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Le 20 migliori copertine rock a fumetti

Da Robert Crumb che reimmagina Haight-Ashbury a Tanino Liberatore che disegna Frank Zappa a Redecesio, ecco come le strade di musica e comics si sono intersecate

Dal retrocopertina di 'The Man from Utopia'

In effetti, se vi fermate a riflettere, era inevitabile e naturale che due fra le espressioni più ‘basse’ e ‘povere’ del Novecento si sarebbero incontrate. Il rapporto tra rock e fumetto va avanti da oltre cinquant’anni. Così com’è capitato che qualche fumettista abbia messo su una band (da Grant Morrison ad Alessandro Baronciani) o che una band sia diventata un fumetto (in passato i Kiss e di recente i Lacuna Coil, entrambi grazie alla Marvel), il più canonico degli incontri è avvenuto sulle copertine dei dischi.

Il nostro obiettivo qui è di segnalare una minima parte delle più belle e riuscite collaborazioni tra disegnatori e musicisti, limitandoci per ora ai dischi internazionali. Prima di iniziare, precisiamo un paio di criteri di scelta, onde evitarvi inutili travasi di bile per la presenza/assenza di una data illustrazione. Diremo che non ci interessano le copertine in cui compare un personaggio tirato via da una qualche tavola già esistente. Non troverete quindi Surfing with the Alien di Joe Satriani che riporta il Silver Surfer di John Byrne già visto migliaia di volte. Si sono scelti artwork preparati appositamente per il disco citato. Altresì diremo che non abbiamo considerato l’arte grafica d’impostazione fumettistica, ma realizzata da illustratori, con buona pace di Derek Riggs, dei fan degli Iron Maiden e di tre quarti dei metallari cresciuti a pane e copertine pure bellissime di Daniel Seagrave o Travis Smith.

Robert Crumb: “Cheap Thrills” (1968) di Big Brother & the Holding Company

Partiamo da quello che è da molti considerato l’inizio di tutto: Cheap Thrills, con la sua front cover disegnata dall’allora emergente Robert Crumb. Sia lui che la band di Janis Joplin vivevano lo stesso ambiente, la San Francisco dei tardi 60s. L’unione tra i due creò una delle copertine più amate dell’epoca e non solo. In origine a Crumb venne assegnato il retro, dove avrebbe dovuto ritrarre Janis, mentre il fronte avrebbe dovuto ospitare una foto della band. Fu l’amore di Janis per i fumetti a convincere la Columbia ad assegnare l’intera veste grafica a Crumb che, grazie anche all’aiuto della cantante, creò una vera e propria storia basata sulle canzoni contenute nel disco e sul vissuto della band ad Haight-Ashbury, tra concerti, vita privata, Hell’s Angels, stravizi e tanta psichedelia.

Gilbert Shelton: “Shakedown Street” (1978) dei Grateful Dead

Rimanendo a San Francisco ma andando avanti di un decennio, il ‘fratellino’ di Crumb, Gilbert Shelton, autore di quel piccolo grande culto che porta il nome di The Freak Brothers, si prodigò per realizzare la veste grafica di Shakedown Street. Il disco in sé è considerato tra i minori della band di Jerry Garcia, ma Shelton riesce, con lungimiranza, a immortalare ciò che realmente sta avvenendo. Il distretto di San Rafael, dove la band è nata e cresciuta, viene rappresentato nella sua quotidianità ma, nonostante le tinte pastello, solari e rassicuranti, tra papponi da un lato e fan della disco music dall’altro, ai freak come i Grateful sembra non resta che andare via. Ironica e iconica, ma al contempo disillusa come poche altre e politicamente scorretta.

Jaime Hernandez: “Gato Negro” (1996) delle 7 Year Bitch

Se siete amanti di Ghost World, il fumetto di Daniel Clowes, con il suo mood punk femminista, non potete non conoscere Jaime Hernandez che è tra gli autori di Love & Rockets, serie che all’inizio degli ’80 ha trasportato di peso il reale giovanile nei comics raccontando le vicende di un pugno di punkettine e teppistelli nei sobborghi losangelini. L’interesse di Hernandez per la musica inizia creando poster e flyer per concerti, ma presto inizia a fare copertine per band underground. È nel 1996, con Gato Negro delle riot grrrls 7 Year Bitch di Selene Vigil che il connubio tra il suo mondo e il gruppo a cui dà colore raggiunge la massima empatia. Le quattro ragazze sembrano uscite dai suoi fumetti e canzoni come Disillusion sembrano la soundtrack per una delle sue storie.

