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Le 30 migliori canzoni di David Bowie

Da ‘Space Oddity’ a ‘Lazarus’, ecco come l’artista inglese ha esplorato lo spazio interiore ed esteriore, reinventando se stesso e il pop

Foto: Michael Ochs Archives/Getty Images

Sembra un cliché, ma è la pura verità: il catalogo di David Bowie è pieno di album che hanno contributo a rimodellare il pop. Bowie è stato anche altro, ovvero uno dei maggiori creatori di singoli della storia, un Picasso formato radio in grado di comprimere gioia, dolore e meraviglia nei tre minuti di una canzone. Lo si capisce ascoltando il suo repertorio, che è spalmato nell’arco di quattro decenni e che è sintetizzato in questa guida che va dal 1969 di Space Oddity al 2016 di Lazarus. È un viaggio mentale e scalfisce appena la superficie del repertorio di Bowie.

1“Space Oddity” (1969)

David Bowie dedica buona parte degli anni ’60 al tentativo di diventare famoso. Suona coi Manish Boys e come Davie Jones with the King Bees, pubblica il singolo The Laughing Gnome. Nulla funziona finché non incontra il produttore di Elton John, Gus Dudgeon, e con lui crea Space Oddity, un pezzo che ha per le mani da un annetto. La canzone dedicata a Major Tom, astronauta disperso nello spazio, viene pubblicata in fretta e furia per farla coincidere con lo sbarco sulla Luna e la BBC lo usa nella diretta dell’evento. “In Inghilterra pensano che sia stata scritta per l’allunaggio, ma non è così”, ha detto Bowie. “L’ho scritta dopo aver visto 2001 Odissea nello spazio, che trovai pazzesco. Una rivelazione, ed ero fatto quando lo vidi. La canzone è nata da quello, poi la BBC l’ha usata come musica di sottofondo per l’allunaggio, immagino senza aver ascoltato il testo”.

2“The Man Who Sold the World” (1970)

L’album del 1970 The Man Who Sold the World è il primo con gli Spiders from Mars, la formazione che contribuisce alla transizione del sound di Bowie dal folk al rock. Questo pezzo fantascientifico alla Lovercraft, il cui titolo è ispirato a The Man Who Sold the Moon di Robert A. Heinlein, tratta dell’incontro con un sosia, forse un altro Bowie proveniente dal passato. “Esprime quel che provi da giovane, quando devi ancora completare il puzzle della tua esistenza e sei alla ricerca di te stesso”, ha spiegato il cantante nel 1997. Tra le cover spicca quella dei Nirvana di Kurt Cobain, che ha inserito The Man Who Sold the World tra i suoi 50 album preferiti di sempre, cosa che ha reso felice Bowie.

3“Changes” (1971)

È il 1971 e Bowie corre il rischio di diventare una meteora. Sono passati due anni da Space Oddity e la musica è cambiata. Lui non se ne cura e posa da duro nel singolo che traina l’album Hunky Dory. Contiene un avvertimento ai rivali: “Attenti, rock & rollers, state per invecchiare”. Sembrano parole impudenti e invece sono profetiche. Changes, ha detto Bowie, nasce come “parodia di una canzone da nightclub” e diventa un vero inno rock caratterizzato dalle tastiere di Rick Wakeman degli Yes e dal sax dello stesso Bowie.

4“Life on Mars?” (1971)

È la storia di una ragazza solitaria che va al cinema per evadere dalla realtà. In verità, la storia è pressoché irrilevante. Più rilevante è la performance vocale di Bowie, una delle sue migliori, accompagnato dagli Spiders from Mars, da una sezione d’archi e dal tastierista Rick Wakeman. È un’opera in miniatura. “Una canzone facile, perché essere giovani era facile”, ha detto Bowie nel 2008. “Ero su un bus che da Beckenham High Street mi portava a Lewisham dove avrei comprato delle scarpe e non riuscivo a togliermi dalla testa il riff. Scesi dopo due fermate e tornai a casa”.

5“Five Years” (1972)

La nascita di Ziggy s’accompagna a un presagio di morte: la Terra ha cinque soli anni di vita, il compito della a rock star aliena è diffondere messaggi di speranza. La storia inizia con Five Years, la traccia che apre l’album che ha trasformato Bowie in una star, The Rise and Fall of Ziggy Stardust and the Spiders From Mars. La voce di Bowie vibra di disperazione. “I ragazzi hanno accesso a quel che desiderano”, ha spiegato a William S. Burroughs nel 1974. “Le persone mature hanno perso ogni contatto con la realtà e i ragazzi sono liberi di fare razzie”.

