Tra le tante esperienze fatte da Franco Battiato c’è anche quella di guida per altri artisti che ha aiutato nella realizzazione di un progetto discografico, spesso di grande successo, spronandoli a mettersi in gioco esattamente come ha fatto lui. Ci ritroviamo perciò con una manciata di dischi nei quali la sua mano è manifesta a livello di composizione, arrangiamento o produzione. E con una guida del genere i risultati non possono che essere quantomeno interessanti, quando non esaltanti.
Questa classifica prende in esame i migliori 10 lavori che vedono un qualche tipo di apporto di Battiato. Ognuno di questi album ha bene impressa la sua firma senza che questo risulti limitante per gli artisti che, anzi, sono stati valorizzati dalla sua sapiente mano. Si va dalla musica sperimentale al cantautorato più out per andare al super-pop degli ’80 e spingersi verso il nuovo rock italiano. Cercateli e amateli, non potranno non stregarvi quanto le più belle pagine musicali del maestro.
10. “Milva e dintorni” Milva (1982)
Nel 1982 Franco decide di affidare a Milva una rinnovata versione di Valery da lui messa a punto. Valery è un brano di Alfredo Cohen che per l’occasione viene ribattezzato Alexander Platz, con il testo in parte rimaneggiato e la presenza di un ritornello di grande effetto. Complice la sublime interpretazione di Milva la canzone diventa in breve un classico. Alexander Platz è un frammento di vita quotidiana nella Berlino pre-unificazione: la solitudine e il gelo di febbraio si percepiscono attraverso le strofe, sussurrate da Milva con maestria. Il respiro cinematografico del brano visualizza il cammino che la donna percorre nella neve lungo i viali di Berlino, poi la sua casa desolata nella quale, dopo le pulizie, resta “in disparte come vera principessa, prigioniera del suo film”, evocando la figura di Marlene Dietrich. La voce esplode poi nel ritornello e dissolve la tensione nel finale, terminando con un’inaspettata domanda (“Ti piace Schubert?”) sul tema di pianoforte.
Il brano entra a far parte dell’album Milva e dintorni, parimenti scritto e arrangiato da Battiato e da Giusto Pio. Chiaramente davanti ad Alexander Platz il resto rischia di apparire da meno, cosa che in parte avviene con canzoni non del tutto centrate come L’aeroplano, A cosa pensi o In silenzio. Il disco si risolleva con il secondo singolo, Poggibonsi, con Tempi moderni, grazie ai suoi cambi di scenario musicale e a un’altra interpretazione da brivido, e con Le donne, dotata dell’atmosfera intima tipica del Battiato più nostalgico.
9. “Venuti dalle Madonie a cercar carbone” Denovo (1989)
Realizzato poco prima dello scioglimento della formazione catanese, Venuti dalle Madonie a cercar carbone (gioco di parole coi cognomi dei componenti: Mario Venuti, Luca e Gabriele Madonia e Toni Carbone) vede il coinvolgimento di Battiato in sede di produzione mentre i brani sono tutti composti da Venuti e Luca Madonia. La proposta dei Denovo è inserita nelle pieghe di quel nuovo rock italiano che si impone tra la fine degli anni ’80 e buona parte dei ’90. I musicisti riescono a coniugare melodie raffinate ed eleganti a testi tutt’altro che banali, con Franco a spronarli affinché diano il meglio e suoni nei quali si riconosce subito la mano del produttore.
8. “I fiori del sole” Michele Fedrigotti / Danilo Lorenzini (1979)
Michele Fedrigotti e Danilo Lorenzini sono due pianisti/tastieristi stretti collaboratori di Battiato. Nel 1979 danno alle stampe un album prodotto da lui per la Cramps Records. I fiori del sole è un lavoro dalla evidente vena mistica, specie nel primo lato, denominato Messa per organo, una vera e propria funzione liturgica in sei movimenti (con lo strumento del titolo come protagonista) che inizia con Il santissimo calice e si conclude con L’eucarestia. Più interessante il lato B, I fiori del sole, suddiviso in ulteriori cinque tracce, con alcuni soavi momenti pianistici non distanti da certe pagine dei migliori Popol Vuh.
7. “Come barchette dentro un tram” Alfredo Cohen (1976)
Alfredo Cohen è performer e musicista, tra i personaggi più attivi del F.U.O.R.I.! (Fronte Unitario Omosessuale Rivoluzionario Italiano), la prima associazione in Italia attiva nella lotta per i diritti degli omosessuali. Incontra Battiato nel 1976 e gli porta un pacchetto di canzoni di cui ha firmato testi e musiche. Battiato rimane colpito dalla forza e dalla qualità del materiale che affronta l’argomento omosessualità come mai prima in Italia, tanto da decidere di lavorare ai pezzi in veste di direttore artistico e arrangiatore. In tale frangente Franco pensa ad arrangiamenti che possano traslare in ambito canzone quella che è la lezione del minimalismo (Philip Glass, Steve Reich) per rivestire le parole – ora dure, ora ironiche, ora disilluse, quando non fortemente sarcastiche – scritte da Cohen.
