Se lo streaming ha un grande merito, è senz’altro quello di aver creato spazio anche per nicchie e argomenti che precedentemente non avevano grande spazio né al cinema, né nella tv generalista. Tra cui, naturalmente, i documentari musicali, che ora abbondano all’interno delle nostre piattaforme e spesso hanno ritrovato anche una nuova dignità anche sul grande schermo. Siamo a poco più di metà anno e ne sono già usciti parecchi degni di nota: ve ne segnaliamo alcuni da non perdere (o da lasciar perdere).
Biggie – I Got a Story to Tell (Netflix)
A differenza di quanto è successo con il collega/rivale Tupac, la famiglia di Notorious B.I.G. ha avuto la fortuna di riuscire a mantenere un controllo pressoché totale sull’uso e lo sfruttamento della sua immagine. Il che ha permesso agli eredi (in particolare alla madre Voletta e ai figli T’yonna e Christopher Jr.) di restituire un ritratto accurato, commovente e degno di lui, sia nella precedente biopic Notorious che in questo documentario ricco di testimonianze e immagini finora inedite.
Billie Eilish: The World’s a Little Blurry (Apple TV+)
Idealmente, questo lungometraggio fa parte di un trittico in cui la più giovane e sorprendente pop star del decennio si racconta: per avere un quadro completo, oltre al documentario bisognerebbe prendere visione anche del libro fotografico edito in Italia da Rizzoli e dell’audio-libro/podcast In Her Own Words (per ovvi motivi disponibile solo in lingua originale). Insomma, se sotto l’ombrellone non sapete cosa fare, di materiale per mettervi in pari ne avete parecchio.
Demi Lovato: Dancing with the Devil (YouTube Originals)
Tutt’altro che agiografico rispetto a molti altri documentari simili, non punta a trasformare Demi Lovato in un’icona del martirio, ma racconta la storia della sua discesa all’inferno, da teen idol della scuderia Disney ai disturbi alimentari, alle psicosi, alla droga e all’abbondantemente raccontata overdose in cui ha schivato la morte per un pelo. Ci sarebbe già materiale per un nuovo capitolo, ora che Demi ha dichiarato di non riconoscersi nella classificazione tipica dei generi maschile/femminile, chiedendo quindi di usare i pronomi they/them quando se ne parla o se ne scrive; vedremo se in futuro arriverà.
Framing Britney Spears (Discovery+)
Realizzato dal New York Times senza la collaborazione attiva della pop star – le era stato chiesto di dire la sua, ma non ha mai risposto ai tentativi di contattarla: d’altra parte, non è neanche chiaro se i messaggi le siano mai stati recapitati – ricostruisce la controversa storia della conservatorship fortemente voluta dal padre Jamie. Per supplire alla mancanza della voce di Britney, il documentario contiene molte interviste di repertorio in cui lei stessa si apre sulle difficoltà che sta affrontando, nonché le testimonianze degli esponenti di spicco del movimento #FreeBritney. Sicuramente molto utile per saperne di più su un argomento che in questo periodo è sulla bocca di tutti.
Moby Doc (Amazon Prime Video)
Uscito in contemporanea con l’album Reprise e disponibile per ora solo nel catalogo americano di Prime, è stato definito dal suo autore/protagonista un «documentario surrealista» in cui Moby si racconta a 360 gradi, non tralasciando i suoi demoni, la depressione, la sua visione musicale e le battaglie animaliste. La lavorazione ha richiesto parecchio tempo, perché pare che l’artista abbia rifiutato la prima bozza di lavorazione in quanto gli risultava un prodotto troppo piatto. Ora, con una regia curata dal filmmaker di fiducia dei suoi videoclip Rob Gordon Bralver, se ne dichiara molto orgoglioso. Non si può dire lo stesso di pubblico e critica, però, che per ora sembrano non averlo compreso del tutto.
P!nk: All I Know So Far (Amazon Prime Video)
Un documentario girato durante il Beautiful Trauma World Tour che, oltre a numerose parentesi di backstage e a riflessioni sulla vita familiare e la carriera di P!nk, lascia ampio spazio alla musica. Girato da Michael Gracey (lo stesso regista dell’adattamento cinematografico del musical The Greatest Showman, con Hugh Jackman e Michelle Williams), è abbinato a un album live uscito in contemporanea. La sensazione generale, però, è che il documentario sia stato girato proprio per fungere da traino all’album dal vivo e che sia troppo autocelebrativo, tanto che alcuni commentatori americani lo hanno definito «un film di propaganda». Noi non ci spingiamo a tanto, ma sicuramente se non siete super fan di P!nk, potete tranquillamente saltarne la visione.
Summer of Soul (Disney+)
Già vincitore di parecchi premi, tra cui il Gran Premio della Giuria e il Gran Premio del Pubblico all’ultimo Sundance Film Festival, era attesissimo prima ancora della sua uscita. È l’opera prima di Questlove, batterista e leader dei Roots, e racconta l’Harlem Cultural Festival, rassegna del 1969 ribattezzata l’anti-Woodstock nera. Per cinquant’anni decine di ore di girato dei concerti originali sono stato abbandonati in uno scantinato a prendere polvere. Questlove ne ricostruisce le origini, l’importanza e l’eredità con l’aiuto di artisti e spettatori dell’epoca, ridando dignità a un evento unico nel suo genere.
The Boy from Medellín (Amazon Prime Video)
Firmato dal documentarista Matthew Heineman, più volte nominato agli Oscar e vincitore di tre Emmy Awards, il lungometraggio segue la carriera del re del reggaeton J Balvin in un momento cruciale della sua carriera: alla vigilia del suo più atteso e importante concerto nella sua città natale, Medellín, in Colombia. Intorno a lui, però, il Paese è preda di disordini e di sconvolgimenti politici, la tensione sociale è alle stelle e la protesta infuria per le strade, trasformando quello che doveva essere un evento gioioso in una costante fonte di ansia. Da idolo spensierato delle folle, J Balvin si trova per la prima volta a dover affrontare le sue responsabilità di colombiano più influente e famoso nel mondo. Un’angolazione molto particolare per raccontare un aspetto finora inesplorato del fenomeno latin urban.
Tina (HBO Max)
Per ora disponibile solo in digital download, è un ritratto intimo e intenso della vita e della carriera della diva Tina Turner, che nella sua vita ha attraversato più volte l’inferno (gli abusi da parte del marito Ike, la povertà, i problemi di salute, il suicidio del figlio) e ne è sempre uscita a testa alta. Soprattutto, spiega in maniera sottile ma esaustiva il perché del suo ritiro dalle scene e la nuova vita che sta conducendo guidata dalla fede buddista, che a suo dire l’ha letteralmente salvata.