Nella seconda metà degli anni ’60 nel rock c’è la voglia impellente di andare oltre. Perché limitarsi a comporre canzoni slegate tra loro quando queste si possono mettere insieme per raccontare una storia? Nascono così i concept album e le opere rock. Se i primi contengono brani legati non necessariamente da una narrazione, le seconde raccontano una storia con un inizio, uno svolgimento, colpi di scena e un finale, proprio come copioni cinematografici. E spesso finiscono per essere rappresentate dal vivo in spettacoli che propongono l’esatta sequenza dei brani del disco e, in alcuni casi, uniscono musica e performance teatrale.
In passato c’era già stato (e ci sarà) il musical a svolgere il compito del racconto in musica, con relativa messa in scena, ma in questo caso le opere rock sono concepite da singoli artisti che fanno propria lezione di Broadway che a sua volta sfruttava tutta una serie di stilemi mutati dalla musica lirica (i personaggi affidati a più voci, le ouverture, le riprese dei temi), rivisti in chiave rock.
Ecco le 10 più importanti opere rock che hanno saputo mettere insieme bellezza musicale, originalità della storia, intreccio narrativo e messa in scena.
10. “Arthur (Or the Decline and Fall of the British Empire)” The Kinks (1969)
Concepito come colonna sonora per uno sceneggiato televisivo mai andato in onda, Arthur presenta tutta una serie di bizzarri personaggi che ruotano intorno alla vita di Arthur Morgan, tranquillo montatore di moquette la cui figura è ispirata ad Arthur Anning, cognato di Ray Davies, leader dei Kinks. Gli incontri e le scenette che lo vedono protagonista sono il pretesto per mettere in luce pregi e difetti della società inglese del dopoguerra. A un certo punto Arthur sarà costretto a lasciare il suo Paese natio per cercare fortuna in Australia, questo lo metterà innanzi a nuovi dubbi e speranze sottolineate musicalmente della band in dodici tracce, mai presentate dal vivo nella loro intera sequenza.
9. “Joe’s Garage” Frank Zappa (1979)
Definito dallo stesso Zappa «una storia stupida su come il governo sta cercando di sbarazzarsi della musica (causa primaria di comportamenti di massa indesiderabili)», Joe’s Garage sono tre atti di incredibile Zappa-music che purtroppo non sono mai stati messi in scena. L’opera racconta l’odissea di Joe, ex cantante rock impegnato in una serie di sfortunate quanto deliranti avventure nelle quali tutto il benpensare americano viene messo alla berlina. Memorabile la descrizione dell’amplesso tra Joe e l’elettrodomestico sessuale Sy Borg, un modello XQJ-37 a propulsione nucleare Pansexual-Roto-Plooker.
8. “American Idiot” Green Day (2004)
Come Zappa, anche i Green Day ci danno dentro a picconare l’american way of life con il protagonista Jimmy, un “Gesù delle periferie” che attraverso una superba sequenza di brani tra pop, punk e ambizioni orchestrali racconta il suo sentirsi alieno in una società che disprezza e vorrebbe diversa, giungendo all’amara consapevolezza che il suo modo critico di pensare lo porterà a essere sempre solo. La band non rappresenterà l’intera opera dal vivo, ma nel 2010 dall’album verrà tratto un musical a Broadway e il progetto per un film mai realizzato.
7. “Metropolis Pt. 2: Scenes from a Memory” Dream Theater (1999)
Nel 1999 gli alfieri del prog metal danno alle stampe il loro capolavoro: una mastodontica rock opera imperniata su una vicenda di ipnosi, regressione, omicidio, perdita di memoria e reincarnazione. Con in testa pellicole come Dead Again, The Shining e Angel Heart, la band inscena un copione perfetto, sia a livello narrativo che musicale, con brani che sono veri labirinti nei quali tecnica ed estro compositivo vanno per una volta a braccetto. Dal vivo i Dream Theater offriranno una full performance di Scenes from a Memory corredata da proiezioni, comparse e un coro gospel.
6. “Orfeo 9” Tito Schipa Jr. (1972)
La strada per l’opera rock passa anche dall’Italia, anzi si può dire che inizi proprio nel nostro Paese. Tito Schipa Jr, figlio del famoso tenore leccese, già nel 1966 dà infatti vita a un primo esperimento musical-teatrale intitolato Then an Alley, bissato, quattro anni dopo, dall’allestimento di Orfeo 9, trasposizione in chiave moderna (tra droga, contestazioni e questioni esistenziali) del mito di Orfeo ed Euridice. Nel 1972 l’opera diventa un doppio album e un film che si fanno ricordare per le fantasiose partiture tra prog, psichedelia e atmosfere flower power e la presenza degli esordienti Loredana Bertè e Renato Zero.
