Una mia amica sostiene che la frase «li voglio così» rivolta a un parrucchiere, corredata da foto dell’attrice, cantante o celeb d’ordinanza, abbia mietuto più vittime dei pantaloni a metà polpaccio. E la (triste) verità è che ha ragione. Immagino che ogni epoca abbia avuto una serie di tagli di capelli richiesti a gran voce, da Edie Sedgwick a Farrah Fawcett passando per Brigitte Bardot, ma da figlia degli anni ’80 sono riuscita a registrare – e a farmi fregare – solo da quelli che hanno costellato la fine del ventesimo e l’inizio del ventunesimo secolo. Quando nel 1994 mostrai alla parrucchiera di mia madre i ritagli di Winona Ryder/Lelaina Pierce in Giovani, carini e disoccupati, non potevo sapere che un’ora di sforbiciate e trenta centimetri di folte chiome in meno avrebbero irrimediabilmente compromesso la mia vita sociale durante i primi due anni di liceo. Nessuno poteva prevederlo, a dire il vero. Vinceva su tutto una foga accecante che ci faceva perdere di vista la visione oggettiva della realtà: star bene con la zazzera era difficile, quasi impossibile, così com’è quasi impossibile star bene con i sandali di Marni, il calzino e la gonna sotto al ginocchio, cosa che le giapponesi padroneggiano con grazia ultraterrena. Questa però è un’altra storia: le giapponesi sono smart, e nessuna di loro farebbe carte false per avere i capelli come Gwyneth Paltrow in Sliding Doors. Chiamale sceme.
Winona Ryder in Giovani, carini e disoccupati
È uno dei film – se non IL film – che ha più segnato lo strano periodo a metà degli anni ’90, sentimentalmente e stilisticamente. Tutte volevamo essere Lelaina Pierce e tutte sognavamo un Troy: vista la scarsità di Troy su piazza, ci accontentammo della zazzera scalata di Winona. Nel mio liceo ci cascammo in tante, con risultati dal mediocre al disastroso, e io ovviamente appartenevo alla seconda casistica. Ero convinta che i miei capelli si fossero offesi, altrimenti non si spiegava perché non stessero mai dove dovevano e preferissero andare nella direzione opposta a quella desiderata: forse mi stavano prendendo per il culo, forse volevano dimostrarmi pure loro che avevo fatto una cazzata madornale. Armata di elastici e forcine, brevettai una complicata impalcatura per limitare i danni, che divenne la mia pettinatura-base durante il biennio. Andò tutto più o meno bene, finché il ragazzo che mi piaceva (anzi, il ragazzo dietro a cui morivo) mi fece sapere per interposta persona che assomigliavo a uno yorkshire terrier. Sipario.
Natalie Imbruglia nel videoclip di Torn
Nel 1997, direttamente dall’Australia, Natalie-occhi-dolci-Imbruglia eleva la zazzera di Lelaina Pierce eliminando quella specie di mullet che si formava dietro la nuca e sfilando ulteriormente i capelli sul davanti. Il risultato è una specie di caschetto corto e spettinato che lei scuote a destra e sinistra mentre canta le sue pene amorose: io all’epoca ero ancora torn dal mio precedente errore quindi non mi ci avventurai, ma trassi comunque un grande insegnamento da Natalie e dall’imperversare del suo taglio di capelli. La ragazza, in un’intervista rilasciata a Melody Maker, confidò ai suoi fan che il segreto del proprio look consisteva nell’affidarsi sempre a parrucchieri più giovani di lei, e lì intravidi una speranza di redenzione. «Ecco dove avevo sbagliato», pensai, «la parrucchiera di mia mamma è vicina ai cinquanta»: per me era decisamente arrivato il momento di nuove avventure.
Jennifer Aniston in Friends
Circa nello stesso periodo, Jennifer Aniston pensa bene di tagliarsi i capelli nel salone di Chris McMillan e di affidarsi al colorist Michael Canalé: il risultato è il taglio alla Rachel – un lungo, scalato, leggermente più gonfio alle radici e schiarito senza cancellare il castano naturale – sfoggiato in Friends e copiato dalle donne di mezzo mondo. Le mie compagne di scuola, che a quanto pare non avevano una gran dimestichezza col phon, si persero però per strada la lieve cotonatura necessaria per creare volume insieme ai sapienti colpi di sole: passeggiando per i corridoi durante l’intervallo, vedevo in ogni angolo schiariture più simili a bruciature da abuso di Crystal Soleil e bizzarre scalature un po’ flosce che terminavano nel temutissimo effetto-mullet. No, a ‘sto giro non mi avrebbero avuta.
Gwyneth Paltrow in Sliding Doors
Credo che Gwyneth Paltrow non sia mai stata così bella come nel 1998, quando uscì Sliding Doors. Lo definirono ‘minimal’, quel taglio più corto dietro e più lungo davanti, a cui si potevano aggiungere mollettine e un accenno di cotonatura sul retro per evitare strane schiacciature. Ci cascai, ma con giudizio: la generazione di parrucchieri hipster e tatuati doveva ancora arrivare, quindi mi affidai alle mani (in)esperte dell’assistente ventenne della parrucchiera di mia madre – sì, sempre lei. Partiamo da un semplice presupposto: Gwyneth ha un volto magro, squadrato, con una bella mandibola pronunciata; la sottoscritta invece ha un viso piuttosto rotondo, le guanciotte e una mandibola che è tutto tranne che marcata. Ergo, la povera assistente non aveva mica fatto un brutto lavoro, il problema ero io, che sembravo Stephanie Forrester da giovane. Colta da un improvviso attacco di pragmatismo, decisi di mettermi a dieta «che magari mi dimagrisce un po’ pure la faccia»: persi solo una taglia di reggiseno, insieme a un po’ di joie de vivre.
