All’inizio del 1992 i Nirvana arrivavano al primo posto della classifica Billboard con Nevermind. È un momento fondamentale per la storia del rock: le band hair metal che avevano dominato gli anni ’80 erano bloccate in una crisi senza uscita, e l’esplosione definitiva del grunge fu un po’ il colpo di grazia per un intero genere. “I Nirvana e i Soundgarden hanno mostrato a tutti quanto quella musica fosse diventata noiosa e ripetitiva”, ha detto Tony Harnell dei TNT a proposito di quel periodo.
Lontano dal mainstream, il metal si è diviso in una miriade di sottogeneri. Tra questi, ce n’è uno in particolare che ha preso una direzione assolutamente opposta alla semplicità – di suoni, armonie e strumentazione – del grunge: il prog metal, che ai riff del passato aggiungeva strutture ritmiche irregolari, grande tecnica strumentale, una tavolozza di suoni ingigantita (soprattutto dalle tastiere) e concept album ambiziosi. Nonostante non siano mai stati particolarmente benvoluti dalla critica, tra il 1990 e il 2010 i gruppi prog metal si sono conquistati un pubblico enorme, che in alcuni casi (vedi alla voce Dream Theater) ha riempito per decenni i palazzetti di mezzo mondo. Qui sotto i dieci dischi fondamentali del genere, elencati in ordine cronologico.
“Operation: Mindcrime” Queensrÿche (1988)
Pubblicato nel 1988, il terzo album in studio dei Queensrÿche è un concept distopico che racconta la storia di Nikki, un uomo costretto a diventare un assassino dal Dr. X, il leader di un gruppo di ribelli, e di una prostituta diventata suora, Sister Mary. Operation: Mindcrime è considerato uno dei pilastri del genere, un album che contiene, seppure ancora in forma accennata, tutti gli elementi che verranno sviluppati in futuro da altre band: testi impegnati in stile romanzo sci-fi, grande tecnica strumentale, ritmi intricati e tonnellate di acuti.
“Images and Words” Dream Theater (1992)
Images and Words è il disco più famoso e odiato della band più famosa e odiata di tutto il prog metal, i Dream Theater. Trascinato dal successo del singolo Pull Me Under – che nonostante un video a bassissimo budget avrà il suo momento di gloria su MTV –, il secondo album della band è diventato nel corso degli anni l’esempio da seguire per tutti i gruppi prog metal. Le otto canzoni in scaletta sono un po’ il libro dei sogni del genere: riff alla Metallica, ritmiche irregolari, power ballad anni ’80, break inaspettati in stile classico, un assolo spagnoleggiante, lunghe sezioni strumentali che hanno ispirato legioni di giovani musicisti.
“A Pleasant Shade of Gray” Fates Warning (1997)
Uscito nel 1997, A Pleasant Shade of Gray è un concept album composto da un’unica canzone, suddivisa in 12 movimenti, dalla durata di oltre 52 minuti. Interamente scritto dal chitarrista Jim Matheos, A Pleasant Shade of Gray è un album cupo, ricco di splendidi arpeggi e intrecci di chitarra, e influenzato da industrial, elettronica e classica, lontano dall’esuberanza tecnica e melodica dei Dream Theater.
“Terria” Devin Townsend (2001)
Devin Townsend è apparso sui radar degli appassionati dopo la collaborazione del 1993 con Steve Vai per l’album Sex & Religion; da allora, il musicista e produttore canadese si è imbarcato in molti progetti diversi, dall’industrial-death degli Strapping Young Lad ai suoni più melodici della sua produzione solista. Terria, il quarto album in studio, è una summa di tutte le sue influenze. “Il titolo fa riferimento all’idea di terra, ovviamente, ma anche a un nome di donna. Credo che questo album contenga una sorta di energia femminile”, ha detto. “È un disco duro ma pieno di dolcezza”.
