Lo si sa da tempo, Elio e le Storie Tese sono il più incredibile frullatore musicale mai apparso in Italia. Le loro non sono solo canzoni, sono stordenti avventure in tutto lo scibile sonoro possibile e immaginabile. Ascoltare un loro brano, anche il più breve e apparentemente semplice, vuole dire abbandonare ogni certezza e spingersi a esplorare universi di tecnica eccelsa, citazioni come se piovesse, rompicapo ritmici e armonie geniali. Vogliamo poi parlare dei testi? Analisi sempre lucidissime della realtà vista tramite le lenti della surrealtà, con schegge del vissuto tipico di una certa generazione che come per magia coinvolge anche chi a quella generazione non appartiene.
Elio e i suoi sono tutto questo e incredibilmente anche di più. Sono dei grandissimi prog nerds, con orecchie e cuori sempre vicini alla scuola rock sinfonica inglese che vede i Genesis come rappresentanti più amati nel nostro Paese. La passione di EELST per la band si evince in ogni loro album, nelle interviste, libri, citazioni… Un trasporto tutt’altro che superficiale ma bensì penetrato a fondo, con studio e rispetto. Non è raro scoprire tra le pieghe degli accordi concepiti da Rocco Tanica tutto l’insegnamento di Tony Banks, per dirne una. Ma siccome Banks è unico, Conforti trova modo di dire la sua riuscendo a non copiare il tastierista ma anzi arricchendo questa influenza con spunti del tutto personali che lo rendono quasi un Banks 2.0.
Il costrutto dell’Elio-prog non è però basato solo sull’amore per i Genesis, se proprio dovessimo tirare le somme della loro musica bisognerebbe tirare dentro l’impossibile, per quanta ricchezza essa racchiude. Per sintetizzare si potrebbe dire che sono il perfetto connubio tra la tecnica multi-level (compositiva e strumentistica) di Frank Zappa e il romanticismo dei citati Genesis condito da diversi spunti mutati dal prog rock italiano più avventuroso (Area, Arti & Mestieri), ma sarebbe ancora poco. Da ricordare inoltre che da Zappa gli Elii prendono anche l’ironia dissacrante e assolutamente non politically correct, fortunatamente. Prendono infine il desiderio di mischiare il pop con le orchestrazioni più ardite della classica.
In un contesto simile è interessante andare alla ricerca dei brani più vicini allo spirito prog. Che pensandoci è un controsenso, perché tutta la musica di EELST è prog, lo è profondamente a livello di filosofia, perché non teme di mischiare l’immischiabile, di andare oltre la pop song da tre minuti, cerca di portare la canzone a un livello diverso. In tutto ciò possiamo però divertirci a focalizzare gli aspetti più classicamente prog, quelli che fanno drizzare le orecchie agli amanti del genere che quando sentono un’apertura sinfonica o un svisata di tastiere alla Cinema Show impazziscono.
Ecco quindi il pane per i loro denti: nove brani in classifica più un numero zero a dimostrare quanto il loro amore per il genere-non-genere sia forte e quanto la loro volontà di proporlo a chi magari non lo conosce sia grande. Non solo per mera curiosità ma anche e soprattutto per “allenare” i propri ascoltatori a quella “musica difficile” che può regalare grandi soddisfazioni da molteplici punti di vista.
9. “Il congresso delle parti molli” da ‘Studentessi’ (2008)
Incentrata sul predominio del büs del member nelle azioni maschili, Il congresso delle parti molli parte in quarta con una citazione della beatlesiana Getting Better, e già qui siamo ben disposti. Poi si lancia in un ritmo frenetico e spericolato che a un certo punto sfocia in un’oasi flautistica degna dei Focus. Senza accorgercene eccoci di seguito catapultati dalle parti degli Yes di Relayer, con un momento sospeso che lancia un lentone con assolo di chitarra di Cesareo da frantumare il cuore dei progger. Finita? No, la coda finale torna all’atmosfera rarefatta di prima e ci infila dentro un pianoforte arpeggiato alla Carpet Crawlers.