Frank Frazetta: “Flirtin’ with Disaster” (1979) dei Molly Hatchet

Ci sono band che hanno legato indissolubilmente la loro musica a un solo disegnatore. È il caso dei Molly Hatchet, da sempre associabili alle illustrazioni di Frank Frazetta, noto per le graphic novel realizzate con un uso epico dell’aerografo oltre che della matita. Questo è il risultato del 1979, dopo inizio del sodalizio l’anno precedente. C’è chi trova un po’ kitsch il legame tra una band di southern rock e guerrieri fantasy poco adatti a storie come Whiskey Man, tuttavia è indubbio che i dischi dei Molly Hatchet siano riconoscibili proprio grazie all’arte di Frazetta. Più recente è invece il lavoro di Frank con i Wolfmother con risultati sempre validi, ma ugualmente opinabili.

Tanino Liberatore: “The Man from Utopia” (1983) di Frank Zappa

Nel 1983 Frank Zappa decise di affidare una sua veste grafica al nostro Tanino Liberatore. E lui, senza battere ciglio, con impeccabile orgoglio, ha disegnato uno Zappa con le fattezze del suo Ranxerox mentre spacca la chitarra infastidito dalle zanzare del Parco Redecesio alle porte di Milano, dove si era esibito l’anno prima. È un implicito riconoscimento non tanto o quanto meno non solo alla vita in tour di Zappa quanto al successo e soprattutto al lavoro che il giornale Frigidaire portava avanti in Italia, nell’ottica di un abbattimento delle frontiere nazionali. Di certo, il connubio Liberatore-Zappa ci fa sentire dal 1983 tutti meno provinciali e perciò non possiamo non includerlo in questo articolo.

Jamie Hewlett: “Demon Days” (2005) dei Gorillaz

Anche a costo di passare per matto, un giorno chiederò a Damon Albarn se conosce i Tre Allegri Ragazzi Morti. Lo farò visto che il concept dietro i Gorillaz somiglia un po’ all’idea del gruppo di Pordenone. Anche i Gorillaz non mostrano i loro volti che sostituiscono con i disegni di uno dei componenti, in un caso Davide Toffolo, nell’altro Jamie Hewlett, già autore di Tank Girl con un passato di firme delle cover dei Senseless Thing e un breve cammeo con i Pulp. Come stiano le cose non lo sapremo mai, ma possiamo supporlo, però resta un’idea vincente in grado di celare agli occhi (ma non alle orecchie) l’immagine dei musicisti coinvolti.

Alan Moore: “V for Vendetta” (1984) di David J

Chicca dal vago sapore vinyl-nerd. Progetto particolare: si tratta di un testo, This Vicious Cabaret, scritto dal colosso del fumetto Alan Moore per V for Vendetta, che qui diventa una canzone grazie al contributo del bassista dei Bauhaus David J. Haskins. Per ricambiare, Moore crea una mini-storia che viene inserita con il 12” del 1984 sotto forma di layout interno. La particolarità risiede anche nel fatto che, con un po’ di fortuna riuscirete a farlo vostro a pochi dollari, portandovi a casa, cum magno gaudio, sia il brano che il fumetto inedito. In seguito Alan inciderà una dozzina di dischi, abbandonando la new wave per l’avanguardia, regalando però un solo dipinto per una raccolta del 1994 e nulla più.

Todd McFarlane: “Follow the Leader” (1998) dei Korn

In questo caso il confine tra bluff e meritato inserimento nella lista è sottilissimo. Forse una delle copertine più citata in tal senso in realtà non è stata fatta da chi si dice o meglio a crearla è stata l’intera equipe di Todd McFarlane. Le matite sono di Greg Capullo, i colori di Brian Haberlin e la grafica di Brent Ashe. Al papà di Spawn, di cui i Korn sono da sempre fan e pare abbiano lottato per ottenere il budget per avere questa veste grafica apribile in due pannelli, viene attribuita l’idea. Il bassista della band, Fieldy, dichiarò però che il concept con i bimbi era suo e di un amico di Jonathan Davis ed era stato proposto allo staff ancora prima che il fumettista desse l’ok per la copertina.

Raymond Pettibon: “Slip It In” (1984) dei Black Flag

Fratello del chitarrista dei Black Flag, Greg Ginn, Raymond Pettibon è uno stacanovista degli artwork rock, oltre che fumettista di indubbio successo, esposto al MoMa di New York. Tra le innumerevoli, sue sono le idee dietro Goo dei Sonic Youth, One by One dei Foo Fighters e tutta la produzione degli Off!, ma è con i Flag che raggiunge il massimo. Timido, riservato e amante del jazz, è riuscito a diventare autore-simbolo delle grafiche più scomode della scena hardcore. La suora di Slip It In apparsa per la prima volta nella fanzine Lana diventerà un simbolo in molti flyer della band, assieme a poliziotti malmenati, famiglie suicide, squilibrati e quant’altro potesse rappresentare l’audacia nichilista dei californiani guidati da Henry Rollins. Impossibile scindere i Flag da Pettibon.