Meg Ryan in French Kiss e C’è posta per te
Aveva già fatto danni nel 1995 con French Kiss e un taglio che scimmiottava lo scalato di Lelaina Pierce, ma è nello stesso anno di Sliding Doors che la fidanzatina d’America Meg Ryan assesta il colpo letale: chissenefrega se C’è posta per te è un film decisamente evitabile, gli occhi sono tutti per i capelli di Meg. Corti e scalati (a vederli adesso paiono un po’ da zia Gina), a seconda della scena diventavano mossi o con un vago effetto bagnato da far accapponare la pelle. Una mia compagna di classe non resistette al richiamo e, oltre a copiarle il look, c’aggiunse anche una pericolosissima permanente, che più che Meg Ryan pareva un esperimento nucleare a Mururoa. Fu uno shock per noi e per lei, tanto che nei mesi successivi si trasformò in una persona piuttosto scorbutica e intrattabile. Di acqua sotto ai ponti ne è passata parecchia: Meg Ryan oggi ha sempre lo stesso taglio di capelli e una generosa dose di botox in faccia; la mia ex compagna di classe se li è fatti ricrescere, lavora in banca ed è felicemente fidanzata. Non parla volentieri di quegli anni, ma come darle torto.
Victoria Beckham, ieri, oggi e domani
Ho sempre fatto il tifo per Posh Spice, pure in tempi non sospetti, e il mio entusiasmo nei suoi confronti non si è rivelato malriposto, dato che è l’unica ad avere oggi una carriera degna d’essere definita tale – oltre a un marito che è uno degli uomini più bòni del globo. Tra i meriti di lady Victoria occorre annoverare: il fatto di non sorridere mai (si dice d’altronde che abbia dei denti orrendi); le posizioni plastiche che assume sul divano; il caschetto che ha accompagnato la parabola con le Spice Girls; il taglio asimmetrico che porta con fierezza da quando s’è reinventata fashion designer. Gli ultimi due in particolare negli anni hanno fatto proseliti, ma nessuna è mai riuscita a toccare le vette raggiunte dalla signora Beckham: ci vogliono zigomi alti, occhialoni da sole e una certa attitude perennemente scoglionata per emulare il suo essere algida, austera e ultra-chic. Altrimenti una risata vi seppellirà, nel vero senso della parola.
Paola Barale a inizio anni ‘00
Quando nel 1999, da Bologna, arrivai a Milano per fare l’università, m’accorsi che l’80% delle donne aveva il medesimo taglio di capelli: un corto-scalato-sfilato-con ciuffo laterale – nella maggioranza dei casi biondo – opera delle forbici dello stesso famoso parrucchiere, che da inizio 2000 in poi ha iniziato a chiamarsi hairstylist. Dicevano fosse un look a bassa manutenzione (ma bassa de che?), e una volta che mia madre mi venne a trovare la convinsi a prendere appuntamento dal famoso hairstylist, il quale di fronte alle nostre richieste se ne uscì con un «ah ma certo, il taglio della Barale!». Ogni tanto mia madre me lo rinfaccia ancora, quel famoso «taglio della Barale», maledicendo il momento in cui s’era lasciata convincere e la presa di coscienza – cito testualmente – di «essermi ritrovata con tre peli in testa». È la maledizione del corto scalato, mamma, l’abbiamo imparato e abbiamo capito come sopravvivere senza perdere la nostra dignità: con le ciocche posticce, strategicamente posizionate sotto i tre peli che il famoso hairstylist c’ha lasciato.
Alexa Chung, sempre
Alexa Chung, sebbene non la conosca personalmente, mi sta molto simpatica: a differenza della maggior parte delle sue colleghe mi pare una tipa piuttosto spiccia, schietta e autoironica, con un ottimo gusto in fatto di vestiti, uomini, musica, trucco e capelli. Se oggi il lob (il long bob, per intenderci) un po’ ondulato è entrato nelle nostre wishlist di tagli lo dobbiamo a lei e al suo hairstylist di fiducia George Northwood: Alexa però è anche sincera, e in diversi tutorial diventati ormai la mia droga spiega di non avere tantissimi capelli, ragion per cui il suddetto caschetto lungo ondulato fa al caso suo per nascondere quanto possibile la scarsa massa capillare. I casi sono due: o i suoi tutorial li guardo solo io – ma non credo – o noi italiani abbiamo proprio un brutto rapporto con la lingua inglese, altrimenti non si spiegherebbe la concentrazione di Mafalde che sto contando da parecchi mesi a questa parte. Quino sarebbe orgoglioso di voi, sia chiaro, ma ciò non toglie che l’effetto finale sia spesso un grande, vigoroso e inappellabile NO.