8. “Tapparella” da ‘Eat the Phikis’ (1996)
Tra le citazioni di Jimi Hendrix (Little Wing e Hey Joe) e Zucchero (Madre dolcissima) trovano spazio anche diversi agganci al prog come il frammento di Luglio, agosto, settembre (Nero) degli Area e l’accenno ai temi di Impressioni di settembre e di È festa della PFM. E in mezzo c’è anche il Mellotron di Strawberry Fields Forever. Ma Tapparella non è solo gli omaggi sparsi qua e là, ma un pezzone epico con giri armonici da paura che non manca di commuovere per più ragioni: in primis l’inno a Paolo “Feiez-Panino” Panigada che ci lascerà tristemente due anni dopo.
7. “Bomba intelligente” da ‘Figgatta De Blanc’ (2016)
Il brano in questione non è opera di EELST, ma è composto dal pianista e arrangiatore Paolo Sentinelli insieme alla storica voce del Banco Del Mutuo Soccorso Francesco Di Giacomo, venuto a mancare nel 2014. Basandosi su un demo pianoforte e voce, Elio e i suoi completano la canzone inserendo la loro maestria strumentale in un sentito tributo all’arte canora di Di Giacomo, qui alle prese con una delle sue più intense interpretazioni. Storia di un ordigno che si innamora dell’aereo che lo trasporta, Bomba intelligente è il mix perfetto tra il glorioso sound italiano dei ’70 e il prog a là Storie Tese. Attenzione poi alla coda finale che coinvolge un altro master come Mauro Pagani in uno scatenato assolo al violino elettrico.
6. “Pagàno” da ‘Cicciput’ (2003)
A contare le citazioni di questo brano c’è da farsi venire il mal di testa, dal grande amore Zappa (con addirittura Ike Willis ospite) ai Genesis di The Knife passando per Peter Gabriel, Giorgio Gaber, i Pink Floyd di Atom Heart Mother e tutto quello che può venirvi in mente. Un vero delirio in tempo di 13/4 con divinità, imperatori, apparizioni a sorpresa di Laura Pausini (“Marco Aurelio se n’è andato e non ritorna più”) e ancora di Mauro Pagani che prima sviolineggia da par suo e poi si prende in giro (“Io… sono Pagani”). Per chi vuole godere delle acrobazie strumentali senza le voci a distrarre c’è anche la versione karaoke nella quale sembra di ascoltare la Mahavishnu Orchestra. Pazzesco.
5. “Supergiovane” da ‘Italyan, Rum Casusu Çikti’ (1992)
Elogio dettagliatissimo di certa gioventù anni ’70-80, Supergiovane è il pretesto per la costruzione di un supereroe (interpretato dall’architetto Luca Mangoni) che si batte contro la dittatura dei matusa. Dopo il coinvolgimento di Diego Abatantuono nella parte di uno dei matusa, si alternano suggestioni jazz, ritornelli alla velocità della luce, lo spot del Crodino, la The Old Landmark di James Brown e l’apparizione di personaggi incredibili come il Catoblepa citato da Borges. Poi ci sono momenti di alto romanticismo, in primis la super apertura di “In un tripudio di miccette…” che mette in scena una serie di cambi di accordi esaltanti che crescono ancora di più in “Esaminando giornali tipo Lando…” (citazione top!), quasi un omaggio al finale di Supper’s Ready. Poi la coda-varietà è da impazzire.
4. “Come gli Area” da ‘L’album biango’ (2013)
Di nuovo si fa vivo il grande rispetto di EELST nei confronti del rock italiano anni ’70, con il tributo a una delle band che più amano: gli Area (già coverizzati nel 1999 con Hommage à Violette Nozières). Qui però si fa di più, si arriva a coinvolgere gli stessi Ares Tavolazzi, Paolo Tofani e Patrizio Fariselli affinché compongano una intro jazz-rock perfetta per il brano (Reggia – Base per altezza). A seguire Come gli Area, che si muove tra microcitazioni per esperti e campionamenti di Demetrio Stratos. La canzone ha però validità al di là dell’omaggio per il suo essere un delizioso calambour di tutti gli stilemi cari all’International POPular Group messo in piedi con cura certosina e originalità. Il testo poi è perfetto nel descrivere con la consueta ironia il contesto in cui si muovevano gli Area, i quali “Esploravano musiche nuove / E la gente ascoltava / Un pubblico costituito / Da giovani comunisti / Capelloni e drogati”, anche perché “Come tutti sanno / Il pubblico fascista / Non ha mai capito un cazzo di musica”.
