Rolling Stone Italia

I 50 migliori dischi italiani del decennio

Dai Calibro 35 a Elisa, da Calcutta ai Verdena, è tempo di tirare le somme di questo decennio, giunto ormai alla fine.

Artwork di Stefania Magli

È tempo di tirare le somme di questo decennio di album italiani, giunto ormai alla fine. Okay, mancano ancora pochi mesi e saremo felici di aggiornare la classifica in caso di nuove uscite eclatanti, ma diciamo che il grosso è fatto. Eccome se è fatto. Anni Dieci? Anni duemiladieci? Decennio X? Avremo tempo di metterci d’accordo su come chiamarli questi tremila seicento cinquantadue giorni che ci stiamo mettendo alle spalle, anni difficili, rivoluzionari, decisivi, contraddittori e intensi.

I motivi per cui saranno ricordati sono ovviamente infiniti: gli anni della crisi finanziaria globale, dell’austerità, dei variegati movimenti di occupazione e di democrazia diretta e dell’ascesa del sovranismo, della Primavera Araba, dei diritti LGBTQ, del #MeToo, della Brexit e della crisi migratoria. Anni di guerre civili, di attentati terroristici, di catastrofi naturali e non, ma anche gli anni dell’esplosione definitiva dei social media, dell’internet of things, delle piattaforme di streaming e di una nuova consapevolezza sulla portata della crisi climatica. Insomma, è inutile riassumere tutto quanto, anche perché c’eravate, no?

Per quanto riguarda l’Italia, la colonna sonora di questi anni è stata piena di novità, cambi di registro, ampliamento degli orizzonti. Abbiamo ascoltato centinaia di dischi, assistito a decine di concerti, raccontato ogni storia e verificato ogni notizia dal primo all’ultimo giorno e come potete immaginare non è stato facile fare una sintesi. Cinquanta dischi sono un granello di sabbia nella miriade di pubblicazioni che avviene ogni settimana in dieci anni, quindi abbiamo cercato di essere coerenti innanzitutto con noi stessi e con quelli che Rolling Stone ha amato dal primo ascolto, abbiamo cercato di privilegiare i generi nei quali voi lettori vi rispecchiate maggiormente, valutando l’impatto e la rilevanza che questi dischi hanno avuto nel proprio ambito, il loro stato di conservazione e la resistenza ai segni del tempo, in altri casi abbiamo cercato di rivalutare piccoli capolavori nascosti o di eleggere un album a rappresentate di una corrente o di un sotto-genere intero.

Mischiare tutto quanto in un’unica classifica può sembrare rischioso e ci ha esposto a antinomie inevitabili, perché l’importante era scattare una fotografia panoramica di un decennio di musica italiana. Quello che segue è il risultato. 

50. “I moralisti” di Amor Fou (2010)

Siamo di fronte a un classico esempio di trovarsi al posto giusto nel momento sbagliato. Questo splendido disco degli Amor Fou esce a inizio decennio, ma era ancora troppo presto per far sì che potessero cavalcare l’onda in arrivo, che hanno anticipato dal punto di vista dei suoni e dei contenuti. Non raggiunsero il successo che forse avrebbero potuto meritarsi, ma noi li ricordiamo.

49. “Legna” di Gazebo Penguins (2011)

Nel gergo calcistico chi “fa legna” sostanzialmente è il mediano che si sbatte e corre anche per gli altri. Forse non è a questo che si riferisce il titolo del primo disco dei Gazebo Penguins – che è energia pura, dall’inizio alla fine – ma di sicuro in una improbabile formazione calcistica della musica italiana, loro sarebbero i mediani che fanno legna, senza paura di sporcarsi e di prendere calci nella fanghiglia in mezzo al campo.

48. “Maria Antonietta” di Maria Antonietta (2012)

Prima che la musica italiana venisse cannibalizzata da una manciata di concetti e da suoni tutti uguali, esisteva un mondo di mezzo, che non era certo contro-cultura underground d’avanguardia, ma nemmeno roba da radio generalista. Era un mondo trasversale, in cui si potevano coltivare ambizioni pop, mantenendo la possibilità di sporcarsi. Quel mondo è stato sommerso, ma di sicuro nel 2012 era ancora rigoglioso e abitato da Maria Antonietta, il cui omonimo disco d’esordio rimane un piccolo capolavoro di scrittura e vocalità, che un giorno tornerà a galla per rivendicare la gloria che merita.

