Che ci piaccia o meno, tutti ascoltiamo jazz. È ovunque, una forza innovatrice occulta di gran parte della musica contemporanea: negli arrangiamenti di Solange e Kali Uchis, nel rap più alto di Kendrick Lamar e Chance the rapper, nelle playlist degli aperitivi hipster e persino negli slot dei festival più prestigiosi d’Europa. Merito di una nuova ondata di artisti, Kamasi Washington su tutti, capaci di liberare il genere da quell’aura elitista che l’aveva rinchiuso in una bolla di vetro. Tuttavia, è difficile orientarsi nell’oceano di uscite di genere, un mischione di ristampe, cofanetti, raccolte celebrative che potrebbe spaventare chi si approccia al jazz per la prima volta. È una preoccupazione comprensibile, questa è musica che ha un secolo, uno dei movimenti artistici più importanti del Novecento, con ramificazioni potenzialmente infinite. Ma non bisogna cedere a questa visione elitaria, il jazz è musica sfuggente per natura, ma non inaccessibile. Gli album che trovate qui sotto, usciti nel mese di marzo, confermano che questa nuova ondata d’interesse è tutto meno che ingiustificata: ci sono le sonorità cosmiche mescolate all’elettronica dark dei Comet Is Coming di Shabaka Hutchings, un altro dei musicisti più rappresentativi di questa new wave del jazz, il ritorno dopo 12 anni dei Cinematic Orchestra, il sassofono sospeso tra afrobeat e psichedelia di Cochemela Gastelum e anche Bryan McAllister, che ha messo in musica i tweet e le frasi più deliranti di Donald Trump.
The Comet Is Coming – “Trust In The Life-force of the Deep Mystery”
«Noi andiamo alla ricerca delle radici del groove, dell’essenzialità. Parto da questi fondamenti e poi cerco di esplorare lo spazio intorno, sopra e sotto», ci ha raccontato Shabaka Hutchings quando l’abbiamo intervistato in occasione dell’uscita di Your Queen is a Reptile, album dei Sons of Kemet che ha confermato tutta l’attenzione ricevuta nel 2016 quando i Comet Is Coming vennero candidati al Mercury Prize con Channel the Spirits. Adesso il progetto più contaminato del sassofonista londinese è passato nella scuderia di Impulse, l’etichetta che ha ospitato molti dei suoi eroi, e ha dato alle stampe il nuovo Trust In The Life-Force of the Deep Mystery. Come il suo predecessore, anche l’ultimo album dei Comet è influenzato dalle atmosfere cosmiche di Sun Ra e Acid Coltrane, mescolate con l’elettronica degli anni ’90 e affogate in un mare di glitch ed effetti. Un album oscuro, da rave per la fine del mondo. Imperdibile.
Bryan McAllister – “Very Stable Genius”
Con Very Stable Genius Brian McAllister, pianista e compositore di Reno, Nevada, “attinge dalla sua passione per la giustizia sociale per esaminare l’attuale panorama culturale americano, attraverso una serie di composizioni satiriche ispirate dalle bizzarre azioni e affermazioni dell’uomo eletto Presidente”. Tradotto, McAllister ha messo in musica tutte le assurdità balbettate da Trump nei primi anni del suo mandato. Il risultato è un disco schizofrenico, assurdo, che va dal funk latino di Mueller all’improvvisazione libera di My I.Q. Is One of the Highest (Sorry, Losers and Haters). Satira strumentale, e l’ennesima dimostrazione di quanto la politica sia diventata centrale nel discorso culturale americano.
Cochemea – “All My Relations”
All My Relations, il secondo album del sassofonista Cochemea Gastelum, è un pastiche di funk etiope, afrobeat e cosmic jazz. È un disco pieno di melodie luminose (Seyewailo su tutte), percussioni tribali e meditazioni ipnotiche, suonato mescolando il sassofono con il liuto, i tamburi indiani e chissà che altro. Il suo punto di forza è l’accessibilità: dopo i primi ascolti vi ritroverete a cantare la dolcissima Song of Happiness, oppure ad agitarvi sui ritmi di Mitote.
Snarky Puppy – “Immigrance”
«Ai nostri concerti c’è gente di tutti i tipi: qualcuno viene con la maglietta degli Slayer, qualcun altro con quella di Biggie Smalls», ci ha raccontato Michael League degli Snarky Puppy, che dopo 15 anni di carriera hanno pubblicato Immigrance, l’album più accessibile e divertente della discografia della band. La ricetta è quella di sempre: funk, world music, una tonnellata di groove solidissimi. Siamo lontani dai fasti di Culcha Vulcha, e probabilmente Immigrance è nato più per essere suonato dal vivo che per un ascolto solitario. Forse è meglio così.
The Cinematic Orchestra – “To Believe”
«Credo che la parola jazz sia usata quasi sempre a sproposito, quasi a indicare un musica elitaria. Per noi invece è un suono che sfugge alle definizioni di genere, con cui scoprire nuovi linguaggi. E abbiamo sempre cercato di rendere questo percorso semplice per un pubblico giovane», ci ha detto Jason Swinscoe di To Believe, nuovo album dei Cinematic Orchestra a 12 anni dal successo di Ma Fleur. Il disco è tutto dedicato alla fede, e nonostante qualche scivolone stucchevole, è decisamente meno di maniera del precedente, e ha almeno due brani indimenticabili: la title track, con la voce di Moses Sumney, e A Caged Bird / Imitations of Life, con Roots Manuva. Che sia jazz, nu-jazz o chissà che altro non importa, To Believe è un disco in cui sprofondare e che potrebbe benissimo durare all’infinito.
New Things! è la playlist di Rolling Stone con il meglio del jazz contemporaneo. Ascoltala qui.