I Negrita pubblicano oggi il loro MTV Unplugged, versione italiana della serie lanciata negli Stati Uniti nel 1989. Registrato lo scorso luglio nell’Anfiteatro romano di Arezzo, oltre a un album in digitale, vinile e CD, il concerto dei Negrita è uno speciale che MTV Music (canale Sky 132 e 704) trasmetterà questa sera alle ore 22 (su VH1 il 28 novembre alle 19).
Oltre a proporre i propri brani riarrangiati in veste acustica, la band ospita Manuel Agnelli (in Non è per sempre degli Afterhours), Piero Pelù (in El Diablo dei Litfiba) e Rkomi (in Rotolando verso Sud).
«Quando muovevamo i primi passi all’inizio degli anni ’90, gli show unplugged di MTV erano uno dei nostri punti di riferimento», ha detto Pau. «Quante volte, ascoltando le performance di Clapton, Dylan, Nirvana o Alice in Chains ci siamo detti: quanto sarebbe bello essere al loro posto?».
Ora che in un certo senso sono al loro posto, abbiamo chiesto al chitarrista Drigo di raccontarci non solo le esibizioni per il programma di MTV “a spina staccata” che preferisce, ma anche l’influenza esercitata sui Negrita da quegli unplugged.
Eric Clapton, 1992
Con ben sei Grammy fra cui miglior album e miglior canzone dell’anno, è il live più venduto di tutti i tempi e il disco di maggior successo dell’artista, a torto considerato da alcuni soltanto un bluesman o un gran chitarrista. Il carattere schivo l’ha tenuto distante dai riflettori, ma la carriera e i numeri parlano chiaro: più di 100 milioni di album venduti e, tutt’oggi, più di 11 milioni di ascoltatori mensili su Spotify. È al secondo posto, appena dopo Hendrix, nella classifica di Rolling Stone dei 100 più grandi chitarristi di tutti i tempi e la sua fatata “manolenta” ha impreziosito la leggenda dei Beatles con l’indimenticabile cameo su While My Guitar Gently Weeps.
Quando è uscito nel ’92, la nostra band aveva già un’attività intensa di concerti nei club di tutta Italia. Il nostro primo album sarebbe uscito solo due anni dopo. Non un pezzo nelle radio, eppure il passaparola portava nelle sale dei nostri concerti sold out di rocker entusiasti per la nostra miscela, che metteva insieme influenze dall’emergente grunge di Seattle, un’attitudine presa dagli Stones, il funk dei Chili Peppers e, appunto, manifeste e viscerali radici blues. Usciti dagli anni ’80, decennio di musica pop e sintetizzatori che parevano aver messo la parola fine su rock e sei corde, ovunque nel mondo fiorivano una nuova estetica e nuove scene musicali che riportavano la chitarra al centro di tutto.
Sono il valore intrinseco delle canzoni, lo stato di grazia della performance musicale e l’autenticità umana ed emotiva a fare dell’Eric Clapton unplugged non solo una pietra miliare, ma anche un simbolico giro di boa fra un decennio di musica sintetica ed esteriore e quello degli anni ’90, denso invece di musica suonata e contenuti esistenziali.
Nirvana, 1993
Nei giorni immediatamente successivi al ritrovamento del corpo senza vita di Kurt Cobain, MTV, che era il canale televisivo più visto dai giovani di tutto il pianeta, comincia a inondare le proprie trasmissioni d’immagini prese dall’Unplugged della band, registrato solo pochi mesi prima a New York (era il novembre 1993, l’album fu invece pubblicato nel novembre 1994, ndr). Il mondo intero è in preda a uno shock collettivo. Rivedere il concerto, ascoltare canzoni così dense in una veste così intima, delicata, minimale, la bellezza e l’intensità di Kurt Cobain provocano dolore e senso di disgrazia. Una perdita per l’umanità. Il tempo non cambierà e non attenuerà queste sensazioni: la scomparsa di Cobain ha lasciato un vuoto che nessuno ha più riempito. Il rock perde l’ultimo dei suoi titani e dopo di lui è il nulla. Rimane questo documento, che è e resterà l’unplugged per antonomasia. E probabilmente, il capolavoro della band.