6“All the Young Dudes” (1972)

Per la cultura pop Bowie è un’iniezione di energia, le sue canzoni contribuiscono alla rinascita del rock come genere inclusivo spaziale e sessualmente ambiguo. È proprio questo il messaggio di All the Young Dudes, pubblicato in origine dai Mott the Hoople. È un inno glam che ha come punti di riferimento T. Rex, Beatles e Rolling Stones e che è collegato a Five Years. In entrambi i casi, si canta di un mondo destinato a finire nel giro di cinque anni. “Parla di questa pessima notizia, non è un inno giovanile come crede la gente”.

7“Ziggy Stardust” (1972)

Non uscì come singolo, eppure è uno dei pezzi più amati di Bowie. Il protagonista è mancino, suona con Weird e Gilly, è pallido e ha strani occhi, capelli bizzarri, un grosso pene e un “culo divino”. Qualcuno pensa che si tratti di Jimi Hendrix, Bowie pensava piuttosto al cantante rockabilly britannico Vince Taylor.

8“Starman” (1972)

“In sogno, Ziggy riceve le istruzioni per scrivere dell’avvento di Starman”, ha detto Bowie nel 1973. “E così scrive Starman, il primo segno di speranza per l’umanità”. La canzone, che deve qualcosa a Over the Rainbow e a You Keep Me Hangin’ On delle Supremes, è il primo successo tratto dall’album Ziggy Stardust e ha contribuito in modo determinante nel far conoscere al pubblico il personaggio di Ziggy.

9“Moonage Daydream” (1972)

Il compito di delineare l’esile trama è affidato alla terza canzone dell’album Ziggy Stardust. “Sono l’invasore venuto dello spazio”, canta Bowie, “sarò la vostra puttana rock’n’roll”. E questo è quanto. La parte di chitarra è una delle cose migliori che Mick Ronson abbia mai fatto e in concerto l’assolo diventa epico. “Tracciavo la linea dell’assolo su un foglio con una matita o un pennarello”, ha scritto Bowie nelle note di copertina della ristampa. “Il solo di Moonage Daydream, ad esempio, partiva come una linea retta, prendeva la forma di un megafono e finiva con una serie di tratti spezzettati. Ho letto da qualche parte che Frank Zappa usava i disegni per mostrare ai musicisti come voleva che suonassero le sue composizioni. Mick era uno che riusciva a trasformare quegli schizzi in realtà”.

10“Suffragette City” (1972)

Il personaggio di Ziggy è l’incarnazione mitologica del glam rock e Suffragette City è una delle sue armi. Il timbro chitarristico di Mark Ronson si abbina al canto nasale di Bowie che fa riferimento ad Arancia meccanica e avventure sessuali, col ritornello che fa “wham, bam, thank you, ma’am”. È il suono della più grande rockstar della galassia.

11“John, I’m Only Dancing” (1972)

Quando questo singolo esce nel 1972, Bowie ha appena scioccato un sacco di gente confessando a un giornalista di essere gay. Il pezzo è diretto a un tizio piuttosto geloso chiamato John: “Lei mi eccita, ma non fraintendermi, sto solo ballando”, canta Bowie stuzzicando l’immaginazione del pubblico. Registrata poco dopo la pubblicazione di Ziggy Stardust, la canzone ha una melodia che ricorda Suffragette City e la verve tipica del periodo glam. Chi scoprirà Bowie anni dopo penserà che John, I’m Only Dancing sia stato un successo. In realtà, ha funzionato nel Regno Unito, ma è stato affossato dai discografici d’oltreoceano che non hanno capito che l’ambiguità sessuale di Bowie faceva vendere dischi.

12“Rebel, Rebel” (1974)

Due anni dopo avere portato il glam alle masse, Bowie gli dice addio con questo inno dal passo pigro, una delle sue canzoni più suonate di sempre. Scritta per un musical mai realizzato su Ziggy, secondo il Nicholas Pegg del libro The Complete David Bowie, è ispirata al transessuale e attore newyorchese Wayne County, all’epoca era parte dell’entourage del cantante, e ai Rolling Stones. Bowie e Keith Richards si sono conosciuti durante le session di Diamond Dogs e il riff della canzone è marchiato Keef. “È un riff favoloso”, dirà Bowie. “Quando mi ci sono imbattuto, ho detto: beh, grazie!”.

