Manning Fireworks
MJ Lenderman
È il cantautore americano di cui parlano tutti, e ne parlano bene. Membro dei Wednesday, ha messo dentro Manning Fireworks canzoni che barcollano in modo precario e affascinante sul confine tra commedia e tragedia. Sono cantate col timbro stropicciato di uno che si è a malapena svegliato, musicate coi suoni slabbrati dell’alternative e con rifiniture country. Americana per under 30. Qui un’intervista/profilo per saperne di più. (CT)
Charm
Clairo
A vent’anni era la principessa del bedroom pop. Ora, che di anni ne ha 26 ed è arrivata al terzo album, scrive ancora stupende canzoni ma il suo sguardo si è allargato al soft rock pur mantenendo una inconfondibile vena delicata. Dalla cameretta ora si è spostata al soggiorno, ma tutto rimane in una palette di suono soft – perché i vicini potrebbero protestare per il volume – soffici come la sua voce. Undici canzoni in cui perdersi nei piccoli dettagli. Questione di Charm. (MB)
From Zero
Linkin Park
In un anno di grandi ritorni, quello dei Linkin Park era a rischio per il nome amatissimo e perché dopo la morte di Chester Bennington pensare un futuro era difficile. E invece rimescolando le carte, chiamando una voce femminile come quella di Emily Armstrong, facendola sgolare su rapporti tossici in pezzi chitarrosi brevi ed eccitanti, Mike Shinoda e i suoi hanno portato a casa 32 minuti convincenti. Mainstream fatto bene. (CT)
Lemons, Limes and Orchids
Joan As Police Woman
I reietti di Manhattan e la poesia, la coolness e il grande soul, l’amore e il dolore. Joan Wasser ha fatto un disco di canzoni d’amore che sono allo stesso tempo sexy e lievemente malinconiche, notturne e sofisticate il giusto, con la sua voce messa magnificamente al centro, un flusso musicale confortevole in cui perdersi. «Volevo che suonasse come un disco di Al Green». (CT)
Asterisms
Sean Ono Lennon
Non è un disco di canzoni, ma un album di post psichedelia strumentale inciso con un supergruppo e con in testa il mondo messo sottosopra, l’astrologia, mamma Yoko che invecchia. Musica genreless nata da una residency poi saltata nel locale di John Zorn a New York. In quanto al titolo, ci ha detto Sean Lennon, «mia madre mi ha cresciuto con la religione dell’astrologia. Senza essere pretenzioso, per me il titolo dice qualcosa sulla natura illusoria della realtà e della vita». (CT)
Perceive Its Beauty, Acknowledge Its Grace
Shabaka
Di fronte a Perceive Its Beauty, Acknowledge Its Grace non possiamo che scioglierci in un universo di suono quasi mistico. I mondi costruiti da Shabaka – già membro dei Sons of Kemet e dei Comet Is Coming, due progetti che hanno rinnovato un forte interesse di fronte verso queste sonorità – ci fanno immergere tra in una musica panteista fatta di jazz, new age, spiritual, come se il vento dell’universo suonasse gli strumenti a fiato che portano avanti le varie composizioni del disco. Al suo fianco ospiti come Laraaji, Moses Sumney, Floating Points. Se cercate rifugio dal mondo o la bellezza nel mondo, qui troverete casa. (MB)
What Now
Brittany Howard
Zitta zitta, senza clamore, la cantante degli Alabama Shakes (che si sono esibiti a dicembre per la prima volta dopo sette anni) sta mettendo a punto una sorta di black music totale, senza limiti né costrizioni stilistiche, che si riallaccia alla tradizione, ma suona contemporanea. Nei testi, racconta tutto ciò che in una relazione è compreso tra piacere e dolore. (CT)
Two Star & The Dream Police
Mk.gee
Per questo album in America si scomodati i nomi di Prince, Michael Jackson, Phil Collins, i Police, artisti sicuramente divorati da Michael Gordon e di cui ritroviamo degli echi in questo che è a tutti gli effetti il suo album di debutto dopo i due EP pubblicati nel 2018 e il mixtape del 2020. Per la chitarra (sicuramente il suono più interessante nei 12 brani del disco) sarebbe forse più semplice ricondurlo al suono organico di Arthur Russell, mentre per le melodie siamo spesso vicino alle cose più riuscite (e meno esplicite) dei 1975 o a un Justin Vernon senza Auto-Tune. Il risultato è intrigante, giocoso e al contempo sfidante per l’ascoltatore. (MB)
Diamond Jubilee
Cindy Lee