Charles Burns: “Brick by Brick” (1990) di Iggy Pop

Ci sono due modi per parlare del lavoro di Charles Burns nel mondo della discografia, attraverso le copertine per le compilation della Sub Pop, oppure attraverso Brick by Brick di Iggy Pop. Il disco noto per l’ingresso in pompa magna del ex Stogees nei ’90 grazie al duetto con Kate Pierson dei B-52’s, la collaborazione con Slash e il singolo Butt Town ripreso in una puntata di Beavis and Butt-Head (“È la canzone con il miglior testo che abbia mai sentito”). Di tutto ciò Burns, fumettista di graphic novel nevrotiche come Black Hole, El Borbah o Big Baby, ricorda poco e niente. “Era un periodo in cui tutti mi cercavano, Time, Esquire, Believer, un bel periodo quindi. La copertina mostra Pop con le persone che lo hanno aiutato a fare il disco”. Licantropi compresi, evidentemente.

Dave Gibbons: “Too Old to Rock’n’Roll: Too Young to Die!” (1976) dei Jethro Tull

Che i Jethro Tull abbiano sempre dato un valore rilevante alle grafiche dei dischi è fuori da ogni dubbio. Qui decisero di affidarsi a David Gibbons, entrato in contatto con la band anni prima di lavorare su Superman e Watchmen e con i Kula Shaker del disco d’esordio. Gibbons incontra i Tull quando ancora è un fumettista di nicchia alle prese con Trials of Nasty Tales. Oltre all’immagine di copertina, a essere onesti figlia del Joe Cocker di Mad Dogs and Englishmen, c’è un fantastico fumetto interno con Ian Anderson intento a spiegarci il senso del disco. L’idea in origine era quella di tradurlo per ogni nazione, ma alla fine ne uscì solo una versione argentina dal titolo Demasiado Viejo Para El Rock, Demasiado Joven Para Morir. Olé.

Daniel Dumile: “Operation: Doomsday” (1999) di MF Doom

Sono tante le commistioni tra hip hop e fumetti. Come la veste di Danys Cowan per Liquid Swords, disco del 1995 di Genius e GZA fuori dal Wu-Tang Clan. Ma questa è un’altra storia. C’è un ragazzo in botta fissa con Dr. Doom della Marvel da cui prende il modo di presentarsi in pubblico, indossando una maschera. Al debutto non ha i soldi per una tavola di Stan Lee, così se la disegna da solo, in due varianti. Daniel Dumile, in arte MF Doom, è pure un ragazzo umile e quando esce la terza ristampa nel 2015 si affida a un professionista, Jason Jägel, e qui arriva il colpo di teatro: la Marvel dichiara di voler fare un fumetto di Doom con i suoi disegni, lanciandolo a tutti gli effetti come fumettista. Non se ne fece nulla, ma poco conta, una storia bella merita sempre di essere raccontata.

Jack Davis: “Everybody Loves a Nut” (1966) di Johnny Cash

1966. Jack Davis è stato uno degli artisti fondatori di Mad, scelto da Harvey Kurtzman del magazine per i suoi personaggi bizzarri con un’anatomia distorta e ingrandita. Due delle commissioni più famose di Davis sono state The Greatest of dei Guess Who nel 1977 e Everybody Loves a Nut dove Johnny Cash si diletta in undici tracce dai connotati umoristico-farseschi interpretati in passato in varie apparizioni tv tra cui, quelle più celebri, al Muppet Show. Il tutto si adatta benissimo alla veste grafica scelta. Cash viene dipinto come il Quasimodo di Notre-Dame de Paris di Victor Hugo, circondato da una stramba combriccola di musicisti, un cane e un serpente, mentre una tazza serve per raccogliere gli spiccioli di quanti potranno gradire la sua compagnia.

John Holmstrom: “Road to Ruin” (1977) dei Ramones

Qui non si scherza. I Ramones scelgono John Holmstrom per illustrare il loro quarto album del 1977, l’anno simbolo del punk-rock. Oltre al ruolo come fumettista, Holmstrom è coinvolto nel punk-rock già nel 1975, fondando la fanzine Punk sulla quale ha illustrato icone del calibro di Lou Reed, Debbie Harry dei Blondie e i Sex Pistols. E in seguito racconterà la storia del punk in forma di fumetto per Spin. Era in una posizione perfetta, quindi, per catturare l’immagine da cartone animato del gruppo, frutto di un amore incondizionato dei quattro Ramones per Spiderman e Batman, in uno stile autoironico da eroi punk di New York.