47. “Polaroid” di Carl Brave x Franco126 (2017)

Troppi strumenti per essere trap, troppo autotune per essere cantautorato: il disco di esordio di due pischelletti di Trastevere è la perfetta istantanea della generazione post-crisi economica, disillusa, disorientata e senza un futuro. Ma nonostante tutto ancora piena di speranza.

46. “Ecstatic Computation” di Caterina Barbieri (2019)

La giovane bolognese ha già conquistato il cuore di Aphex Twin, che l’ha voluta di fianco a sé al Red Bull Music Festival di Londra. Se Caterina Barbieri è riuscita a fare breccia nel signore oscuro dell’elettronica è solo grazie a un’esistenza passata a spippolare synth modulari e costruire pattern ricorsivi, uno mai identico all’altro.

45. “Death Surf” di Heroin in Tahiti (2012)

Con questo album del duo romano vogliamo premiare tutta la cosiddetta nuova ondata di “Italian Occult Psychedelia”, che in questo decennio ha vissuto un periodo particolarmente rigoglioso. Si tratta di un movimento spontaneo e variegato, non privo di eccezioni e differenze. Decine di band sparse a macchia di leopardo, con comune denominatore fatto di atmosfere esoteriche, tribali e apocalittiche.

44. “Go Go Diva” di La rappresentante di lista (2018)

Una delle tante risposte a chi sostiene che non ci siano voci femminili all’altezza, in un panorama musicale a egemonia maschile solo per chi vuole vedercela. La rappresentante di lista è uno dei progetti nati sul finire del decennio e che promette molto bene per il futuro: un moderno mix di pop e cantautorato, tradizionale nel senso positivo del termine, ovvero di spessore compositivo e che non scade in melodie e ritornelli elementari. Ci rivediamo il prossimo decennio.

43. “Graziosa Utopia” di Edda (2017)

Per raccontare la parabola di Edda non basta lo spazio che abbiamo qui a disposizione, all’apice del successo con i Ritmo Tribale sparisce dai radar a causa di una tossicodipendenza, fa ancora il manovale quando riappare con un progetto solista, che raggiunge un nuovo apice con questo album che sviscera tutta l’immensa anima e la voce incredibile di uno dei personaggi più preziosi e rari che abbiamo in casa.

42. “Born in the woods” di Birthh (2016)

L’esordio di Birthh, nome d’arte di Alice Bisi, è arrivato quando non aveva ancora compiuto vent’anni, ciononostante Born in the woods è stata considerata per molti la risposta fiorentina alle grandi icone del rock alternativo internazionale, da Florence a Victoria Legrand, sound pop barocco e dream pop, raffinato e come tutto ciò che è bello ma ancora acerbo, fa ben sperare per il futuro.

41. “Nati per subire” di Zen Circus (2011)

Una vita fa gli Zen Circus erano la band che mandava tutti affanculo, con questo disco è iniziata una ascesa verso una maturità artistica e un’espansione che li ha portati dalla narrazione amara della provincia toscana e del “Paese che sembra una scarpa” fino al palco di Sanremo.

40. “Racines” di C’mon Tigre (2019)

I C’mon Tigre sono un duo e un collettivo, poco incline a mettersi in mostra, anzi, se è per questo la loro identità non è mai stata ufficialmente svelata, senza che questo diventi uno amplificatore di hype. Per capirci: le persone vanno ai loro concerti perché sanno fare musica, non per paparazzarli. Racines è il loro secondo album, che al pari dell’omonimo esordio, mette al centro le chitarre, arricchito questa volta da un mosaico di contaminazioni afrobeat, funk, jazz per adornare il paradigma di alt-rock sensuale e ad alta definizione che li rende unici, se non addirittura alieni, in Italia.