“Lateralus” Tool (2001)
“In un’altra era, Lateralus sarebbe stato considerato progressive rock, musica impressionante e pretenziosa. […] L’unica cosa che distingue le canzoni dei Pink Floyd da quelle di Lateralus è la voglia dei Tool di aggiungere chitarre enormi e atmosfere di assoluto terrore”, scriveva Rolling Stone poco dopo l’uscita del terzo album in studio dei Tool. Con il passare del tempo Lateralus si è trasformato in una pietra miliare di tutto il rock, non solo del genere, ed è l’esempio perfetto di come si possa suonare prog senza guardare al passato, scrivendo musica con suoni, tematiche e atmosfere della contemporaneità. È anche un disco di canzoni meravigliose, sia nei momenti più intricati (la title track) che in quelli più accessibili (Schism).
“Remedy Lane” Pain of Salvation (2002)
Capitanati da Daniel Gildenlöw (voce, chitarra e autore di musiche e testi), gli svedesi Pain of Salvation hanno una discografia composta quasi esclusivamente da concept album. Remedy Lane, quarto LP in studio della band, ripercorre la vita sentimentale e sessuale di un giovane uomo, una sorta di biografia alternativa dello stesso Gildenlöw. Rispetto ai colleghi americani (Dream Theater su tutti), i Pain of Salvation hanno un suono più sporco e povero di virtuosismi esagerati. Ma la vera differenza rispetto all’estetica classica del prog sta nei testi: Remedy Lane, infatti, è un disco straziante, scritto per affrontare ed elaborare una serie di traumi, tra cui un aborto spontaneo e un tentativo di suicidio.
“Second Life Syndrome” Riverside (2005)
Nonostante siano meno conosciuti rispetto agli altri nomi in lista, i polacchi Riverside sono una delle band più interessanti del prog metal europeo. Il loro suono è una rielaborazione particolarissima di quanto fatto da Porcupine Tree, Opeth e Anathema, con un tocco di psichedelia floydiana e un gran gusto per le melodie vocali. Second Life Syndrome, secondo album in studio e secondo capitolo di una trilogia di concept, non è un album innovativo, ma una reinterpretazione del meglio di tutto il decennio d’oro del genere.
“Ghost Reveries” Opeth (2005)
Se progressive significa allargare i confini di un canone estetico, allora gli Opeth sono l’esempio da seguire. Nata a Stoccolma nel 1990, la band guidata dal chitarrista, cantante e autore Mikael Åkerfeldt mescola death metal, prog anni ’70 ed elementi acustici, un frullato quasi impossibile tra i Morbid Angel e i Camel. Ghost Reveries, uscito nel 2005, è un disco di fantasmi, alberi marci, solitudini e storie spaventose: contiene tutti gli elementi del suono del gruppo, sia passato che futuro, in un equilibrio perfetto. Dopo il successivo Watershed, infatti, il gruppo abbandonerà il death per provare una strada nuova, una reinterpretazione oscura e malata del prog rock anni ’70.
“Colors” Between the Buried and Me (2005)
Colors è uno degli album più variegati ed eterogenei di questa lista. Scritto come un’unica lunga canzone, il quarto LP in studio dei Between the Buried and Me è un frullato di metal con influenze di ogni tipo, dal jazz al pop, spesso alternate nel giro di pochissimi minuti e condite da passaggi ultra-tecnici e trovate al limite dell’assurdo. Definito dalla band come un disco di “adult contemporary progressive death metal”, Colors è una prova di libertà creativa assoluta.
“Fear of a Blank Planet” Porcupine Tree (2007)
Nel 1987 il giovane musicista Steven Wilson decide, per farsi due risate, di inventarsi di sana pianta la storia di una band progressive leggendaria: i Porcupine Tree. Vent’anni dopo, il gruppo esiste davvero, ed è al culmine della sua carriera. Fear of a Blank Planet, il nono album in studio, contiene la musica più aggressiva mai scritta da Wilson, quasi lo specchio delle melodie sognanti e floydiane degli inizi, ed è tutto dedicato a una generazione alienata dal mondo reale a causa della dipendenza da internet. I Porcupine Tree esplorano quest’alienazione traccia dopo traccia, tra riff semi-industrial, poliritmi e tastiere inquietanti. Il picco sono i 17 minuti di Anesthetize, uno dei brani più belli di tutta la storia del prog metal.