5. “The Rise and Fall of Ziggy Stardust and the Spiders from Mars” David Bowie (1972)
Dopo aver mostrato al mondo tutto il suo talento camaleontico, sia a livello visuale che musicale, nel 1972 David Bowie compie il passo decisivo e si sdoppia inventando un alter ego di nome Ziggy Stardust che negli intenti del suo creatore dovrebbe essere una superstar rock aliena e bisessuale. Accompagnato dalla sua band denominata Spiders from Mars, Ziggy racconta il suo passaggio sul nostro pianeta in una serie di storie tra droga, sesso, politica, visioni di un futuro distopico e paranoico. Ziggy Stardust prenderà vita anche sul palcoscenico, ma l’album non verrà mai rappresentato nella sua interezza.
4. “The Lamb Lies Down on Broadway” Genesis (1974)
Rael è un giovane teppista portoricano che si trova a compiere un viaggio in un mondo grottesco e surreale in cerca del suo doppio che alla fine è egli stesso. Nel 1974 i Genesis fanno un balzo oltre le atmosfere vittoriane dei precedenti album e, grazie all’estro di Peter Gabriel, concepiscono una storia figlia delle pellicole psichedeliche di Alejandro Jodorowsky, tra esperienze sessuali con serpenti dalla testa di donna e castrazioni utili a non finire trasformati in mostruosi esseri bulbosi. Un vero trip che spinge il progressive molto oltre i suoi limiti e fornirà l’occasione per tutta una serie di bizzarri travestimenti da parte del cantante, che nei panni di Rael, guiderà gli spettatori lungo l’esecuzione live di tutta la suite avvalendosi di proiezioni e diversi trucchi scenici.
3. “The Wall” Pink Floyd (1979)
Come Bowie con Ziggy Stardust, anche Roger Waters crea il suo alter ego. Di nome fa Pink ed è un musicista disadattato con gravi problemi di comunicazione derivanti dal trauma della morte del padre in guerra e da un pessimo rapporto con la madre e la moglie. Pink è inoltre assai critico nei confronti della sua immagine di rockstar agitatrice di folle e finisce per costruire un muro dietro il quale possa nascondersi per sfuggire agli assilli della vita. Un capolavoro assoluto che è anche la summa di ciò che musicalmente i Floyd sono stati in grado di concepire durante la loro carriera. Sin dalla sua uscita la band presenta l’album dal vivo nella sua completezza, con la particolarità della costruzione di un muro in polistirolo che, canzone dopo canzone, separa il pubblico dagli artisti. Non soddisfatto Waters si impegnerà per portarlo sul grande schermo, con la regia di Alan Parker e la partecipazione di Bob Geldof nei panni di Pink, e negli anni continuerà a proporlo dal vivo in allestimenti faraonici.
2. “Jesus Christ Superstar” Andrew Lloyd Webber & Tim Rice (1970)
Raccontare la passione di Cristo a tempo di rock, mettendo in dubbio la sua immagine di figlio di Dio e dipingendolo come un uomo con tutte le sue fragilità, è un vero shock per il 1970. Nonostante le polemiche l’opera scritta dai giovani Tim Rice (testi) e Andrew Lloyd Webber (musiche) sfonda immediatamente grazie a una suite di brani che mettono insieme rock, musica classica, funk e melodie indimenticabili. A interpretare il tutto un cast stellare con uno scatenato Ian Gillan (Deep Purple) nei panni del protagonista. Jesus Christ Superstar debutta in teatro nel 1971 e nel 1973 diventa un film con la regia di Norman Jewison. Ancora oggi è una delle opere rock più rappresentate e celebrate al mondo.
1. “Tommy” The Who (1969)
Pete Townshend non inventa l’opera rock, ma contribuisce a definirla e a portarla al successo grazie alla storia del ragazzo muto, cieco e sordo che passa attraverso ogni sevizia per poi trasformarsi in un campione di flipper, guarire miracolosamente, cedere alle lusinghe del danaro e infine rinunciare a tutto per raggiungere una sorta di illuminazione. Un po’ come gli stessi Who, che con Tommy si smarcano definitivamente dallo status di mod band e vanno alla ricerca della piena consapevolezza grazie a quella che che ancora oggi è la rock opera per antonomasia. Tommy viene rappresentata in molteplici modi: dal vivo dalla sola band, in versione orchestrale, cinematografica (nel 1975, con la regia di Ken Russell), con ospiti sul palco a interpretare i vari personaggi e in vari concerti solisti da parte di colui che è da sempre il volto e la voce di Tommy: Roger Daltrey.