3. “La vendetta del Fantasma Formaggino” da ‘Italyan, Rum Casusu Çikti’ (1992)
Siamo dalle parti dello Zappa più scatenato, una girandola stordente di citazioni (Adriano Celentano, Gianni Morandi, Jesus Christ Superstar, Marcella Bella, Claudio Villa, il Merendero dei caroselli) per dare vita a una vera e propria epopea. Difficile non perdere la bussola tra le miriadi di cambi improvvisi, gli stop, le aperture, le parole a ritmo sghembo, le velocizzazioni e i rallentamenti. Ma tutto ha il suo bellissimo senso. La parabola dell’inganno del fantasma formaggino che alla fine vede il povero Elio soccombere tra i colpi di coltellino inflitti dal Dio della Barzelletta (ancora Diego Abatantuono) sono quasi 9 minuti di goduria strumentale e compositiva, un mini-musical da lasciare a bocca aperta per la quantità di spunti. Poi il glorioso ingresso finale del Dio, con l’ergersi imperioso dei cori, è una vera apoteosi del prog.
2. “Plafone” da ‘Studentessi’ (2008)
I primi due minuti di Plafone sono un autentico colpo al cuore. Un concentrato strumentale di Genesis, Yes e PFM, con i sintetizzatori a tessere trame romantiche memori delle scorribande di Rick Wakeman e Tony Banks. Poi il clima si placa ed entra in campo la voce divina di Antonella Ruggiero alle prese con un testo divertentissimo a proposito del cantare sotto la doccia le melodie più complicate vengano in mente. E la melodia che Antonella intona è effettivamente arzigogolata, ma è di una bellezza abbacinante, forse la più bella mai concepita da EELST, con un’interpretazione da favola. Quando poi entra Elio nella parte liricheggiante del vicino di casa siamo già stesi.
1. “Ritmo sbilenco” da ‘Figgatta De Blanc’ (2016)
Questo pezzo non è solo il miglior prog degli EELST perché straborda degli stilemi cari al genere, è una canzone filosoficamente importante in quanto pone diversi interrogativi: “Chi l’ha detto? / Che la musica orecchiabile / Debba limitarsi a quattro accordi / Ed un banale motivetto”, oppure: “Dov’è scritto? / Che scalare le classifiche / Non sia consentito alle canzoni / Che non hanno un tempo dritto”. Si fa luce negli Elii la voglia di indottrinare simpaticamente il loro pubblico: “Se ascolterai la musica difficile / Forse comprenderai che è solo / Una questione d’abitudine”. In mezzo a tutto ciò ci sono flauti alla Ian Anderson (o alla Ivano Fossati dei Delirium) e i soliti bellissimi mondi in collisione tra ritmi impossibili e parentesi sinfoniche. Da urlo poi il momento: “Critici famosi dei giornali di settore / Hanno scritto che canzoni come questa / Sono di genere progressive / Quindi è normalissimo pensare / Che sia stato sviluppato / Anche un genere di musica che / Si chiama regressive”, e parte un ritmo simil-reggae. Applausi.
0. “Out into the Daylight” di Mike Rutherford
Cover del brano di Mike Rutherford, bassista-chitarrista dei Genesis, eseguita spessissimo dal vivo in maniera completamente aderente all’originale contenuto in Smallcreep’s Day. La chiusura del cerchio nel quale l’amore per la band inglese diventa manifestazione appassionata e coinvolgente. Un sogno: fatecelo un album 100% prog cari Elii, ve lo meritate e ce lo meritiamo.