13“Fame” (1975)

David Bowie e John Lennon s’incontrano a una festa organizzata da Elizabeth Taylor. Per rompere il ghiaccio, il primo dice al secondo di avere tutti i dischi che ha fatto, tranne quelli dei Beatles. Poi mesi dopo – siamo all’inizio del 1975 – sono entrambi a New York. Bowie sta lavorando all’album Young Americans e invita Lennon in studio per fare assieme una cover di Across the Universe. Lennon non è soddisfatto della versione fatta coi Beatles e perciò accetta. I due suonano e il chitarrista Carlos Alomar tira fuori un riff decisamente funk. Bowie improvvisa il testo, dove “fame” (fama) fa rima con “pain” (dolore), e dichiara che “quel che vuoi è nella limousine”. Lennon aggiunge cori e chitarra. Risultato: il primo numero uno di Bowie in America. Anni dopo, James Brown userà il groove per il suo singolo Hot (I Need to Be Loved, Loved, Loved).

14“Young Americans” (1975)

Il pezzo d’apertura dell’album del 1975 Young Americans chiarisce una volta per tutte che Ziggy Stardust è morto. La title track, con una parte di tastiera di un giovane Luther Vandross, rappresenta il primo flirt con il sound di Philadelphia. Ci sono un sassofono, cori, congas. Alcuni vecchi fan sono scioccati, ma la canzone è brillante e orecchiabile.

15“Station to Station” (1976)

Ecco un nuovo personaggio, il Thin White Duke (“un personaggio cattivo”, secondo lo stesso Bowie). Si manifesta in questo pezzo Kraut-disco che ha i suoi anni, eppure suona ancora futuristico. I ricordi di Bowie sono incasinati dalla cocaina e perciò ricorda solo vagamente di aver registrato questo LP, uno dei suoi migliori. La title track richiama l’immaginario cristiano e buddista, e a quanto pare il titolo evoca la Via Crucis, anche se si parla di Duke, un orrido aristocratico che trova l’amore nell’edonismo (“Non è un effetto collaterale della coca / Deve essere amore”). È il suo pezzo più lungo di sempre e apre la strada alla fase successiva influenzata dall’elettronica (ai tempi il cantante ascoltava i Kraftwerk). “Dal punto di vista musicale, Low e gli altri dischi dell’epoca sono figli di Station to Station”, ha detto. “Curioso che in ogni album ci sia sempre una canzone che indica la direzione che prenderò nel disco successivo”.

16“TVC15” (1976)

Bowie mischia new wave e boogie-woogie in un pezzo che racconta di una ragazza inghiottita dal suo apparecchio televisivo. È la canzone più orecchiabile di Station to Station. Su una parte pianistica presa a prestito da Professor Longhair e suonata da Roy Bittan della E Street Band, canta della ragazza che finisce dentro alla sua tv e lo lascia lì, tutto solo, a pensare se è il caso di seguirla. È in pratica la trama del film del 1983 di David Cronenberg Videodrome. Bowie abbina le parole “transizione” e “trasmissione” e le fa suonare entrambe minacciose. Quando nel 1985, al Live Aid, ha suonato di fronte al pubblico televisivo più vaso di sempre, ha ovviamente iniziato il suo set con questa canzone.

17“Sound and Vision” (1977)

Oggi è considerato un classico ed è perciò facile dimenticare l’accoglienza riservata a Low. È il 1977 e Rolling Stone scrive di un disco “moderatamente interessante” e di mancanza di disciplina nel lato B, quello pionieristico con gli strumentali di Brian Eno. Sono tutti d’accordo, invece, sulla grandezza del singolo Sound and Vision. La parte strumentale sembra presa da Young Americans con il suo basso e il ritmo funk. Roba da discoteca che però si capisce solo una volta tornati a casa, quando la mattina dopo si ascolta il testo che parla di depressione: “Tende tirate tutto il giorno / Niente da fare, niente da dire”.

18“Warszawa” (1977)

È il punto più alto del secondo lato sperimentale di Low. Composta con Brian Eno, introduce nel mondo del pop le sue tipiche atmosfere e tessiture sonore. La meravigliosa e opprimente Warszawa e tutta la facciata che la ospita influenzeranno il rock underground che verrà: ambient, industrial, post rock, elettronica avant-garde. Non a caso i Joy Division all’inizio si fanno chiamare Warsaw.