Neal Adams: “Who Will Save the World? The Mighty Groundhogs” (1972) dei Groundhogs

Non è tanto strano che Neal Adams abbia disegnato una copertina di un disco, piuttosto è strano che abbia disegnato questa copertina dei poco noti Groundhogs. Perché se Adams ha rappresentato praticamente di tutto, da Batman a Green Arrow, passando per Superman e X-Men, i tre britannici Groundhogs a stento vengono ricordati per un’altra copertina pacchianissima, quella di Blues Obituary del 1969. Eppure vi stupirà sapere che godono sia d’una lodevole e apprezzata discografia che di una nutrita schiera di fan d’eccezione che incluse un tempo pure Keith Richards ed Eric Clapton e adesso (ehm…) Dave Grohl. Detto ciò, non dovrebbe destare troppa meraviglia se nel 1972 Neal Adams stesso si prestò a disegnarli come supereroi.

Vince Locke: “Eaten Back to Life” (1990) dei Cannibal Corpse

Questo è il momento esatto in cui tutti quanti si aspettano un disco dei Kiss. Magari quel Destroyer del 1976 illustrato da Ken Kelly. Ma se metal deve essere allora che sia metal sul serio: diamine, un briciolo di originalità. Il debutto dei Cannibal Corpse spinse la loro label, la Metal Blade, a cercare una veste grafica diversa dall’artwork sia dei gruppi death metal come Morbid Angel che di band dalle chiare connotazioni punk come Siege. Si rivolsero allora a Vince Locke, il fumettista che nel 1986 aveva creato la serie zombie di culto Deadworld e mai chiamato in causa per grafiche metal. “Non ero un artista molto caro allora e le mie tavole erano quanto di più violento ci si potesse aspettare da un fumetto, perciò era naturale che qualcuno prima o poi ci facesse incontrare”.

Adrian Tomine: “End Times” (2010) degli Eels

Una più che casuale affinità tra i due media si trova negli Eels. Il cantante E, al secolo Mark Oliver Everett, è notoriamente appassionato di fumetti americani. Alcuni degli artisti di punta dell’area indie, come Seth, sono estimatori degli Eels e di altre formazioni analoghe. È quasi scontato che tra Adrian Tomine ed E sia nata una solidarietà e un’ammirazione di fondo che ha generato continui interscambi musica-fumetto. In particolare, nei dischi degli Eels non mancano illustrazioni di Tomine, all’interno dei libretti come nel caso del ritratto su Daisies of the Galaxy o di qualche singolo come Cancer for the Cure, o su fronte e retro di un intero album come per End Times in cui Tomine immagina un E vecchio e saggio intento a riflettere sulla notte della vita.

Richard Corben: “Bat Out of Hell” (1977) di Meat Loaf

L’opera rock creata da Jim Steinman che portò alla notorietà planetaria quel Meat Loaf già lanciato grazie a Rocky Horror Picture Show e Hair, coinvolse l’autore anche nella veste grafica. Richard Corben, illustratore per il magazine Heavy Matal, viene accreditato in quanto tale (“illustrated”), mentre l’idea (“cover concept by”) è attribuita a Steinman. L’idea del motociclista che esce dall’inferno piacque a tutti tranne che a chi la fece (o forse non piacque il modo in cui venne trattato). Per il sequel Back from Hell del 1993 diede forfait, cedendo il posto a un altro fumettista: Michael Whelan.

Winston Smith: “Bedtime for Democracy” (1986) dei Dead Kennedys

L’ultimo album con Jello Biafra alla voce. Da sempre Winston Smith è considerato un fumettista politicamente schierato, come i Kennedys in ambito musicale, ma il suo tratto è estremamente divertente, quasi infantile. Dietro a quello che sembra un disegno scarabocchiato sul banco, si nasconde la stessa aspra critica alla società dei californiani. Proprio quello che occorre in un momento difficile per la band. Il risultato è ottimo, sia da un punto di vista estetico, con un’imperdibile grafica apribile, che da quello musicale, con un’uscita di scena di Biafra contraddistinta dal primo posto nella classifica britannica degli indipendenti.

Daniel Johnston: “Hi, How Are You” (1983) di Daniel Johnston

Poche cose erano certe nella vita dell’outsider per eccellenza Daniel Johnston. Tra queste, i Beatles e l’amore per i fumetti. Se la voglia di diventare un Fab Four per ovvi motivi non si realizzò mai, come fumettista ha fatto scuola. Con le sue infinite serie di fumetti autoprodotti creò una mitologia personale che è durata negli anni. Il suo stile, tra il fantasma Casper e la rana Jeremiah qui sopra, con un sotteso amore per la pop art e uno dichiarato per gli eroi Marvel (anche se sotto acido) ha influenzato l’iconografia di decine di artisti, dai Nirvana a Mac DeMarco. Sono fumetti sghembi come i suoi dischi, dove la non-tecnica diventava segno dell’urgenza di mettere su carta i propri fantasmi, anticipando quel mondo underground che avrebbe colonizzato anche il mainstream.

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