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La classifica dei 10 dischi migliori dei Popol Vuh

Misticismo rock anni ’70 ai massimi livelli. Ecco gli album indispensabili del gruppo di Florian Fricke, corriere cosmico a caccia di estasi e tracendenza amato dal grande regista Werner Herzog

Foto: GAB Archive/Redferns

In tempi tumultuosi di kraut rock, nei quali era necessario offrire suoni quanto più impattanti, originali, spesso anche disturbanti per fare uscire la musica tedesca dalle secche del dopoguerra e fornire un’immagine del Paese nuova e autonoma, c’era chi, scarsamente interessato ai clangori del rock, si involò verso gli spazi siderali (vedi Tangerine Dream, Klaus Schulze e compagnia cosmica) e chi preferiva chiudersi in se stesso alla ricerca del proprio universo interiore, offrendo una musica al bivio tra Oriente e Occidente, che potesse fondere suoni e culture di diversa estrazione e agevolasse l’estasi mistica.

Florian Fricke, ex critico cinematografico, crea i Popol Vuh nel 1969 come pura visione, frutto dell’innamoramento per i neonati suoni elettronici provenienti da macchinari quali Moog e similari. Sonorità da molti utilizzate (in Italia Battiato) come viatici per viaggi non necessariamente indotti da sostanze psicotrope. Il nome stesso del gruppo la dice lunga sulla voglia di Fricke di scardinare le porte della percezione offrendo una sorta di colonna sonora al libro da cui prende il nome del progetto, raccolta di miti e leggende di uno dei regni Maya in Guatemala.

I tempi sono giusti, alla fine dei ’60 il misticismo rock è stato sdoganato, George Harrison ne è stato uno dei principali promotori e molta musica si trova a fare i conti con la mistica, quando non con l’esoterismo. Cosa che, nel tempo, condurrà a meravigliose esagerazioni (chi ha detto pipponi?) come Tales from Topographic Oceans degli Yes.

Ma i Popol Vuh non sono interessato alla pompa magna. Fricke, contornato via via da diversi collaboratori, approfitta degli enormi Moog dell’epoca per offrire incanti ancestrali, pathos biblici, apocalissi assortite. Ciò prima di cambiare marcia, abbandonare totalmente l’elettronica a gettarsi a capofitto in una purezza acustica a base di pianoforte, sitar, oboe, chitarra, percussioni etniche e voci di cristallo. In tutto ciò prende vita uno di quei connubi in grado di modificare le sorti dell’arte: l’amicizia e la collaborazione tra Fricke e un altro grande obliquo germanico come il regista Werner Herzog. Insieme i due creano una fusione perfetta di immagini e musica per una serie di opere destinate a marchiare a fuoco il cinema.

Nell’arco della sua esistenza (si è spento nel 2001 a 57 anni) Florian Fricke ha dato vita a molte incarnazioni dei Popol Vuh, pubblicando album a dir poco essenziali (e fondamentali: la scena dark-goth-ritual, Dead Can Dance in testa, deve moltissimo al suono del gruppo), ma anche opere perse in un eccessivo manierismo mistico che può risultare indigesto. Deriva da questo la scelta di focalizzare l’attenzione su 10 titoli indispensabili per penetrare un mondo sonoro, per usare una parola cara a Herzog, estatico.

10

Herz aus Glas

1977

È la colonna sonora del film più delirante di Werner Herzog, quel Cuore di vetro girato con attori sotto ipnosi. La musica alterna allucinazioni acustiche ad momenti nei quali i Popol Vuh mettono in scena la loro visione del rock. La chitarra e la batteria sono quelle di Daniel Fichelscher (ex Amon Düül II), il pianoforte “liquido” è chiaramente di Fricke. Manca il basso, a volte si avverte, ma in qualche modo funziona, assecondando la mesmerizzante ambizione della pellicola.

9

Letzte Tage – Letzte Nächte

1976

Nel 1976 i Popol Vuh sono parecchio distanti dal suono originario e Letzte Tage – Letzte Nächte è forse il loro album più rock, composto da vere e proprie canzoni con una certa aria psych americana anni ’60. Alla voce c’è Renate Knaup (anche lei negli Amon Düül II) che pare proprio una Grace Slick teutonica.

