenza rinasce dalle ceneri dei Wicked Lester prendendo a modello i Fab Four, nel paradossale desiderio di raggruppare quattro personalità distinte dal punto di vista psicologico e artistico ma trainate con fermezza dalla coppia al comando. È questo il motore dell’eponimo LP di debutto e dei successivi classici (almeno fino a Destroyer, 1976).
Pretzel Logic
Steely Dan
Febbraio 1974Un altro grande duumvirato, quello formato da Donald Fagen e Walter Becker. Un altro disco a cavallo della linea del tempo: da una parte la retromania sonora, dall’altra l’avanguardia che scavalca la contemporaneità, ben prima che il termine crossover fosse di moda. Un’altra prova di maturità (dopo la crescita scandita da You Gotta Walk It Like You Talk It, Can’t Buy a Thrill, Countdown to Ecstasy) a tre anni di distanza dal successivo, assoluto, capolavoro (Aja, 1977). A differenza di altri storici dischi, Pretzel Logic non dovrà neppure attendere per essere considerato un classico. Album dell’anno 1974 per NME, sarà acclamato dal critico Robert Christgau come una regola aurea dell’armonia vocale pop, «spogliato da istrionismo ed esibizionismo tecnico, sincero, quasi modesto».
Waterloo
ABBA
Marzo 1974Per quanto riguarda Waterloo, invece, il tempo è stato proverbialmente galantuomo, restituendo legittimità storica e artistica a quello che per la quasi totalità di critica e pubblico è l’anello debole della discografia degli ABBA. Simbolo della tribolata ricezione dell’opera è la stessa title track, nominata da un recente sondaggio della BBC miglior canzone di sempre dell’Eurovision Song Contest. Nell’edizione del 1974, stravinta dal complesso scandinavo, i giurati inglesi non le avevano dato neppure un voto.
Apostrophe (’)
Frank Zappa
Marzo 1974Una notte Frank sogna di essere un giovane eschimese di nome Nanook, che tornando verso il suo igloo si imbatte in un cacciatore di pellicce intento ad aggredire una foca. Allora Nanook cosa fa? Prende una manciata di neve ingiallita dal piscio degli husky e con questa acceca il cacciatore. È l’incipit del disco, aperto appunto da Don’t Eat the Yellow Snow, prima hit da classifica per Zappa, e Nanook Rubs It. E il successo commerciale, finalmente, arride a un intero album del genio di Baltimora, presenza obbligata per ogni retrospettiva discografica dagli anni ’70 in avanti.
Second Helping
Lynyrd Skynyrd
Aprile 1974Per motivare l’inclusione in questa lista basterebbe ricordare che è l’album aperto da Sweet Home Alabama. Una canzone, un giro di accordi, un riff. Sembrano essere con noi dalla notte dei tempi, e invece era solo cinquant’anni fa… Più prosaicamente, è il disco che segna l’ingresso in formazione di Ed King, autore del suddetto riff; ed è soprattutto l’album che, forse più di ogni altro, fa di questo 1974 l’anno d’oro del Southern rock.
I Want to See the Bright Lights Tonight
Richard and Linda Thompson
Aprile 1974Si diceva, poc’anzi, di album e band dominate da coppie di autori e performer. Questo disco, la coppia, la celebra in senso musicale e sentimentale. Linda era già comparsa in studio per Henry the Human Fly, esordio solista dell’ex Fairport Convention. Ma qui guadagna il proscenio assieme a Richard, con ruolo assolutamente paritario. Come per Blackmore, ma con toni diversi, siamo di nuovo lungo il confine tra popular music e cantata rinascimentale, lungo la stessa linea del tempo. Ma poi, c’è davvero bisogno di scegliere una direzione?
Kimono my House
Sparks
Maggio 1974A Frank Zappa, soprattutto quello pre Apostrophe, si lega quest’altro classico troppo spesso dimenticato. Zappiano è il caustico pot-pourri di vaudeville, opera pop e cabaret il quale, nelle mani dei fratelli Mael, sfocia in un teatro Kabuki dell’assurdo che è il loro più alto esito discografico. Ron si occupa della scrittura, Russell nei momenti migliori giunge a incarnare la quintessenza del glam (come in Equator, brano in cui la sua vocalità lo pone al confine tra uomo e donna). I Queen di A Night at the Opera — uscirà l’anno seguente — non saranno immuni dalla loro influenza.
Too Much Too Soon
New York Dolls
Maggio 1974Una carriera drammaticamente breve e fuggevole, quella dei New York Dolls. Che al secondo album in due anni sono a un passo dal capolinea. Too Much Too Soon, è proprio il caso di dirlo. La band ha già dovuto lasciarsi alle spalle la morte per overdose del batterista Billy Murcia, e il suo leader Johnny Thunders — John Anthony Genzale, originario della provincia di Avellino — sta per indirizzarsi verso la stessa china. Non prima però di aver lasciato in testamento un disco che, come il primo – e a dispetto di una produzione maggiormente levigata – è un’ulteriore semina per il punk a venire.