Pubblicato esclusivamente su YouTube sotto forma di unica traccia sonora della durata di due ore, ovvero due dischi per 32 canzoni totali (come spiegato nella descrizione del video), è diventato subito un piccolo oggetto di culto. Cindy Lee è l’alter ego del cantautore e drag Patrick Flegel, qui al settimo album in studio. Dentro ci sono svariati mondi, da un certo rock’n’roll lo-fi, al bedroom pop, dalla psichedelia al pop-folk di altre epoche. Più facile da ascoltare che da spiegare. (MB)
Deeper Well
Kacey Musgraves
Dopo aver raggiunto il successo internazionale con un album country-pop praticamente perfetto, Golden Hour, la star del country in questo album è diventata matura. Canta di vita, di trovare i propri spazi, di accettare la vita nella sua complessità. Voce sottile, atmosfere spoglie e sognanti: Deeper Well è un disco che quest’anno ci ha fatto sentire meglio. (FF)
Tangk
Idles
“Watch-watch my-my steed-steed go-go far-far”. Anche se l’album parla d’amore, gli Idles continuano a dare il meglio quando ti prendono a schiaffi con un suono potente, residuo metallico arrugginito dell’era industriale inglese. In questo disco, poi, si mettono alle spalle il chiacchiericcio sulla rinascita del post punk con arrangiamenti più sottili e un modo di cantare meno gutturale e incazzato, come ci ha raccontato Joe Talbot. (CT)
Short n’ Sweet
Sabrina Carpenter
L’ex bambina prodigio ha trascorso gli ultimi anni ad affinare le sue capacità per confezionare Short n’ Sweet, un concentrato di 12 canzoni in 36 minuti con il quale ha conquistato il mondo. Nel disco ci sono le hit come Espresso, Taste, ecc, ma ci sono anche brani che raccontano bene chi è Sabrina: una che senza collaborazioni, ospiti o passi falsi è riuscita a salire sul podio delle più grandi popstar di quest’anno. Complice un girly pop divertente, a volte cattivello, ma sempre dotato di grande autoironia. (FF)
My Method Actor
Nilüfer Yanya
Certo non siamo negli anni ’90, ma a volte leggere l’etichetta che pubblica un disco ci fa ancora capire se quel disco varrà o meno l’ascolto. Per il suo terzo lavoro solista Nilüfer Yanya ha firmato con la Ninja Tune, una delle etichette più cool d’Inghilterra, e non a caso il risultato è proprio questo: cool. Un po’ pop e un po’ folk, ma anche un po’ avant e un po’ rétro, My Method Actor è tenuto in equilibrio dalla vocalità densa di Yanya. Può ricordare, per certa melodicità, il momento d’oro avuto da Rhye di qualche anno fa. (MB)
Milton + Esperanza
Milton Nascimento & Esperanza Spalding
Pochi in Italia si sono accorti di questo disco, eppure Esperanza Spalding è uno dei massimi talenti musicali usciti negli anni 2000, una che col tempo è solo migliorata, ha espanso il vocabolario sonoro, s’è inventata nuovi mondi. Dopo aver scritto il libretto dell’opera di Wayne Shorter Iphigenia, ha strappato il gigante della musica brasiliana Milton Nascimento dalla quiete del pensionamento e gli ha costruito attorno un album magnifico di duetti, reinterpretazioni notevoli (non solo del repetorio del brasiliano, vedi ad esempio A Day in the Life), parti strumentali fantasiose. Tra fragilità e sofisticatezza, il tipico disco per pochi, ma buoni. (CT)
Here in the Pitch
Jessica Pratt
Si possono ancora scrivere canzoni semplici e belle? Sì. La dimostrazione è il quarto album in studio della cantautrice californiana Jessica Pratt. Intimo ma dettagliato, il suo folk sembra arrivare da un altro tempo, un’altra dimensione, pur restando fedele alle linee guida della canzone. In Here in the Pitch si ritrovano decenni, tempi, stili, generi diversi tra loro (dai Beach Boys alla MPB), mantenuti in equilibrio dal funambolismo riverberato della cantautrice americana. Un vero piacere per l’ascolto. (MB)
Eternal Sunshine
Ariana Grande
Quest’anno Ariana Grande ha inaugurato una nuova era, o forse sarebbe meglio dire che ne è stata posseduta. Al cinema la sua Glinda è stata un trionfo, lato musica Eternal Sunshine è arrivato improvvisamente come un cambio di rotta, come una confessione coraggiosa. Un disco che analizza la fine di una storia d’amore tra armonie vocali e r&b da inizio millennio. Morbidissimo. (FF)
A Dream Is All We Know
The Lemon Twigs