Qual è stato il riverbero dei Nirvana sulla musica della nostra band? Posso dire che quando abbiamo iniziato a scriver canzoni, avevamo intorno una tale abbondanza di grande musica contemporanea che tutto era stimoli ed entusiasmo. La scomparsa di Cobain ha avuto una deflagrazione lunga: per qualche anno, tutto è andato avanti per inerzia, sulla rincorsa. Ma pian piano, la mancanza di una figura seminale come la sua ha cominciato a farsi sentire, il rock ha lentamente perso le sue sicurezze e quando nel 2004 siamo partiti per il Sud America in cerca di nuova musica per L’uomo sogna di volare, l’album di Rotolando verso Sud, avevamo la consapevolezza e il bisogno di cercare in luoghi e contesti lontani dal rock, perché ormai sterile.
Neil Young, 1993
Perché segnalo il concerto unplugged di un artista già affermato per la sua attitude e le sue canzoni folk?
Perché MTV Unplugged è un format di per sé capace di magia. MTV è cool, è top. MTV è lo stato dell’arte della musica e della forma con cui proporla. MTV sa come e cosa fare per farlo al meglio e lasciare il segno. L’ambiente, la disposizione del pubblico intorno all’artista, le scenografie, l’atmosfera che si viene a creare è unica. MTV Unplugged è presente e futuro, è magia. E se, come in questo caso, il pubblico è giovane e l’artista è maturo, non è per far del revival o rispolverare vecchie glorie, ma per proporre al mondo i picchi straordinari di cui la musica, attraverso certi musicisti, è capace.
Per metà concerto Neil Young è un menestrello. Soltanto lui, con armonica e chitarra: favoloso. Poi sale la band. E c’è solo da sognare. E, per chi vuole, tutto da imparare. Questo è l’effetto che l’album ha fatto e fa ogni volta su di noi.
Alice in Chains, 1996
Un altro unplugged da noi consumato. Gli Alice in Chains erano una band troppo orientata verso l’heavy metal per i nostri gusti. Non piacevano particolarmente a nessuno di noi. Ma nel ’94, anno dell’uscita del nostro primo album, ci avevano conquistato con Jar of Flies: sonorità semiacustiche, delicatezza e una canzone più intensa e bella dell’altra. L’atmosfera è cupa e i testi fanno spesso riferimento alla dipendenza da eroina del cantante Layne Staley.
Quando, due anni dopo, la band compare nell’MTV Unplugged, Staley è in pessimo stato, magrissimo e visibilmente in difficoltà. È proprio la sua fragilità che rende indimenticabile questo documento. Dimentica i testi, impreca fra sé e sé, ferma due volte la canzone, i compagni della band minimizzano con affettuose battute. Il concerto si trasforma in una sorta di commuovente psicodramma, un reality in diretta in cui il disagio espresso nelle canzoni va, fatalmente, a coincidere con ciò che avviene e si vede sul palco. Ne esce un cerchio perfetto.
Lauryn Hill, 2001
Lauryn Hill decide di affrontare questa sfida sola con la sua chitarra. Lo show sembra pensato per un piccolo club piuttosto che per il grande pubblico di MTV Unplugged. La tradizione ci ha abituati ad arrangiamenti acustici protesi a valorizzare le hit dell’artista, ma sorprendentemente e con ammirevole coraggio Lauryn Hill sceglie invece di vandalizzare la regola, trasformando il suo live in una sorta di junghiano stream of consciousness, denso d’improvvisazioni e flussi verbali.
Per sua natura, l’album non può contenere hit e non raggiungerà mai il grande successo di altri unplugged. Nonostante questo, la fluidità degli intrecci fra parole e mani sullo strumento ha del soprannaturale e la performance mi sbalordisce ogni volta che la vedo. In questa veste, Lauryn Hill mi ricorda il Mozart del blues, Robert Johnson. E di fronte a un tale talento, la mia stima si fa infinita.