8

Das Hohelied Salomos

1975

Durante il suo studio sulle religioni Fricke si imbatte nel Cantico dei cantici, attribuito a Salomone, il re di Israele nel X secolo a.C. Per rivestire le parole del profeta continua sulla falsariga dei dischi di quel periodo: un suono scarno ma fascinoso a base di chitarra batteria e pianoforte, con echi californiani e il ritorno alla voce della soprano coreana Djong Yun.

7

Aguirre

1975

Le musiche per la  pellicola di Werner Herzog del 1972 vengono raccolte solo tre anni dopo in un album. Una colonna sonora davvero iconica, basti pensare alle incredibili scene iniziali del film, con un arcano e celestiale tema a base di Mellotron e Moog a sottolineare le immagini dei conquistadores persi nella nebbia delle Ande. Il resto del disco indugia in gustose trame ambient-etniche, ma basta quel tema a rendere immortale il disco.

6

Affenstunde

1970

È forse il lavoro più oscuro e magmatico dei Popol Vuh. Un esordio che si muove sui sentieri dell’avanguardia elettronica senza molte concessioni per l’ascoltatore. Nonostante ciò il fascino è grande. Con la sua spiccata sensibilità Fricke, accompagnato da Holger Trülzsch alle percussioni e Frank Fiedler ai sintetizzatori, sembra avere accesso a un mondo archetipico di riti notturni. La suite Ich Mache Einen Spiegel (“Io costruisco uno specchio”) è tempo deformato.

5

Einsjäger und Siebenjäger

1974

Vista l’aria che tira in quegli anni anche i Popol Vuh spingono il pedale verso il progressive. Einsjäger und Siebenjäger è il loro album più tipicamente prog, anche se chiaramente il loro è un prog personale, tutt’altro che sinfonico, basato sulle cesellature acustiche e su grandi sprazzi di luce mistica. Da segnalare la suite omonima che occupa l’intera seconda facciata, labirintica ed emozionante quanto basta.

4

Brüder des Schattens - Söhne des Lichts

1978

C’è un po’ di confusione attorno a questo album: venne pubblicato nel 1978 e le sue musiche furono utilizzate da Werner Herzog per la colonna sonora di Nosferatu. A seguito del film fu poi ripubblicato come Nosferatu – Original Soundtrack, anche esiste anche un altro album contenente tutta la colonna sonora, visto che solo alcuni brani di Brüder des Schattens vennero usati nella pellicola. Si ascolti la suite della prima facciata, nella quale i Popol Vuh vanno oltre le loro intuizioni più mistiche e si fanno sublimi e agghiaccianti al tempo stesso.

3

Seligpreisung

1973

Teoricamente Seligpreisung (“Beatitudini”) è un Hosianna Mantra in chiave minore. Nella realtà non ha nulla da invidiare al disco che lo ha preceduto se non fosse che al posto della leggiadra ugola di Djong Yun c’è quella di Fricke. Il leader però se la cava benissimo con questi salmi e accompagnato dagli stessi musicisti del disco precedente muove il suono tra impeti classicheggianti e oasi world. Qua e là spuntano alcuni temi di oboe capaci di ferire l’anima.

2

In den Gärten Pharaos

1971

Mito e poesia: superate le asperità di Affenstunde, con In den Gärten Pharaos i Popol Vuh offrono un bagno rigenerante nelle sonorità acquatiche del giardino dei faraoni, tra eterei movimenti di Moog, percussioni ataviche e un finale fluttuante a base di piano elettrico. Più oscuro il secondo lato, Vuh, con un gigantesco organo sacro che immette dritti nell’apocalisse, salvo poi tornare sui propri passi facendo scorrere rivoli di luce. Uno dei dischi-cardine dell’elettronica dell’epoca.

1

Hosianna Mantra

1972

La musica come forma di preghiera che ingloba sia la tradizione cristiana (l’osanna) che quella induista (il mantra) in una sintesi capace di innalzare lo spirito di chi vi si immerge. Il suono dei Popol Vuh vira in direzione acustica, atta a simboleggiare la purezza del trascendente. Unica eccezione, la chitarra elettrica di Conny Veit (già nei Gila, con i quali Fricke collaborerà) che riesce a inserirsi ottimamente nel tessuto con un suono limpido e rilassato. Il resto è un florilegio di pianoforti sospesi nell’aria supportati dallo struggente oboe di Robert Eliscu e dalla tambura di Klaus Wiese. Su tutto la voce celestiale di Djong Yun, vera chiave di accesso all’estasi più profonda.

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