Tempo fa scrivevamo che un dio del rock capriccioso ha preso i fratelli D’Addario dagli anni ’60 e li ha scaraventati nel 2024. Il loro sesto album (contando What We Know) è spudoratamente derivativo, eppure vitale, amabile, pieno di talento, un mix di Paul McCartney e Brian Wilson e di molte altre cose che ci restituisce lo spirito musicale di un’epoca in una dimensione sognante e rétro. È il ritorno di un passato idealizzato e anche un po’ consolatorio. (CT)
Mahashmashana
Father John Misty
Si muore tutti, è inevitabile, ma non prima che il tempo ci abbia fregati per bene. Nasci e da quel momento, anche se fai una vita piena e pazzesca, cominci a crepare. Nel nuovo album Mahashmashana, Father John Misty non cerca di dare un senso a tutto ciò, ma mette in musica la sua fascinazione per quell’enigma enorme a cui c’è un’unica risposta. Le canzoni parlano spesso della fine, vero, eppure Mahashmashana non è cupo, né tetro. È invece pieno dell’arguzia criptica tipica di Tillman e delle sue riflessioni. Must listen di quest’anno. (FF)
The Collective
Kim Gordon
Un disco modernissimo, quasi d’avanguardia, firmato da una musicista over 70. Se le generazioni più giovani faticano a lasciarsi andare in esplorazioni sonore, una strada possibile la traccia la signora Gordon, componendo un album che è un orgasmo psichedelico, per citare uno dei brani in tracklist. Ci sono il rap, l’elettronica, il noise, i glitch. Che vogliamo di più dalla più talentuosa musicista degli Sonic Youth? (MB)
Lives Outgrown
Beth Gibbons
Chi vuol sentire un album sulla mezza età? Pochi, eh? Peccato, perché Lives Outgrown è un gran disco costruito dalla cantante dei Portishead e dal produttore James Ford inventandosi un mondo di suoni materici e affascinanti. È folk quasi esoterico e fuori dal tempo anche per i temi che sono sì belli pesanti, (morte, sofferenza, cosette così), ma sono affrontati con grazia e mistero. Roba che non si sente altrove. (CT)
Chromakopia
Tyler, The Creator
Il settimo disco del rapper di Los Angeles funziona da tutti i punti di vista, dal suono ricercato all’estetica, passando per i testi che ci svelano per la prima volta una profonda intimità. Si indagano i grandi problemi della vita: dalla nascita (declinata nella gravidanza non voluta e discussa in Hey Jane) a quella della morte (nel fantasma che ritorna di un padre che non c’è mai stato in Like Him). In mezzo tutto il resto, dai temi della depressione legate alla fama di Noid ai brani più cazzeggianti come Sticky con GloRilla, Sexyy Red & Lil Wayne o Balloon con Doechii. Lui si proclama il secondo miglior artista dopo Kendrick Lamar, ma se il primo posto fosse un pari merito? (MB)
Romance
Fontaines D.C.
Emersi dall’underground con dischi amatissimi ma lontani dal mainstream, i Fontaines D.C. hanno imboccato spediti la strada che li porta verso i palazzetti. Romance è il loro disco più pop, ma anche pieno d’immaginazione, disperatamente romantico, facile. Se Dogrel era un giro nelle strade in cui sono cresciuti, A Hero’s Death cantava il distacco dall’Irlanda e Skinty Fia era un saggio sonoro sulla diaspora, questo è il disco d’una band sradicata, non più gente di Dublino ma di mondo, musicisti eccitati dalla prospettiva di reinventarsi. (CT)
Hit Me Hard and Soft
Billie Eilish
A 22 anni Billie Eilish ha cambiato il modo in cui viene vissuto il pop. E ha il potere di portare il mondo intero dalla sua parte. Lo conferma quest’ultimo disco, più giocoso, più incazzato. La musica spazia dal synth pop di Birds of a Feather o di Blue a ballate confessionali come The Greatest o Skinny. Un disco pop, sì, ma straordinariamente strano. (FF)
Luck and Strange
David Gilmour
La vecchiaia e l’inevitabilità della morte non sono di per sé argomenti granché rock’n’roll, ma lo stanno diventando vista l’età dei protagonisti dell’epoca d’oro. Come David Gilmour che nel suo quinto disco solista, uno dei suoi migliori in assoluto, trasforma l’esperienza degli spettacolini casalinghi online che ha fatto con la famiglia durante il lockdown in un viaggio cosmico-esistenziale in cui è facile rintracciare l’influenza dei Pink Floyd e allo stesso tempo godersi lo stile più casalingo e meno ambizioso del chitarrista in versione âgée. (CT)
No Name
Jack White