Diamond Dogs
David Bowie
Maggio 1974Chissà se George Orwell avrebbe previsto che, dieci anni prima del 1984, una rockstar si sarebbe ispirata a quel libro per un concept album. Peccato che di lungimiranza i suoi eredi ne dimostrino ben poca, opponendosi categoricamente all’idea iniziale di David Bowie. Il quale ripiega su un soggetto a dir poco distopico, ambientato in una rovinosa città immaginaria, Hunger City, dove langue una società in avanzato stato di decomposizione. A tenerla in scacco sono i Diamond Dogs, ibridi uomo-cane guidati da Halloween Jack, ennesima incarnazione terrena dell’ex Ziggy Stardust. Una storia che, sostenuta da un rock tagliente e riff oriented, è a modo suo un’ulteriore allegoria della società del 1974.
On the Beach
Neil Young
Luglio 1974Allegorica è anche la spiaggia solitaria di Neil Young dove è sepolta una Cadillac, simbolo del sogno americano à la Happy Days la cui morte è annunciata dal Watergate in prima pagina sul giornale. In pratica, il riassunto del 1974 così come lo abbiamo tratteggiato nell’introduzione. Ma la desolazione cantata da Neil è tanto collettiva quanto individuale, e il suo personalissimo crocevia lo trova smarrito in una disillusione post Woodstock così acre da fargli prendere le parti di Charles Manson. Quanto meno nella finzione musicale di Revolution Blues, episodio di un album che anche grazie agli ospiti d’eccezione spicca tra i vertici assoluti della sua produzione.
461 Ocean Boulevard
Eric Clapton
Luglio 1974Una volta uscito dal tunnel in cui si era cacciato sin dalla fine del decennio precedente, Eric torna in campo intenzionato a tagliare tutti i ponti col passato. Il pop-rock del 1974 non è più in cerca di un guitar hero e l’orizzonte claptoniano è sempre più a stelle e strisce. Non a caso, a intitolare il disco è il suo nuovo indirizzo di Golden Beach, Florida. È lì che riceve la vecchia conoscenza Carl Radle, figura determinante per la nuova vita di uno Slowhand da lì in poi implacabile nelle sue scelte commerciali e nel rispedire al mittente le accuse di incoerenza. Dimostrando, pur saltuariamente, che un multimilionario può ancora suonare il blues.
Good Old Boys
Randy Newman
Settembre 1974
Lo Zeitgeist del 1974 è anche in dischi come questo, traboccanti di politicamente scorretto ante litteram. Per bocca del suo alter ego Cutler, Randy Newman non lesina riferimenti a “niggers” e a “qualche ebreo intelligente di New York” attraverso le cui parole deride Lester Maddox (governatore segregazionista della Georgia sostenuto dal Ku Klux Klan). Ma se la satira mordace di Randy raggiunge lo status di classico è soprattutto grazie a una vena melodica capace di catapultare versi così eterodossi in vetta alle hit parade.
Late for the Sky
Jackson Browne
Settembre 1974Anche per Jackson Browne è l’anno del capolavoro. In lui l’estetica della West Coast trova il proprio poeta, capace come Neil Young di alternare plurale e singolare, con ancor più intimità e riservatezza. Un altro elogio della contraddizione, sin dal tributo a Magritte in copertina (rilettura personale del suo Impero delle luci), metafora delle angosce private e di quelle collettive. È l’anti-nuclearismo di Before the Deluge a chiudere i solchi con una sofferta ma lapidaria recensione finale dell’utopia comunitaria hippie: “Some of them were dreamers / Some of them were fools”. Dal punto di vista lirico, probabilmente, è davvero il disco dell’anno.
Walls and Bridges
John Lennon
Settembre 1974Al contrario, perché inserire in questo ristretto campionario l’album meno riuscito del Lennon solista (e di conseguenza del Lennon tout court)? Anche in questo caso, è questione di spirito del tempo. L’antinomia che scandisce il nostro percorso trova nei muri e nei ponti del titolo un ennesimo esempio di incoerenza e insicurezza. Con i primi, John si illude di separarsi da Yoko Ono, in quel famigerato lost weekend di cui l’album reca traccia sin dalla time-schedule della produzione, partita con l’idea di un disco di cover rock’n’roll e degenerata in una serie di session alcoliche, con Phil Spector che prende i nastri e scappa. Alla fine, pur parzialmente, John ritrova lucidità e vena creativa; e i ponti hanno la meglio, scavalcando le pareti e connettendo il passato a un futuro destinato a essere tragicamente breve.