39. “Ashram Equinox” di Julie’s Haircut (2013)

Il migliore psych-rock, cosmico, jazzato e anche un bel po’ lisergico, è stato sfornato dagli Julie’s Haircut, la band partita dalla provincia emiliana e arrivata in cima alla stratosfera, tra le più longeve del settore. Se volete ascoltare un solo disco di neopsichedelia interstellare fatta in casa, potete scegliere Ashram Equinox senza esitazioni.

38. “Higher Living” di L I M (2018)

Il progetto solista di Sofia Gallotti dopo gli Iori’s eyes, è uno dei più credibili tentativi nostrani di coniugare elettronica in chiave synthpop e ambient. Il progetto L I M non riesce solo in questo intento riesce in questo intento e anche in quello di creare un’estetica idonea e curata, in cui ci si immerge e ci si perde. Per questo Higher living è un piccolo viaggio in un mondo fatato e in cui c’è pochissimo spazio per le cose brutte.

37. “Un meraviglioso declino” di Colapesce (2012)

L’esordio di Colapesce è stato dirompente. L’esatto opposto della delicatezza delle chitarre e dei testi dei tredici pezzi che compongono Un meraviglioso declino che a distanza di tutti questi anni, a parte il titolo preveggente sotto molti punti di vista, rimane anche una delle migliori e più spontanee sintesi tra cantautorato e il fu indie alternativo, pioniere di un sound su cui molti altri autori si sarebbero buttati a capofitto negli anni a venire.

36. “Torno a casa a piedi” di Cristina Donà (2011)

Cristina Donà è la cantautrice che non ci meritiamo, ma di cui non possiamo fare a meno. Come ogni ecosistema ha bisogno di equilibri infinitesimali per sopravvivere e prosperare, senza Cristina Donà non ci sarebbero un sacco di specie che popolano questo strano e ingrato habitat. Torno a casa a piedi è il primo disco della cantautrice lombarda, per questo decennio, il decennio della maturità e dell’esperienza conclamata, dopo essere esplosa nel 1997 con Tregua, essersi fatta tutti gli Anni Zero sulla cresta dell’onda, oggi continua a essere la figura di riferimento e la risposta a chi non vuole vedere donne, in questo strano e ingrato habitat.

35. “Ormai” di Fine Before You Came (2012)

I cerchi concentrici scarabocchiati sulla copertina di Ormai potrebbero essere un bel logo concettuale per descrivere la forza centrifuga del disagio generazionale di chi nel 2012 aveva intorno ai vent’anni e i sparava a cannone i dischi dei FBYC o sfidava la morte pogando sottopalco durante i loro concerti. Era difficile uscire con qualcosa di degno dopo il leggendario Sfortuna, eppure Ormai ci è riuscito. Invece quella generazione ancora non è riuscita a “capire settembre”.

34. “Mezzanotte” di Ghemon (2017)

Ne ha dovuta fare di strada Giovanni Luca Picariello prima di diventare il Ghemon che tutti conosciamo. Ghemon Triste, Ghemon Tigre, Ghemon Scienz e tanta gavetta, prima di diventare semplicemente Ghemon, il rapper cantautore che oggi sforna i testi tra i più raffinati dell’hip hop italiano e tra i pochissimi ad avere, oltre a un certo spessore contenutistico, una coscienza e una sensibilità per la realtà attorno. Mezzanotte è stato il disco della consacrazione che un paio di anni dopo l’ha portato sul palco di Sanremo.

33. “Io in terra” di Rkomi (2017)

Il giovane rapper milanese si è ritagliato un posto di rilievo nella scena a colpi di rime mai banali e un lessico da paroliere fatto e finito. Io in terra è la terra di mezzo tra la vita in Zona Quattro e il successo nazionale, un disco che mostra tutti gli aspetti del suo talento ibrido e variegato, che lo rende uno dei migliori della sua generazione.

32. “Gioco di società” di Offlaga Disco Pax (2012)

Gli Offlaga Disco Pax sono una piccola gemma preziosa che spicca nella pletora di musica scialba, senza contenuti né riferimenti culturali, che spesso dobbiamo sorbirci in Italia. Qui siamo agli antipodi il che significa che troviamo storie con cui si ride o ci si commuove, e in più si ascolta elettronica lo-fi di grande spessore.