In Come barchette dentro un tram ci sono veri e propri manifesti come Tremila lire, nel quale si racconta di tutto un mondo fatto di cinemini di periferia e marchette, narrato con sfrontatezza mista a poesia e sottolineato dagli stranianti arrangiamenti di Battiato. Il pezzo più intimo è La mia virilità, sincero resoconto di una vita sempre ai margini. Ma c’è anche posto per l’ottimismo (Come barchette dentro un tram), il desiderio (Dolce ragazzo vai componi prati), il sarcasmo (Edipuccio e li briganti psicanalisti), il malessere (Non ho ricchezze non ho paesi non ho tesori non ho città) e sopratutto la volontà di smascherare il bigottismo latente nella società, come ne Il signor pudore, vestita ancora una volta di un austero minimalismo che sembra anticipare certe pagine di Wim Mertens.
6. “Motore immobile” Giusto Pio (1979)
Battiato conosce Giusto Pio, musicista in forza nell’orchestra della Rai, nel 1977, quando decide di prendere lezioni di violino. Il rapporto sfocia in una fruttuosa collaborazione che andrà avanti per molti anni. Nel 1979 Franco spinge il violinista a pubblicare un album solista, al quale, oltre che nelle vesti di produttore, partecipa in qualità di vocalist (sotto lo pseudonimo di Martin Kleist).
“Si raccomanda l’ascolto a volume basso” è la frase che campeggia sul retro copertina di Motore immobile che sottolinea il carattere fragile di questa musica, impalpabile e sospesa in lunghi accordi di organo e ampie arcate di violino. Tale è la configurazione sonora del primo lato, occupato dalla composizione omonima, un affresco memore dei bordoni minimalisti di La Monte Young sul quale la voce di Battiato aleggia e insegue placidamente il violino in una simbiosi che risuona nel corpo dell’ascoltatore. Ananda (“beatitudine” nella religione induista) sul lato B è basata invece sugli arpeggi del pianoforte di Michele Fedrigotti, lunghe pause e risonanze che si vanno a fondere con l’estatico tappeto organistico di Danilo Lorenzini.
5. “Polli d’allevamento” Giorgio Gaber (1978)
Giorgio Gaber ha scoperta Battiato nel 1967 ed è stato legato a lui da una solida amicizia per tutta la vita. Nel 1978 Gaber porta un soffio di novità nel sound del suo fortunato Teatro Canzone affidandosi alle cure di Battiato e di Giusto Pio. Lo spettacolo Polli d’allevamento sarà considerato uno dei più provocatori tra quelli scritti da Gaber con Sandro Luporini per il suo prendere in giro il movimento giovanile degli anni ’70, accusato senza mezzi termini di velleitarismo e conformismo.
Per Polli d’allevamento Battiato e Pio scrivono una serie di partiture per quartetto d’archi, pianoforte, percussioni e tastiere. Negli arrangiamenti si riconosce sia l’influenza del minimalismo, con pattern cangianti di piano e archi (L’esperienza, I padri tuoi, Guardatemi bene), sia nuove e inedite sfumature che ritroveremo nel Battiato pop. Ne La festa o in Quando è moda è moda si riconoscono infatti alcuni movimenti per archi e vibrafono che caratterizzeranno La voce del padrone e Orizzonti perduti. Altrove le basi sono scarne ed essenziali (Timide variazioni), inscenano danze d’altri tempi (La pistola, Salviamo ‘sto paese), utilizzano clavicembali bachiani (I padri miei, Polli d’allevamento), rimangono ancorate a un raffinato classicismo (Eva non è ancora nata) o divagano verso l’oriente (L’uomo non è fatto per stare solo).
4. “Prati bagnati del monte Analogo” Raul Lovisoni/Francesco Messina (1979)
Francesco Messina è amico e collaboratore musicale di Battiato e, in qualità di grafico, ha firmato le copertine dei suoi lavori più famosi. In coppia con il compositore friulano Raul Lovisoni incide Prati bagnati del monte Analogo, prodotto da Battiato e ispirato al romanzo incompiuto dello scrittore, poeta e filosofo francese René Daumal. Il lato A dell’album è occupato dalla composizione che dà il titolo al disco, con aloni tastieristici che si stendono ampi, creando una filigrana nebbiosa e onirica. Di assoluta bellezza è il tema che comincia a prendere corpo a 14:45, una sorta di richiamo che unisce cielo e terra dipanandosi dalle cime impossibili del monte Analogo. L’altra facciata comprende due pezzi di pari grazia e bellezza: Amon Ra, realizzato con dei bicchieri accordati (la cosiddetta glass harmonica) e l’apporto vocale di Juri Camisasca, e Hula om, con l’arpa di Patti Tassini.
