A cosa servono le ristampe? Me lo sono chiesto mentre compilavo questa lista delle migliori italiane di quest’anno e, se non altro, ho capito a chi non servono: ai collezionisti, ai puristi delle prime edizioni e degli ‘originali’. Per loro, il mercato di riferimento è un altro – e i prezzi molto più alti. Ma per chiunque voglia semplicemente ascoltarsi un’opera su supporto fisico restano l’unica soluzione.
Ancora: ristampare – ed è questo l’aspetto più interessante, per quanto non altrettanto rilevante a livello numerico – permette di recuperare album ormai fuori catalogo, che magari sono solo su YouTube, in traccia unica, su gentile concessione di qualche eroe metropolitano. Oppure che, nel peggiore dei casi, non si trovano proprio, vivendo nella leggenda. E se poi invece siamo davanti a dei classici rodati, delle nuove versioni possono comunque avere artwork bellissimi, o live, b-side e provini a corredo.
Insomma: ha ancora senso pubblicarne. E seguendo queste tracce (recupero di rarità, materiale nuovo, aspetto grafico) abbiamo stilato un bilancio di questo 2019.
Franco Battiato “L’era del cinghiale bianco”
L’era del cinghiale bianco di Franco Battiato è un classico, anche se è stato rivalutato col tempo. All’epoca della sua uscita infatti, nel 1979, era stato un flop nonostante rappresentasse una vera svolta pop nella carriera del nostro. Poi, con gli anni, è stato universalmente riconosciuto come il Big Bang del lato contemporaneamente elitario e popolare dell’artista siciliano, con la title track e Prospettiva Nevskij da tramandare ai posteri. Ristampato lo scorso luglio, comprende demo inedite e versioni dal vivo. Perché non dobbiamo perderci nulla, del processo creativo di Battiato.
Artisti Vari “Firenze sogna!”
Questa è una perla: una compilation datata 1993 con materiale d’antologia della scena fiorentina fra il 1976 e il 1983, quando Firenze era la capitale italiana della dark e della new wave, forte di gruppi come Litfiba, Diaframma e Neon. Pubblicata originariamente dalla Materiali Sonori e diventata nel frattempo oggetto di culto, è stata ristampata in doppio vinile dalla stessa etichetta insieme alla Spittle Records. E non ha perso valore: interviste, live e canzoni da una stagione unica della nostra musica.
Cosmetic “Non siamo di qui”
Nel 2009 l’indie italiano era dominato da chitarroni e alternativismo, e lo spirito era molto più underground. Gran parte della scena si coagulava intorno all’etichetta La Tempesta, che quell’anno pubblicò anche questo Non siamo di qui dei Cosmetic, primo punto d’arrivo (dieci anni fa girò parecchio nell’ambiente) di una band violenta, stralunata e sincera ancora in giro. Lo scorso ottobre è stato ristampato in un vinile rosso: utile anche per le 24 pagine di booklet annesse, ma soprattutto per ricordare da dove si viene.
C.S.I. “Ko de mondo”
Ko de mondo, il disco d’esordio dei C.S.I., è forse il punto d’inizio dell’alternative italiano per come poi siamo stati abituati a concepirlo. E questa ristampa in vinile, uscita per i 25 anni dell’originale, è preziosa tanto per i remasted delle varie A tratti e Fuochi nella notte di San Giovanni, quanto per il recupero del documentario col making dell’album. La band nata dalle ceneri dei CCCP era infatti un dream team dell’indie, con dentro Ferretti, Zamboni, Maroccolo, Magnelli, Di Marco e Canali, e vederli all’opera insieme, mentre convivono in un casale in Bretagna, è un’esperienza da non perdersi.
