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I migliori album jazz di maggio

L’esordio di un vibrafonista-prodigio, un concept dedicato a Frida Kahlo e un disco dedicato alla Serie A e al catenaccio. Tutte le uscite jazz più importanti del mese

Foto Press

“Visions” Melissa Aldana

Dopo aver passato l’adolescenza a trascrivere le parti di Charlie Parker, Cannonball Adderley e Sonny Rollins, e a riprodurre i quadri di Oswaldo Guayasamin e Frida Kahlo, per Melissa Aldana scoprire che la Jazz Gallery voleva commissionarle una suite dedicata proprio alla pittrice messicana sarà stato come chiudere il cerchio. Nonostante abbia appena 30 anni, Aldana è una delle sassofoniste più interessanti della “nuova scuola” americana. È anche la prima donna (e la prima artista sudamericana) a vincere il Thelonious Monk International Jazz Award. Visions, il suo nuovo album (suonato con Sam Harris al piano, Pablo Menares al basso, Tommy Crane alla batteria e Joel Ross al vibrafono, di cui parleremo tra poco) è la testimonianza del lavoro fatto per la Jazz Gallery, ed è tutto ispirato alla vita e alle opere di Frida Kahlo. Per fortuna, o per un miracolo d’equilibrismo, non ha niente a che fare con la cosiddetta “Fridamania”: Visions è il punto d’arrivo di un percorso lunghissimo, che intercetta tanto la sua formazione personale quanto il suo ruolo di musicista sudamericana trapiantata a New York. “Frida ha combattuto la stessa repressione culturale con cui mi sono confrontata, a volte dolorosamente, in quanto donna cilena, cresciuta in una società governata da vergogna, sensi di colpa e omertà”. È il risultato di uno scambio continuo tra le opere di Frida e il sassofono di Aldan: una rilettura moderna del latin jazz, a volte meditativa (Madrina, Abre Tus Ojos), altre vorticosa, quasi un assalto ritmico (Elsewhere). “Frida parlava di bruttezza, bellezza, dell’essere donna, di religione, politica, amore, sessualità e di accettarsi in quanto essere umano. Ogni volta che non sapevo come andare avanti, mi bastava tornare a guardare le sue opere”.

“KingMaker” Joel Ross

La nuova grande promessa del jazz ha 23 anni, viene da Chicago e ha già suonato con Herbie Hancock, Christian McBride e Stefon Harris. Si chiama Joel Ross, e ha scelto lo strumento meno pratico, affascinante e cool dell’armamentario jazz: il vibrafono. KingMaker è il suo debutto da solista, e il titolo è più che appropriato: Ross è, a tutti gli effetti, già nella nobiltà del jazz. Non tanto per l’abilità tecnica, ma piuttosto per la capacità di sparire nel suono, di lasciare spazio agli altri musicisti, di alternare un approccio più ritmico, sincopato, a fraseggi di melodie astratte. Il risultato è incredibile, soprattutto considerando che ha firmato 11 dei 12 brani in scaletta: la sua musica è misteriosa, tanto radicata nella tradizione quanto influenzata (soprattutto dal punto di vista ritmico) dalle avventure cosmiche di Kamasi Washington e soci. In più, Ross ha una capacità fuori dal comune di arrivare al punto, di inciderti le melodie dritte nel cervello, di non perdersi in inutili manierismi. KingMaker è un esordio fuori scala, sicuramente una delle uscite più affascinanti tra quelle confezionate da Blue Note in questo 2019.

“Holy Spring” Laurence Pike

Holy Spring è un disco pieno di illusioni, misteri, lunghe meditazioni senza ritmo, armonia o direzione. È anche il secondo album solista di un percussionista, che al contrario di gran parte dei colleghi ha scelto di percorrere una strada radicalmente spirituale, lontana anni luce dall’esibizione muscolare tipica degli album solisti di chi passa la carriera seduto dietro le pelli. Ma Laurence Pike non è un musicista qualsiasi, e alla tecnica preferisce la ricerca: il suo album d’esordio, Distant Early Warning, era dedicato alla vita in un mondo digitale; Holy Spring, invece, è un lungo rituale, una cerimonia orientata verso il divino. Tutto l’album – in cui Pike suona il minimo indispensabile, o addirittura dei pad da batteria elettronica su cui ha campionato suoni d’ogni tipo, dai sintetizzatori agli strumenti a corda – ha l’aria di un cerimoniale pagano: Mystic Circles rappresenta la fase preparatoria, Dance of the Earth e Transire il climax tribale, Rites la rivelazione finale. Un disco dall’aria preistorica, inclassificabile, che appartiene al jazz quanto all’elettronica, alla world music, a tutto il resto.

“Catenaccio” Tom Cawley

Secondo Karl Rappan, allenatore svizzero di fine anni ‘30, il catenaccio è quel sistema calcistico che, grazie a un’assoluta disciplina tattica, può tirare fuori il massimo da ogni singolo giocatore con il minimo sforzo. Secondo Tom Cawley, pianista, compositore e professore alla Royal Academy of Music, è un delicatissimo frullato di bossa nova, synth jazz ed electro per tastiere, basso, batteria, flauto e voce. Catenaccio, l’avrete capito, è il primo disco jazz dedicato alla Serie A: in scaletta ha brani come Zona Mista, Regista e Rabona; in copertina, la band è illustrata vestita come i giocatori del Vicenza. Ma non fraintendete, ascoltarlo non ha niente in comune con lo strazio di assistere a una partita giocata con quel sistema. Al contrario, tra un fraseggio bossa e un’armonizzazione voce-flauto-sintetizzatore, finirete per muovervi molto più di chi il catenaccio lo pratica ogni domenica sul rettangolo verde.

New Things! è la playlist di Rolling Stone con il meglio del jazz contemporaneo. Ascoltala qui.

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