Sono in molti a pensare che Claudio Rocchi sia stato unicamente un guru hippy. Per un certo periodo della sua carriera è stato anche questo: divulgatore (non solo in qualità di musicista, ma anche di conduttore radiofonico) di tutto ciò che era peace, love & good vibrations. Autore di canzoni che parlavano il linguaggio dei giovani dell’epoca, della loro sensibilità, voglia di fuga e non accettazione degli schemi sociali. Nel suo universo colorato trovavano posto misticismo ed esoterismo, la celebrazione di certa droga come mezzo per aprire le coscienze, suoni da svariate parti del mondo, folk psichedelico e un modo di intendere il progressive del tutto personale, prediligendo non le sfuriate strumentali ma un benefico flusso armonico. Su tutto un senso ampio di ricerca in grado di ammaliare: se Battiato è stato il maestro, Rocchi è stato il maestro del maestro, avendo instillato in Franco diverse suggestioni che il siciliano avrebbe fatto sue.
Superata la sbornia hippy, Claudio Rocchi si è buttato nella ricerca sonora tout court realizzando almeno un album fondamentale. Ha poi vestito i panni del cantautore metropolitano e nel momento del riflusso ha descritto con disillusione quel momento storico, per poi mollare tutto e diventare Hare Krishna.
Approfittando del decimo anniversario della sua scomparsa e della pubblicazione di un ottimo ed esaustivo compendio di tutta la sua carriera, il libro di Walter Gatti Essenza – Vite di Claudio Rocchi, ecco la classifica dei suoi dischi degli anni ’70, il decennio che, in tutte le sue contraddizioni, Rocchi è stato in grado di raccontare al meglio.
Rocchi
1975
È il suo primo disco sperimentale, anche se qua e là prendono forma lacerti di canzoni nelle quali si riflettono i cambiamenti sociali in atto in quella metà di ’70. Rocchi è un disco oscuro e a volte sfocato, come la sua registrazione casalinga, debitore di certe opere coeve di Battiato senza però possederne la forza. Imperdibile lo stesso Franco che appare nel collage di Zen session sussurrando enigmatico: “Sette centimetri sono una bella statura”.
Non ce n’è per nessuno
1979
Poco prima di entrare a far parte degli Hare Krishna, Rocchi pubblica il suo secondo parto per la Cramps: afflato rock, echi new wave, il riflusso, la voglia di mollare tutto che prende vita col desiderio di non sare ascolto alle sirene del progresso e trovare un senso a se stesso (“In fondo il progresso è una scatola vuota / Se non lo si riempie di un senso alla vita” canta nella title track). Il tutto in un ribollente magma sonoro, caldo come il periodo descritto e coadiuvato da una superband con dentro Tofani, Donnarumma, Calloni e Finardi.
Essenza
1973
Reduce da un viaggio in India, Claudio Rocchi rientra in studio per dare vita a un’opera che si distacca dalla precedenti, come se l’esperienza lo avesse purificato e volesse mettere in musica tutta la sua voglia di libertà da qualsiasi schema, anche quelli discografici. Essenza è poco immediato, molto free, con intrecci strumentali influenzati dalla musica indiana e canzoni più spigolose, a tratti pare una versione più mistica del Peter Hammill dell’epoca. Sicuramente coraggioso, ma a tratti senza brani che lasciano il segno.
Il miele dei pianeti le isole le api
1974
Rocchi si prepara a nuove trasformazioni. Va oltre la formula free form che aveva caratterizzato Essenza e torna a una forma-canzone del tutto originale, accompagnato dai membri degli Aktuala. Emblematico e bellissimo Il miele delle api, uno dei suoi brani più radiosi, con ritmiche in trance e un’atmosfera da sballo cosmico. Un album di transizione che funziona perfettamente nella sua imperfezione.
A fuoco
1977
Messo sotto contratto dalla Cramps, Rocchi si trasforma in fiero cantautore metropolitano. La si sente a pelle in questi brani la Milano grigia di quegli anni di piombo, si avverte urgenza, una voglia di cambiamento sempre più impellente. Forse Gianni Sassi pensa di fare di lui un nuovo Finardi, ma Rocchi non ci pensa nemmeno, va avanti per la sua strada in compagnia di un sacco di amici che condividono le sue incertezze. Da lì a poco sarà oltre, mentre il suo chitarrista Alberto Camerini si trasformerà nel rock’n’roll robot. Modi diversi di sfuggire a una realtà sempre più distante dalle premesse.
Suoni di frontiera
1976
Nel 1976 Rocchi parte per il futuro. Messe da parte le incertezze di Rocchi, si concentra sul suo capolavoro sperimentale Suoni di frontiera, basato su una serie di bozzetti che paiono traslare elettronicamente il suo afflato mistico e farlo esplodere verso nuovi orizzonti. Risente un po’ dell’influenza di certo kraut rock, ma alla fine il risultato è frutto di una personalità ben definita tra scorci ambient, loop e minimalismo. La scena avant americana (Jim O’Rourke su tutti) lo adorerà, i Boards of Canada devono avergli dedicato svariati ascolti.
Viaggio
1970
Nel primo album Rocchi si fa portavoce della sua generazione: La tua prima luna è il manifesto della voglia di fuga di molti giovani dell’epoca, lo scappare di casa, il fare a meno delle regole, il ritrovarsi insieme per sognare ciò che non arriverà mai. Ma ci hanno provato e Viaggio è una delle più luminose testimonianze di quelle utopie. Un suono scarno, ma quantomai ricco: chitarra acustica, rade percussioni, flauto (Mauro Pagani) e tanta voglia di estraniarsi dal mondo per fondarne uno nuovo.
La norma del cielo (Volo magico n. 2)
1972
Contiene diverse tracce registrate quando Rocchi pensava di realizzare un doppio album, idea poi abortita a causa di problemi discografici. In ogni caso le idee ci sono e sono esaltanti in quanto a purezza e levità. Il volo magico continua tra profumi d’oriente e sonorità psych-west coast. La norma del cielo è beatitudine, riflessioni profonde sulla spiritualità, sull’unione mistica tra uomo e donna e sul proprio ruolo nell’universo.
Volo magico n. 1
1971
Una delle vette assolute di tutta la musica italiana, con la suite omonima sul lato A che cala l’ascoltatore in un flusso mantrico a base di chitarre acustiche, sitar e Mellotron, a tratti arricchito dalla voce dell’autore, a volte in coppia con Donatella Bardi. Un trip in piena libertà che poi si infiamma, entrano la sezione rimica e la chitarra di Alberto Camerini in odor di acid rock. Si vira verso il cosmo senza più metafore: “Pane, suono, aria voci, amici, roba, far l’amore” e “C’è sempre tempo per cantare, te, le stelle, il fumo, tutto”. Sulla seconda facciata c’è La realtà non esiste, una delle canzoni più toccanti e profonde di sempre: un pianoforte, un testo che è pura saggezza e Claudio Rocchi, oltre l’infinito.