Nel variegato repertorio dei Pink Floyd non sono solo i brani inclusi negli album e i lati A dei singoli a destare interesse. Nel tempo sono state pubblicate ufficialmente molte rarità risalenti soprattutto ai primi anni, con qualche puntata nelle ere successive. Ecco le 10 migliori tra canzoni, strumentali, colonne sonore, progetti abortiti, versioni alternative e improvvisazioni che testimoniano il grado di sperimentazione del gruppo.
È un aspetto chiaramente compreso negli album, ma in certi brani rimasti sommersi si va anche oltre: negli inediti Syd Barrett arriva al top della sua geniale follia, in certi frangenti sembra di sentire artisti e generi che avrebbero fatto fortuna solo molti anni dopo, si può capire da dove provengano le idee che sarebbero finite su The Dark Side of the Moon o Wish You Were Here, stupirsi nel sentirli mollare gli strumenti e mettersi a far musica solo con oggetti di falegnameria o casalinghi. Una costante ricerca di stili, modus operandi e atmosfere che fanno apparire queste rarità come work in progress di ciò che è stato poi sviluppato nei dischi.
Vegetable Man
1967
Uno dei Graal dei Pink Floyd è la colonna sonora di Speak, cortometraggio dell’artista concettuale John Latham fortunatamente recuperato per il box The Early Years 1965-1972. Si tratta di mezz’ora di improvvisazioni noise, eclettiche, dissonanti, avanguardiste e (chiaramente) psych, che solo molti anni dopo avrebbero caratterizzato il sound di band come Sonic Youth, Butthole Surfers o Big Black.
Paint Box
1967
Lato B del singolo Apples and Oranges, è introversa e fascinosa come il suo creatore Rick Wright. Questi si occupa di interpretarla e inserisce l’accordo di nona minore che caratterizzerà diversi momenti di The Dark Side of the Moon. Curiosità: nel video del brano, filmato a Bruxelles, compare per la prima volta David Gilmour, nonostante Syd Barrett fosse ancora in forza nella band.
Embryo
1968
Registrata nel 1968 e poi entrata a far parte dell’album antologico Picnic – A Breath of Fresh Air, si muove nei territori della psichedelia narcolettica con, nel testo, le impressioni di un embrione che influenzeranno il Fetus di Battiato. È un brano altamente evocativo ed è un vero peccato che non ci sia stato modo di inserirlo in un album ufficiale, dal vivo sarà invece una presenza fissa fino al 1971.
Roger’s Boogie
1968
Canzone decisamente atipica e interessante da ascoltare per capire quanto i Floyd fossero capaci di spaziare in una quantità di spunti e atmosfere. Ci sono cori solenni che rimandano quasi a From Genesis to Revelation (che però verrà pubblicato l’anno successivo) e un breve ed enigmatico testo nel quale la voce di Waters si adatta all’atmosfera ecclesiastica. Un successivo momento più vivace ma parimenti mistico è inframmezzato a oasi organistiche e a vocalizzi che richiamano quelli di Robert Wyatt (grande amico dei Pink Floyd che in questi primi anni dividono spesso le serate con i Soft Machine). Ad ascoltarlo non sembrano nemmeno loro, ma la presenza nel box The Early Years certifica l’autenticità.
Julia Dream
1968
Sul lato B del singolo It Would Be So Nice trova spazio uno dei capolavori sommersi dei Pink Floyd. Julia Dream è dotata di un mood tra sogno realtà, acuita dal dolce canto di Gilmour e dagli impalpabili interventi al mellotron di Wright. Il dream pop parte da qui.
The Violent Sequence
1969
Come è noto i Pink Floyd scrissero un sacco di musica per Zabriskie Point che Michelangelo Antonioni utilizzò solo in piccola parte. Uno dei brani scartati è The Violent Sequence, frammento pianistico composto da Rick Wright che troverà miglior fortuna qualche anno dopo, quando sui suoi accordi verrà costruita Us and Them. Avrebbe dovuto commentare una scena con violente rivolte da parte di studenti e relativi pestaggi della polizia. Sicuramente la dolcezza del suo incedere avrebbe creato un bel contrasto.
Work
1969
Nel 1969 i Pink Floyd portano dal vivo una lunga suite divisa in due parti per la durata di quasi 80 minuti. La prima (The Man) descrive la giornata tipica di un uomo dal risveglio alla notte, salvo poi evolvere (The Journey) in un viaggio metafisico atto a elevarlo dalla routine quotidiana. Il tutto legando brani già pubblicati a frammenti inediti come Work, nel quale i quattro mollano quasi del tutto gli strumenti (rimane solo uno xilofono suonato alla bell’e meglio) e si lanciano in una pantomima sonora a base di martelli, chiodi, seghe e altro materiale di falegnameria per descrivere la giornata lavorativa dell’uomo. Musique concrète che guarda a quella di compositori come il francese Pierre Schaeffer. Chi ha mai fatto cose del genere in ambito rock?
Wine Glasses
1974
Dopo il successo stratosferico di The Dark Side of the Moon i Pink Floyd non vogliono dare l’impressione di sedersi sugli allori, così pensano a un progetto che possa sconvolgere il pubblico: un disco realizzato interamente con oggetti casalinghi. Ci proveranno per qualche tempo, ma presto torneranno alle canzoni con Wish You Were Here. Da una ristampa del 2011 di quest’ultimo è tratta Wine Glasses dove dimostrano di essere in grado di fare musica riempiendo bicchieri di vetro in varie altezze e passando un dito lungo la circonferenza per ottenere note che, armonizzate, danno vita a un seducente effetto sonoro poi riciclato per l’inizio di Shine On You Crazy Diamond.