31. “Where Are You Now” di Port Royal (2015)

Uno dei progetti più convincenti mai prodotti dalla scena elettronica italiana, qui raccontato da quello che, ad oggi, rimane probabilmente il loro lavoro più accessibile. Where Are You Now ricorda un movimento sonoro incessante, dove ogni frequenza s’incrocia con l’opposta in un mosaico armonico e insieme dissonante. Messi da parte i tocchi shoegaze e i richiami post-rock che avevano tracciato i lavori passati, i protagonisti diventano qui i glitch, i synth analogici sequenziati e, soprattutto, gli sprazzi techno che accompagnarono i genovesi verso il dancefloor, ammiccando – talvolta anche un po’ troppo – all’elettronica berlinese più melodica e moderata.

30. “Logico” di Cesare Cremonini (2014)

Chi l’avrebbe mai detto che vent’anni dopo il successo dei Lùnapop, Cesare Cremonini sarebbe ancora stato un faro nel mare in tempesta della musica pop italiana? Beh probabilmente chiunque abbia mai ascoltato anche solo un suo ritornello.

29. “Manuale distruzione” di Levante (2014)

Oggi quando si parla di Levante abbiamo tutti sotto gli occhi l’affermata popstar, passata per l’esperienza come giudice di X Factor e per un sacco di singoli di successo, come se fosse sempre stato così. La verità è che era talmente disperato il bisogno di una figura come Levante nell’orizzonte musicale italiano, che il periodo in cui è stata una esordiente è durato poco e sembra lontanissimo. Invece era solo pochi anni fa, con Manuale distruzione, inevitabilmente il suo disco più ingenuo, ma anche essenziale, perché porta con leggiadria il peso dell’eredità del cantautorato femminile dei decenni precedenti.

28. “L’amore e la violenza” di Baustelle (2017)

Visto che il Sussidiario illustrato della giovinezza era uscito troppo in anticipo sull’ondata synth-pop che ha investito la musica italiana, i Baustelle hanno deciso di ricordarci chi è stato a dare il La. L’amore e la violenza è il ritorno a quei suoni, con quasi vent’anni di maturità in più sulle spalle.

27. “Per ora noi la chiameremo felicità” di Le Luci della Centrale Elettrica (2010)

«E cosa racconteremo ai figli che non avremo, di questi cazzo di Anni Zero?» cantava Vasco Brondi nel suo primo disco, negli Anni Dieci non abbiamo trovato una risposta a questa domanda, ma forse basterà che i figli che non avremo ascoltino Per ora noi la chiameremo felicità per capire meglio che in qualsiasi altro posto l’aria che tirava.

26. “Controcultura” di Fabri Fibra (2010)

All’inizio del decennio a comandare nell’hip hop italiano era Fabri Fibra, nel frattempo sono cambiate tante cose, ma rimane una certezza: per rivedere un disco come Controcultura bisognerà aspettare il prossimo decennio, forse.

25. “Fuoricampo” di TheGiornalisti (2014)

Quando i TheGiornalisti hanno battuto il loro Fuoricampo in pochi avrebbero potuto prevedere che si trattasse del preludio di una rivoluzione di immensa portata che ha semplicemente travolto tutto, completamente.

24. “Padania” di Afterhours (2012)

Se si trattasse dei due decenni precedenti probabilmente gli Afterhours sarebbero in cima a questa classifica, oggi la band di Manuel Agnelli si muove nel mondo della musica italiana con l’autorevolezza di chi semplicemente ha credito per fare quello che gli pare: che siano talent, organizzare festival, senza perdere il vecchio vizio di fare dischi fatti bene, come Padania, uno dei lavori più intensi della band milanese.

23. “Nuova Napoli” di Nu Guinea (2018)

Nuova Napoli è stata un’epifania per tutti coloro che hanno avuto la fortuna di ascoltarlo. Quando si ottiene un risultato innovativo dalla fusione di due ingredienti tradizionali, vuol dire che si ha di fronte qualcosa di grande spessore. In questo caso jazz-funk e italo disco cantati in dialetto napoletano: il risultato è magico.