Red
King Crimson
Ottobre 1974Lunedì 1° luglio 1974 i King Crimson tengono il loro ultimo concerto americano a Central Park. Giovedì 4 Robert Fripp rientra a Londra in solitudine e il lunedì successivo il resto della band lo raggiunge agli Olympic Studios per iniziare le registrazioni. L’atmosfera è quella di un gruppo di separati in casa, con David Cross già licenziato all’unanimità eppur presente in Providence, e con lo stesso Fripp che annuncia la lavorazione in corso la volontà di sciogliere la band. Dai diamanti non nasce niente, dice il poeta: questo capolavoro finale, tra i migliori epitaffi del prog, lo conferma.
Autobahn
Kraftwerk
Novembre 1974Se il country-rock che affolla le classifiche di quest’anno ha come luogo deputato le highway americane, l’elettronica di consumo dei Kraftwerk — dance che non si balla, come l’ha definita qualcuno — si snoda lungo la teutonica Autobahn. Futuristi sui generis, gli ex allievi stockhauseniani Ralf Hutter e Florian Schneider si lanciano in una corsa a lunga percorrenza; dalla loro carreggiata, negli anni a venire, quest’opera farà i fari alti alla disco music, al David Bowie berlinese e al Brian Eno novello solista.
Taking Tiger Mountain (By Strategy)
Brian Eno
Novembre 1974Anche Brian Eno si candida per la ricca graduatoria novembrina di fine ’74. Il suo secondo lavoro solista, dopo Here Come the Warm Jets dell’anno prima, snocciola altri contrasti, palesati nelle parole dello stesso autore: la prima parte del titolo, ispirata all’omonima serie di carte cinesi prodotta pochi anni prima, esprime «quella sensazione fisica tutta medievale di assaltare una postazione militare»; la seconda (By Strategy) racchiude un «concetto mentale tipico del XX secolo». In pochi, in quel novembre, saranno in grado di cogliere l’ampiezza intellettuale dell’opera; anche in questo caso, il tempo è stato galantuomo.
Country Life
Roxy Music
Novembre 1974Orfani di Brian Eno, i Roxy Music hanno adesso un uomo solo al comando. Timone in mano, Bryan Ferry punta dritto verso un glam rock più facilmente leggibile rispetto agli album precedenti. Casanova è l’ago della sua nuova bussola, ma non mancano sbandamenti in frivolezze cabarettistiche (Bitter Sweet) che starebbero bene nel disco degli Sparks, ma stonano in questo. Ciononostante, c’è materiale di studio per tutto il decennio successivo.
Sheer Heart Attack
Queen
Novembre 1974Anche per la band inglese il 1974 è un anno d’oro. Sono passati pressappoco sette mesi dall’uscita di Queen II ed ecco un nuovo capitolo fondamentale per la loro discografia; come per molti degli artisti sopraccitati, inoltre, è l’anno del primo successo commerciale (Killer Queen). Ancora una volta siamo di fronte a un dualismo assolutamente fruttifero. Se il secondo volume era improntato al pianismo di Mercury, in Sheer Heart Attack il mezzo scellino di Brian May riprende a percuotere le corde della sua Red Special con veemenza e inventiva. Già al termine della prima facciata, il signature sound dei Queen può dirsi forgiato.
The Lamb Lies Down on Broadway
Genesis
Novembre 1974Tempi duri per il prog, al contrario. Come per i King Crimson anche in casa Genesis c’è aria di addio, quando il gruppo varca la soglia dello stesso Glaspant Manor al cui piano superiore Brian Eno sta lavorando a Taking Tiger Mountain (By Strategy). Il frutto di quelle ultime sessioni dell’era Gabriel non può che essere un album a metà tra le ambizioni di opera rock del leader (ormai ex), e la volontà di sintesi musicale espressa da una band che si appresta a conquistare la vetta delle classifiche dopo aver perduto il suo primo ispiratore. La loro stessa storia è una contraddizione, e il secondo capitolo inizia proprio qui.
Heart Like a Wheel
Linda Ronstadt
Novembre 1974Si diceva di Autobahn e highways. La metafora della vita e del cuore che girano come una ruota ritorna, infine, nel bellissimo disco di una delle voci più rappresentative dell’America degli anni ’70. Heart Like a Wheel dimostra come l’allora ventottenne di Tucson possa padroneggiare lo studio come fa col palco, superando i confini del country e del folk. Di altri confini e di un ultimo dualismo, quello «tra vulnerabilità e ostinazione», parla la recensione apparsa su Rolling Stone poco dopo l’uscita. Dopo cinquant’anni, diremmo che ha prevalso l’ostinazione.