Il gran ritorno di Jack White al neoprimitivismo dopo le bizzarrie di certi pezzi degli ultimi dischi, una rilettura del garage rock anni ’60/70 a tutto volume. È anche un disco di grandi riff più che di grandi composizioni, suonato (si direbbe) per il gusto di far musica eccitante senza il pensiero d’incidere canzoni memorabili. Distribuito gratuitamente su vinile a chi faceva acquisti nei negozi della Third Man Records e arrivato poi sulle piattaforme, No Name contiene il suono e la mistica dell’ultimo grande eccentrico della musica americana. (CT)
Songs of a Lost World
The Cure
L’ennesima prova che, superata una certa anzianità di servizio, le band danno il meglio non cercando di reinventarsi, ma cercando l’essenza del loro stile, nel caso di Songs of a Lost World quello che lega idealmente Pornography, Disintegration e Bloodflowers. Non c’è niente di nuovo, ma chi se ne frega. Non c’è nemmeno alcunché d’allegro o sexy, ma canti alla Luna su perdita, solitudine, dissociazione, morte. Lo metti su e senti Robert Smith che inizia a cantare dopo tre minuti e 20. Ciao ciao, Spotify. (CT)
GXN
Kendrick Lamar
Solo i grandi possono permettersi di fare uscire un disco così atteso a sorpresa in un venerdì di novembre. Dopo aver ribadito al mondo che non c’è rapper migliore di lui in uno scambio di diss tracks al cardiopalma con Drake che ci ha regalato Not Like Us, una delle migliori tracce dell’anno, Kendrick ci teneva a ribadire chi comanda nella scena. Per farlo ecco un disco che copre tutto lo spettro sonoro del rapper di Compton, dai brani più ricercati (Wacced Out Murals), alle canzoni da classifica (Luther con SZA), a quelle che urlano Kendrick (Tv Off). Poeta e figlio di puttana, ecco le due facce di Kendrick. (MB)
Cowboy Carter
Beyoncé
L’atto secondo del nuovo corso di Beyoncé ha praticamente tutto: senso della storia; gusto per la sfida al conservatorismo; feeling della musica suonata, senza per questo suonare datato; varietà di stili e influenze; parti vocali notevoli. E ovviamente le canzoni, tante (pure troppe). Beyoncé ha rivendicato le radici nere del country senza fare un disco di genere. Una preghiera pop per immaginare una nuova America. (CT)
Wild God
Nick Cave & The Bad Seeds
Scaduto il tempo del lutto, ecco tre quarti d’ora di gioia e redenzione dalla disperazione e dallo smarrimento cantati da Nick Cave negli ultimi dieci anni. Il vecchio compare Mick Havey dice che questi non sono più i Bad Seeds e dal suo punto di vista ha ragione. E però Cave e il suo braccio destro Warren Ellis sono riusciti a uscire dai soliloqui (bellissimi, per carità) degli ultimi dischi con un album euforico dotato della miscela di semplicità e bellezza che solo i grandi si possono permettere. Wild God è la versione di Cave d’una messa di Harlem, è una cerimonia pop in cui ogni pezzo racconta un’esperienza trasformativa. E dice che la vita è bella anche se fa male. (CT)
Brat
Charli XCX
Cosa succede quando un disco trascende il proprio ambiente e diventa un fenomeno di costume? Si ha la Brat summer. Difficilmente qualcuno può essere sopravvissuto a questo 2024 senza essersi scontrato con la parola dell’anno, brat. O con il colore dell’anno, quel verde acido che ne ha rappresentato il perfetto fondale. Charli XCX arriva nel momento più importante della sua carriera al massimo della sua ispirazione. Sostenuta alla produzione dal fiancé George Daniel dei 1975 e dal fido A. G. Cook (recuperatevi il suo triplo Britpop uscito quest’anno), in Brat inanella una serie di canzoni che da un lato azzannano la classifica, dall’altro non dimenticano tutto un percorso di ricerca sonora e sperimentale portato avanti da qualche anno (per la precisione dall’EP Vroom Vroom prodotto da Sophie, anno 2016). In Brat ci sono tutte le sfumature di Charli: la popstar estrema (Von Dutch), la 360 partygirl (365) ma anche la ragazza di 30 anni preoccupata dal proprio futuro (I Think About It All The Time) e da cosa pensano le sue colleghe (Girl, So Confusing). Tutti temi allargati nella versione “remix” – Brat and It’s Completely Different But Also Still Brat – in cui il proprio diario personale si allarga con una serie di memorabili partecipazioni. Era da anni che un disco non riusciva a sfondare nella cultura pop con tale veemenza. Noi quest’onda anomala ve l’avevamo preannunciata, se non avete preso precauzioni è solo colpa vostra. (MB)