Lucio Dalla “Lucio Dalla”
Ok, Lucio Dalla di (appunto) Lucio Dalla è un classico, uno di quei dischi che è nelle case di ogni italiano e che in vinile trovi a qualsiasi mercatino. Del resto, è l’opera con cui il bolognese, quarant’anni fa, è diventato un fenomeno pop, con pilastri della nostra identità condivisa – da Anna e Marco a L’anno che verrà. Ristampa inutile? Non proprio: c’è un libro di 24 pagine in cui artisti come Dente, Colapesce e Dimartino spiegano il loro rapporto con l’album, oltre a una copertina bellissima disegnata, sul ritratto originale, da Alessandro Baronciani. Ah, e poi Angeli: una b-side all’epoca scartata, leggermente inferiore al resto, ma comunque notevole. Perché, di quel Dalla, sono oro anche le canzoni di riserva.
Massimo Volume “Stanze”
Un disco a suo modo leggendario, lo Stanze datato 1993, esordio di una band altrettanto leggendaria come i Massimo Volume. Atmosfera scura, distorsioni, testi spoken: c’era già tutto ciò che avrebbe reso il gruppo un’istituzione del rock italiano, seppur filtrato con una bella fetta di ingenuità che – a conti fatti – rende quest’album un cult un po’ sepolto ma mai dimenticato della loro carriera e di tutto l’alternative tricolore. Da ristampare, appunto.
Alessandro Mendini “Architettura sussurrante”
Forse, la ristampa dell’anno. Grazie a Industrie Discografiche Lacerba, lo scorso marzo siamo potuti tornare ad ascoltare una delle opere più assurde della nostra musica: Architettura sussurrante di Alessandro Mendini. Esatto: un disco partorito dalla mente di uno dei più grandi menti italiane – architetto, designer e non solo. Con la collaborazione dei Matia Bazar e di altri gruppi, nel 1983 immaginò questo lavoro visionario, che puntava a raccontare l’architettura moderna attraverso una musica ambient primordiale, sospesa nel tempo, fra richiami 80s e suoni senza età. Quasi quarant’anni dopo, l’ascolto è ancora spiazzante, immersivo e tremendamente affascinante. Un trip da riscoprire a ogni costo, soprattutto in vinile, con un artwork filologicamente vicino al progetto originale.
Vasco Rossi “Non siamo mica gli americani!”
L’idea è che, nonostante i revival, i primi album di Vasco Rossi non siano mai abbastanza celebrati. Piccoli com’erano, finiscono schiacciati dalle adunate di San Siro, dai nuovi singoli. Ma prima del successo col rock, il Blasco è stato questo: un cantautore con De Gregori nella testa, e un artista a suo modo indipendente. Non siamo mica gli americani!, con dentro un cult come Fegato, fegato spappolato e Albachiara, è il disco del 1979 l’Italia scoprì la narrazione della provincia, delle sue stranezze, delle sue manie e dei suoi sballi – hai detto niente. Rimasterizzato per i quarant’anni, è accompagnato anche da un libro di 112 pagine e da musicassetta, per i più… nostalgici, dai.
Verdena “Verdena”
Va bene: dal 1999 non abbiamo mai smesso di ascoltare l’esordio dei Verdena. Non è una rarità insomma, ma il debutto del trio bergamasco rimane – a maggior ragione per i vent’anni di anniversario – un momento da godersi a fondo. E allora ben venga un ristampa con dentro, come hanno scritto loro, “5 Relitti, 2 Residui, 2 Avanzi e un Demo”, tipo: Piuma ripresa dall’ep di Valvonauta, una versione acustica di Ormogenia finita dispersa e l’inedito Corpi, all’epoca accantonata. Con queste, per davvero, dal 1999 dei Verdena è tutto.
Uomini di mare “Sindrome di fine millennio”
Fabri Fibra prima di Fabri Fibra, quando in coppia con il producer (all’epoca si definiva ancora dj!) Lato girava sotto il nome di Uomini di mare. Il loro Sindrome di fine millennio, anno domini 1999, è uno dei classici del rap italiano: influente per il futuro eppure finito col diventare una sorta di reperto geologico rarissimo, visto che allora i numeri di vendita erano esegui e le copie fisiche si disperdevano. Ma, il disco, quello rimane: basi minimali, con testi acrobatici, cattivi e paranoici. O vogliamo fingere di non emozionarci ancora con Verso altri lidi? Appunto: bene così, con la ristampa.