22. “Lesbianitij” di Pop X (2016)

Pop X è un fenomeno trash o è genialità assoluta? Forse lo capiremo fra un paio di decenni, nel frattempo gli teniamo caldo questo posto nella Storia.

21. “Aspettando i barbari” di Massimo Volume (2013)

Tra le belle notizie musicali di questo decennio c’è stata la reunion dei Massimo Volume, tornati nel 2010 con Cattive abitudini dopo undici anni di assenza. Aspettando i barbari rappresenta un’evoluzione inedita nella compattezza della band di Emidio Clementi pur mantenendo la solita ineguagliabile classe.

20. “Liberato” di Liberato (2019)

Possiamo dire di essere stati i primi a credere nel cantante napoletano senza volto. Da perfetto sconosciuto, in appena due anni Liberato è diventato un perfetto sconosciuto famosissimo, soprattutto grazie al coraggio di fondere urban music e canzone napoletana.

19. “A casa tutto bene” di Brunori Sas (2017)

In questo decennio Dario Brunori ha consolidato il suo ruolo di cantautore capace di far sorridere e commuovere, A casa tutto bene è la definitiva consacrazione di un artista adulto all’apice della sua maturità stilistica.

18. “Album” di Ghali (2017)

Se è vero che è stato anche il decennio della trap, è altrettanto vero che Ghali ne rappresenta l’espressione italiana più sfaccettata, in grado di rimanere credibile sia in versione tormentone che in quella più underground.

17. “Il sorprendente album d’esordio de I Cani” de I Cani (2011)

Il discorso è semplice: esiste un prima e un dopo Il sorprendente album d’esordio de I Cani. Quando hanno iniziato a circolare le prime tracce, già si capiva che le cose non sarebbero più state le stesse, così come la vita di Niccolò Contessa, che non si nasconde più dietro a un sacchetto di carta infilato in testa, ma dietro a moltissimi dei grandi successi di questi anni, di cui è autore e produttore.

16. “La fine dei vent’anni” di Motta (2016)

Il capellone livornese è esploso con il suo primo disco da solista in italiano, capace di raccontare come nessun altro la generazione che in questo decennio si è affacciata sui fatidici trent’anni.

15. “I Hate my village” di I Hate my village (2019)

La superband di Adriano Viterbini, Fabio Rondanini, Alberto Ferrari e Marco Fasolo è stata una delle novità più interessanti del finale di decennio, afro-beat, groove e blues. Il tutto, ricoperto da una preziosa patina di ruggine Lo-Fi e assemblato con grande semplicità, senza prendersi troppo sul serio. Lunga vita agli I Hate My Village.

14. “Hellvisback” di Salmo (2016)

Dalla provincia sarda fino al top in classifica, la storia di Salmo è fatta di tanta gavetta e altrettante soddisfazioni: Hellvisback è una bomba atomica sganciata sul rap italiano.

13. “Marinai, profeti e balene” di Vinicio Capossela (2011)

Non tutti i decenni possono vantare il grande successo di un doppio concept album tanto ben riuscito e denso di contenuti come Marinai, profeti e balene. Un viaggio epico tra fondali oceanici, mostri marini e lupi di mare. Un’opera perfetta e inquietante, tanto ricca di letteratura quanto di arrangiamenti mozzafiato.

12. “Enemy” di Noyz Narcos (2018)

Questo disco è la dimostrazione che i veterani del rap italiano hanno ancora qualcosa da dire. Noyz Narcos l’ha fatto col solito stile, rime al vetriolo e beat potentissimi, senza trascurare featuring con le nuove leve, provenienti anche dal giovanissimo mondo della trap.

11. “DIE” di IOSONOUNCANE (2015)

Quando uscì DIE in molti gridarono al capolavoro e quel grido si propaga ancora oggi senza smentita. Un concept album di sei tracce che in meno di quaranta minuti riesce a essere un miracolo di sperimentazione e poetica come non se ne vedevano da parecchi anni in Italia.

10. “Diari Aperti” di Elisa (2018)

La sua voce è una garanzia sin dal primo giorno. La Elisa degli anni dieci è un’artista matura, una delle poche che se riempie le pagine non ti viene voglia di appellarti a Change.org in difesa degli alberi. Elisa scrive, e scrive bene, ma tu per capirla devi portare gli occhi e il cuore.

