Stevie Wonder è uno dei più grandi autori e performer della storia della musica americana. Ha avuto una carriera incredibilmente brillante. Battendo i Beatles per un soffio, è arrivato per la prima volta in cima alla classifica pop americana nel 1963 con lo strumentale Fingertips Pt. 1 & 2, registrato dal vivo quando aveva appena 12 anni. È stato un gigante dell’era Motown, poi la sua visione e la sua ambizione hanno superato persino quelle dell’etichetta e l’hanno portato ad allargare i confini di r&b, soul, rock, funk e pop. Intanto, continuava a sfornare una hit dietro l’altra.
Il catalogo che ha costruito nel corso di mezzo secolo è gigantesco e, nei decenni successivi ai suoi incredibili anni ’70, piuttosto discontinuo. Quindi, nel giorno del suo 70esimo compleanno, ecco una guida al meglio della sua vasta discografia. Pochi artisti possono aspirare ad avvicinarsi a quello che ha fatto Stevie Wonder, ma in fondo tutti hanno bisogno di un modello a cui guardare.
Gli imperdibili: “Innervisions” 1973
Il picco dei suoi anni ’70. Innervisions si apre con il jazz funk di Too High, un’accusa alla drug culture ormai fuori controllo, mentre con Don’t You Worry ‘Bout a Thing Wonder attinge allo stile emergente a New York, la salsa. Il momento che definisce l’album, però, sono i sette minuti di Living for the City, la storia ambientata nel ghetto di una famiglia che fatica a sopravvivere dentro un sistema truccato. È attuale adesso come lo era 50 anni fa.
Gli imperdibili: “Talking Book” 1972
Questo disco spartiacque è il Revolver di Stevie Wonder. In Talking Book il musicista non è più la macchina sforna-hit della gioventù e cerca un livello più alto di creatività e consapevolezza politica e spirituale. You Are the Sunshine of My Life è la traccia che apre l’album in modo accattivante, Superstition l’inno funk perfetto. Wonder suona praticamente tutti gli strumenti da solo (inclusa la batteria e il Moog), ma ha le antenne tese verso tutte le tendenze dell’epoca: Maybe Your Baby è in stile Funkadelic, con le chitarre sognanti di un giovane Ray Parker Jr., mentre Lookin’ for Another Pure Love contiene un grande passaggio suonato da Jeff Beck. Big Brother tratta il tema della sorveglianza del governo con un approccio musicale libero. È il ritratto di un artista geniale già pienamente formato.
Gli imperdibili: “Songs in the Key of Life” 1976
Il doppio Songs in the Key of Life è l’opera più ambiziosa di Wonder. La hit Sir Duke cita Ella, Satchmo ed Ellington con un accompagnamento spettacolare di fiati, e As parla di un amore supremo con Herbie Hancock che suona il Fender Rhodes. Ci sono brani biografici (I Wish), e anche i più politici e spietati mai scritti da Wonder, come Black Man, un tributo agli uomini che hanno cambiato la storia della sua comunità. Un gruppo di cui, dopo questo disco, farà parte anche lui.
Gli imperdibili: “Looking Back” 1977
È la raccolta in tre LP di tutte le hit registrate nel primo periodo alla Motown – dalle canzoni più selvagge come Uptight fino alle ballate come My Cherie Amour –, nella maggior parte dei casi scritte dal giovane prodigio in persona.
I classici: “Signed, Sealed and Delivered” 1970
È il primo album degli anni ’70 e anche la prima volta di Stevie Wonder nel ruolo di (co)produttore. La differenza con il passato è tutta nelle magnifiche parti vocali, libere in modo diverso dal solito. Anche la parte strumentale è in grande crescita, così come la passione di Wonder per l’hard funk (You Can’t Judge a Book by Its Cover). I singoli, così come la title track, sono brillanti. E la versione euforica di We Can Work It Out è una delle migliori cover dei Beatles mai registrate nella storia.
