Passano gli anni, ma la PFM resta un gruppo che dal vivo ha pochi rivali, con Franz Di Cioccio e Patrick Djivas che tirano dentro giovani allievi che imparano a farsi il culo sul palco, a non accontentarsi di riproporre le canzoni paro paro al disco bensì reinventandole costantemente, cambiando scalette e arrangiamenti, improvvisando con la consapevolezza che, come diceva Demetrio Stratos, la musica può essere un gioco nel quale si rischia la vita.
«I dischi in studio sono lunghi e faticosi da realizzare, attenuano la nostra indole che è quella di salire sul palco belli feroci e spaccare tutto», dice Di Cioccio gasatissimo. «Il feeling con chi ci viene a sentire è la cosa più bella che un artista possa chiedere e noi lo sperimentiamo ogni sera, loro ci donano energia e noi ricambiamo spettinandoli».
Di Cioccio palpita d’orgoglio per l’uscita di The Event – Live in Lugano, che si colloca sulla scia dei grandi dischi dal vivo che PFM ha pubblicato nel corso del tempo, uno per tutti lo storico Live in USA del 1975, conosciuto anche come Cook. «Veri dischi da vivo», precisa Djivas, «senza ritocchi in studio, testimonianze reali e sincere di un momento che poi sarà superato da nuove invenzioni ed esecuzioni sempre diverse, senza click, computer, sequenze e cazzate varie, solo sangue e passione». Il live a Lugano fa inoltre da apripista a una serie di uscite denominate PFM Live Collection, con ulteriori registrazioni di brani storici, rivisitazioni, jam e tutto ciò che la band è in grado di fare on stage.
Con oltre 6000 concerti all’attivo nell’arco di oltre 50 anni di carriera, viene naturale chiedersi quali sono i tour che Franz e Patrick ricordano con maggiore affetto, esperienza con Fabrizio De André a parte. Ecco quindi la loro top 5 in ordine cronologico.
Sud Italia 1972
Di Cioccio: «Non so se fu uno dei migliori tour, sicuramente il più rocambolesco. Un evento: nessun gruppo rock in Italia, e dico proprio nessuno, aveva mai suonato al sud. E all’epoca non c’era l’organizzazione di oggi, i palchi erano camion per i maiali messi uno accanto all’altro, con la corrente che arrivava tramite lunghissime prolunghe attaccate magari a casa di qualcuno. “Stacca il frigorifero che dobbiamo dare la corrente ai suonatori”, dicevano. Una roba demenziale».
Stati Uniti 1974
Djivas: «Non ce lo aspettavamo, eravamo increduli: un gruppo italiano – non inglese o di altri paesi anglofoni – che sbarca negli Stati Uniti e ottiene così tanti consensi. E non abbiamo suonato nei localini. ma direttamente nei teatri e nelle arene».
Di Cioccio: «Ci siamo esibiti al Madison Square Garden, non so se rendo l’idea, poi al Charlotte Motor Speedway prima degli Emerson, Lake & Palmer. Dopo di loro, avrebbero dovuto chiudere il festival gli Allman Brothers che, in quanto americani, erano i padroni di casa. Gli ELP li misero in guardia: avrebbero fatto uno show alla Attila, dopo non sarebbe più cresciuta l’erba. E così fu: una bomba, la gente impazzì e al termine della loro esibizione moltissimi se ne andarono, con buona pace dei poveri Allman».
Inghilterra 1974
Di Cioccio: «Stavamo facendo le prove alla Royal Albert Hall per il concerto serale, con i roadie che si lanciavano in gare di corsa e di rutti, quando inaspettatamente entra la Regina Madre. Cazzo, tutti impietriti. Era lì per l’inaugurazione di una scuola di ballo e passando aveva sentito il suono del Moog di Premoli. Affascinata aveva chiesto cosa stesse suonando. Flavio, con fare British, le aveva risposto “It’s Albinoni madame”, visto che in quel momento era alle prese col famoso Adagio».
Giappone 1975
Djivas: «Alla fine di un concerto ero così esaltato che ho lanciato il basso in aria dall’entusiasmo, distruggendolo. Una cosa assurda che non fa parte del mio carattere, ma ero così gasato che non capivo più nulla».
Di Cioccio: «Io ero per tutti Cioccio San, sembravo un personaggio dei cartoni animati».
Reunion 1997
Djivas: «Un bellissimo tour, fu un piacere ritrovarsi e capire che l’amalgama era intatto, sembrava che il tempo non fosse passato. Poi includemmo musicisti esterni come Phil Drummy e Stefano Tavernese. Drummy suonava un sacco di strumenti, tra cui didgeridoo e cornamusa, i brani si coloravano e acquistavano nuova vita».
Di Cioccio: «Gli ospiti hanno sempre portato un quid in più nella nostra musica, un po’ come ai nostri giorni con questa PFM “allargata”, una sorta di orchestra con musicisti capaci e totalmente liberi di mettere in campo le loro abilità in maniera mai rigida, con un continuo interplay, con la voglia di mettersi in gioco che ci permette di reinventarci costantemente».