9. “Rockstar” di Sfera Ebbasta (2018)

Qui parlano i record. Questo disco ha infranto tutti quelli possibili, in termini di vendite e per numero di streaming, milioni e milioni fino alla top 100 mondiale, unico caso per un artista italiano. C’è bisogno di aggiungere altro?

8. “L’ultima festa” di Cosmo (2016)

Overdose di synth, ritornelli perfetti e tanto sudore ai concerti: Cosmo è l’itpop che più di ogni altro ci ha fatto ballare come se ogni volta fosse “l’ultima festa”. La dance italiana che finalmente si riprende il suo posto in radio.

7. “Gioventù bruciata” di Mahmood (2019)

Questo disco d’esordio dimostra che il successo di Mahmood non si ferma solo alla meritatissima vittoria del Festival di Sanremo con la hit Soldi, che ha mandato in cortocircuito mezza Italia. E ora anche il mondo.

6. “Persona” di Lorenzo Senni (2016)

Un italiano che esce per la leggendaria label Warp Records (Aphex Twin, Brian Eno) non si era mai visto prima d’ora. Arpeggiatori e fantasmi di un passato trance riaffiorano in una musica priva di percussioni, scelta anche per fare da soundtrack all’esperimento interattivo su Netflix, Bandersnatch. C’è bisogno di aggiungere altro?

5. “Two, geography” di Any Other (2018)

Gli Any Other sono tra i pochissimi gruppi italiani che si sono esibiti al Primavera Sound. In questo decennio così poco votato ad allargare gli orizzonti della musica di casa nostra, sono il più credibile passaporto per l’estero, non sta soltanto per i testi in inglese, ma anche per l’identità internazionale degli arrangiamenti di perfetta matrice indie-pop e del talento compositivo e vocale di Adele Nigro.

4. “Fa niente” di Giorgio Poi (2017)

Giorgio Poi è uno dei più grandi talenti della sua generazione e il suo disco d’esordio (da solista) è una perla preziosa, il modo migliore di attingere alle influenze passate della canzone italiana senza scadere mai nel didascalico o nel derivativo.

3. “Mainstream” di Calcutta (2015)

Prima di questo disco, immaginare che l’indie potesse diventare “mainstream”, riempire i palazzetti e gli stadi, frequentare assiduamente talent in prima serata e andare in rotazione fissa nelle radio generaliste, era solo un gioco dell’immaginazione. Calcutta è il volto più rappresentativo dell’ondata che ha travolto il panorama musicale italiano a metà decennio, modificando radicalmente tutti i paradigmi. Da talento underground a fenomeno discografico, Calcutta con il suo Mainstream non rappresenta soltanto la Genesi dell’it-pop, ma anche il nuovo cantautorato italiano in termini di poetica e di ritornelli.

2. “Ritornano quelli di…” di Calibro 35 (2010)

Febbraio 2010, il decennio era appena iniziato e già ci regalava uno dei suoi più grandi capolavori. Il secondo disco dei Calibro 35 non è soltanto tredici tracce jazz-funk perfette – come tutte quelle dei Calibro 35, del resto – ma è anche il simbolo di un ritorno di fiamma di un sound che ha influenzato tutti gli Anni Dieci, dalle colonne sonore di b-movie poliziotteschi fino alla library music, che ha portato le generazioni più giovani a riscoprire compositori e musicisti italiani storici.

1. “Wow” di Verdena (2011)

Al primo posto non potevano che esserci i Verdena. Il percorso della band bergamasca è una parabola in costante ascesa, di cui Wow rappresenta uno dei punti più alti, sia della loro carriera, che del rock alternativo italiano. Uscito nel gennaio 2011, il mastodontico doppio CD è rimasto un ineguagliato capolavoro per estetica dei testi e varietà di sperimentazioni su più generi, senza però trascurare i ritornelli pop e anticipando di parecchi anni molte delle sonorità che hanno caratterizzato tutto il decennio.

A cura di Edoardo Vitale e Claudio Biazzetti.

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