3. “Capo Nord” Alice (1980)
Nel 1980 Alice (pseudonimo di Carla Bissi) è una cantante che ha tentato la fortuna con una serie di album di pop melodico dallo scarso successo. Venuta a contatto con Franco questi opera sulla sua persona una sorta di restyling, una svecchiata alla sua proposta che finalmente possa rivelare il lato tosto della Bissi. Il clima generale dei brani a cui Battiato lavora è infatti teso a mostrare un’altra faccia di Alice, quella forte e risoluta di una donna che non si fa fermare dalle avversità ed è in costante ricerca di sé. Il risultato degli sforzi è Capo Nord, album di magistrale art pop che impone finalmente Alice all’attenzione del grande pubblico.
La cosa più eclatante dell’album è il primo singolo estratto: Il vento caldo dell’estate, qualcosa di realmente alieno rispetto a ciò che può occupare un posto in hit parade. La canzone è caratterizzata da una poliritmia tastieristica e da un ritornello nel quale la batteria si ferma lasciando la voce intensa di Alice a librarsi sopra un tappeto di arpeggiatori. Il vento caldo dell’estate vede realizzarsi la magia di un pezzo da classifica che unisce una forte melodia, una interpretazione da brividi e un eccellente tessuto armonico, con strali di minimalismo, elettronica e new wave. In poche parole un brano di pura arte pop.
Il resto di Capo Nord non ha un’altra gemma così sfavillante, ma si muove con intelligenza tra l’esotismo di Bazaar, il retrogusto battistiano di Sarà, il funk astratto di Sera e le nuove poliritmie di Guerriglia urbana. Discorso a parte meritano le bellissime Una sera di novembre, Bael e Rumba rock, impalpabili ballate nelle quali emerge il fascino austero della voce di Alice.
2. “La finestra dentro” Juri Camisasca (1974)
Franco conosce Roberto “Juri” Camisasca durante la vita militare e intravede in lui un geniale autore di canzoni folli e stralunate. Nella realtà Juri è una persona dotata di grande sensibilità, un personaggio che vive ai margini di se stesso e che profonde crisi porteranno a scelte drastiche, come divenire monaco benedettino e condurre vita monastica per undici anni. La finestra dentro, l’album che Battiato produce nel 1974 (suonandovi anche il sintetizzatore VCS3), è un piccolo shock: dai topi nel cervello di Un galantuomo, al novello Gregor Samsa di Metamorfosi, alla riscrittura de La fattoria degli animali di Orwell di Scavando col badile, ai temi scottanti per l’epoca, come il travestitismo in John, per concludere con le illuminazioni di Un fiume di luce e Il regno dell’Eden, dove il nostro descrive il suo viaggio verso l’empireo e il suo divenire, infine, Dio.
La musica procede come a strappi, non è mai lineare, così come non è lineare il canto di Juri che si perde tra molteplici registri, dall’isterico al pacato. La sua chitarra dirige il gioco in canzoni che sono scatole dai contorni aguzzi che ruotano febbrilmente mostrando in continuazione le diverse facce del suo autore. Il VCS3 di Battiato contribuisce a mandare in frantumi ogni altro barlume di normalità, accentuando i toni grotteschi e surreali. La finestra dentro è un disco capace di mandare al manicomio chiunque lo penetri veramente a fondo, e che infatti rimarrà un unicum anche per il suo autore, che al netto delle sue ricerche interiori prenderà in futuro strade musicalmente più pacate e meno pericolose per una coscienza fragile come la sua.
1. “Energie” Giuni Russo (1981)
All’inizio degli anni ’80 anche la carriera di Giuni Russo è a un punto di stallo. La cantante palermitana può infatti vantare una serie di album avidi di riconoscimenti commerciali. Il destino le riserva però un incontro fatale: quello con Battiato. Questi, sbalordito dalla poliedricità vocale di Giuni, accetta di lavorare con lei in qualità di produttore e di co-autore dei brani del suo nuovo album Energie.
Il disco è compatto a livello di scrittura sin dall’avvio con Lettera al governatore della Libia (poi ripresa da Franco nel suo Giubbe rosse) che mette in scena la straordinaria vocalità della Russo che non eccede mai in virtuosismi fini a se stessi ma è sempre al servizio della melodia, impreziosendola e svelandone sfumature più o meno nascoste. Crisi metropolitana si rifà alla new wave più ritmata, con Giuni a produrre fonemi vocali impossibili, frutto di studi di diverse culture. Atmosfera torna a una dimensione più intima con un canto che scuote le viscere nel suo incedere sacrale, mentre ne L’addio una nota tenuta per lunghi secondi passa con disinvoltura dalla tradizione della lirica a quella del folklore etnico.
Una vipera sarò, scelta come singolo, è un po’ la summa di questo straordinario album, un mix unico con un testo ironico ma assolutamente veritiero (“Ti potrei cantare la Norma di Bellini con dei fonemi sardi oppure giapponesi”), una musica che pesca a mani basse nel pop elettronico degli Ultravox, con vocalizzi tra la Callas e Yma Sumac a lasciare ancora una volta sbalorditi. L’attesa ha un’atmosfera raccolta e mistica, mentre Tappeto volante chiude in bellezza (citando nel testo anche la futura Oceano di silenzio) l’album più riuscito tra tutte le produzioni che hanno impegnato Battiato.