I classici: “Music of My Mind” 1972
Questo bell’album di transizione inaugura la collaborazione (che segnerà tutta l’epoca d’oro di Wonder) con i produttori e pionieri dell’elettronica Bob Margouleff e Malcolm Cecil (dei Tonto’s Expanding Head Band). Il disco porta avanti un sound synth funk (Love Having You Around), nuovi suoni direttamente dal Fender Rhodes (Superwoman) e dal clavinet (i sei minuti boogie di Keep on Running) e un senso di intimità vocale inedito (Evil). In termini di visione pop, è come se Wonder riprendesse il discorso interrotto dallo scioglimento dei Beatles.
I classici: “Fulfillingness First Finale” 1974
Il seguito di Innervisions è una specie di graffito sperimentale. Le voci intrecciate di Heaven is 10 Zillion Light Years Away mostrano l’incredibile estensione vocale di Wonder, mentre il Moog di Boogie on Reggae Woman contiene uno dei suoni elettronici più cattivi mai arrivati in Top 10.
I classici: “Stevie Wonder’s Journey Through the Secret Life of Plants” 1979
Un doppio disco di strumentali pieni d’intrecci e parti vocali eccentriche. Concepito come la colonna sonora del documentario The Secret Life of Plants, un film in timelapse sulla biologia delle piante, l’album è una specie di roulette musicale. Wonder usa uno dei primi sampler della storia, il Melodian, per mescolare suoni di uccelli e insetti con scale indiane e asiatiche, citazioni classiche e improvvisazioni jazz. È il disco più strano di Wonder e anche un viaggio straordinario.
I classici: “Hotter Than July” 1980
Mentre la club music diventava sempre più rilevante, Wonder inventava suoni perfetti per il nuovo decennio: pop-r&b patinato (Did I Hear You Say You Love Me), disco music di altissimo livello (All I Do) e reggae (Master Blaster). Nel frattempo, conquistava ancora una volta con una semplice ballata al pianoforte (Lately).
Per approfondire: “Recorded Live: the 12 Year Old Genius” 1963
“Il piccolo Stevie Wonder” lascia il segno. L’album include il pezzo per armonica che lo porterà al successo, Fingertips Pt. 1 & 2. Inciso a Chicago nel 1962, sarà il primo singolo registrato dal vivo ad arrivare in cima alle classifiche pop. Ad appena 12 anni, Stevie ha già il pubblico nel palmo della mano.
Per approfondire: “My Cherie Amour” 1969
Wonder cerca di allargare gli orizzonti musicali con la title track francofila e Yester-Me, Yester-You, Yesterday, pubblicata anche in italiano e spagnolo. Tra le cover ci sono anche Light My Fire e una versione soul del classico The Shadow of Your Smile.
Per approfondire: “Where I’m Coming From” 1971
“Into space we go to change our ways”, canta Wonder in Look Around, traccia d’apertura del disco che segnerà la sua trasformazione in cantautore autoprodotto. Afro-futurismo, clavinet-funk (Do Yourself a Favour) ed esperimenti di sovraincisioni vocali convivono con il pop più semplice e il soul vestito da una sezione d’archi.
Per approfondire: “Music from the Movie ‘Jungle Fever’” 1991
Meno duro del film di Spike Lee di cui è la colonna sonora, questo album mostra uno Stevie Wonder rinato dopo le difficoltà della seconda metà degli anni ’80. La title track ed Each Other’s Throat contengono echi del purple funk di Prince, mentre These Three Words dimostra che Wonder è in grado di trasformare i versi più sdolcinati in musica capace di connettersi con le emozioni di tutti.
Per approfondire: “A Time to Love” 2005
Registrato nell’ultimo periodo della sua carriera, l’album si apre con If Your Love Cannot Be Moved, uno splendido duetto con la cantante gospel Kim Burrell, e si muove tra pezzi soul jazz (tra cui spicca il flauto di Hubert Laws in My Love Is on Fire) e ballate. Il momento migliore è So What the Fuss, un summit di giganti del funk a cui partecipano la chitarra di Prince e i cori delle En Vogue: è la cosa più vicina ai capolavori degli anni ’70 che Wonder ha registrato negli ultimi 25 anni.