19“Heroes” (1977)

Nella cosiddetta trilogia berlinese non ci sono molte canzoni commerciali. Heroes è l’unica eccezione, anche se il pezzo non ha granché successo nel 1977, per lo meno negli Stati Uniti. Scritta con Brian Eno, nasce come strumentale a cui Bowie aggiunge solo in seguito il testo su due amanti divisi dal Muro di Berlino. La reputazione della canzone pezzo è cresciuta col tempo fino a diventare nel anni ’90 uno dei brani più amati del catalogo di Bowie.

20“Fantastic Voyage” (1979)

Ispirato com’era, negli anni ’70 Bowie non ha fatto un disco brutto. Il più debole è Lodger del 1979. Dopo aver lavorato come un matto per così tanti anni, una battuta d’arresto ci sta. Il pezzo che apre l’album, Fantastic Voyage, è il migliore. Scritto con Brian Eno, con Adrian Belew al mandolino, descrive la Guerra Fredda. “La lealtà è preziosa”, dice il testo, “ma lo sono anche le nostre vite”. Bowie ha ritirato fuori la canzone nel 2003, ai tempi della guerra in Iraq.

21“Ashes to Ashes” (1980)

Undici anni dopo Space Oddity, David Bowie decide che è giunto il momento di raccontare che cos’è accaduto al Maggiore Tom. Il cantante esce da un lungo periodo tossico e l’astronauta è messo male. “Ashes to ashes, funk to funky”, canta Bowie su un groove funkeggiante di sintetizzatore, mentre offre un ritratto inquietante di Tom: “Sappiamo che è un drogato”. Pur essendo un pezzo anticonvenzionale, Ashes to Ashes diventa un successo internazionale, la riprova della genialità art pop di Bowie.

22“Under Pressure” (1981)

È il luglio 1981 e Bowie va ai Mountain Studio di Montreux per cantare su Cool Cat dei Queen. Alla fine non se ne fa niente e cantante e band finiscono per lavorare su un demo di Roger Taylor per una canzone intitolata Feel Like che diventa Under Pressure, capolavoro art-groove che usa la linea di basso più funk del repertorio dei Queen per criticare il Thatcherismo (la paternità della linea di basso, che verrà usata da Vanilla Ice in Ice Ice Baby del 1990 rimane ignota). “È stato David ad avere l’idea della canzone”, ha spiegato Brian May nel 2008. Bowie e i Queen non hanno mai suonato il pezzo assieme su un palco fino alla morte di Freddie Mercury. Il cantante l’ha però interpretata più volte in concerto.

23“Let’s Dance” (1983)

Tre anni dopo Scary Monsters (And Super Creeps), Bowie chiama Nile Rodgers, chitarrista e mente degli Chic, per suonare e produrre Let’s Dance. Rodgers scrive nell’autobiografia Le Freak che la versione originale della canzone sembrava un incrocio fra Donovan e Anthony Newley. Il pezzo viene ricreato ai Mountain Studios di Montreux e quindi rifinito dai musicisti di Rodgers al Power Station di New York. Secondo Bowie, è “un omaggio post moderno a Twist & Shout degli Isley Brothers”. È il suo ultimo singolo ad arrivare in cima alla classifica americana. Secondo Rodgers, “sapevamo che sarebbe stato un successone”.

24“China Girl” (1983)

Il bel repertorio di cover fatte da Bowie include questa versione di China Girl che lui stesso ha scritto con Iggy Pop per l’album di quest’ultimo del 1977, The Idiot. L’originale era una ballata chitarrista tanto affascinante quanto grezza. Bowie la tira a lucido e la trasforma in una hit con l’aiuto di Nile Rodgers, le inconfondibili sonorità chitarristiche di Stevie Ray Vaughan e una performance canora personalissima e sensuale. Tratta dal vendutissimo Let’s Dance, China Girl è arrivata alla decima posizione della Billboard Hot 100 e ha aiutato Iggy Pop facendogli incassare diritti d’autore per lui drammaticamente importanti all’epoca.

25“Modern Love” (1983)

Bowie è qui assieme orecchiabile e nichilista. Prende di mira l’amore moderno scovato dal titolo sopra a un sax jazzato e ai riff di chitarra di Stevie Ray Vaughan e Nile Rodgers. La formula call-and-response del ritornello, ispirata al gospel, riflette i pensieri di Bowie su tradizione, religione e ovviamente amore, che il protagonista della canzone cerca invano di rintracciare nell’era moderna. Alla fine della canzone, accompagnato da un suono rock’n’roll che fa molto anni ’50, giunge alla conclusione che questa vacuità merita comunque di essere celebrata.

26“As the World Falls Down” (1986)

David Bowie registra cinque canzoni per il film fantasy di Jim Henson Labyrinth, nel quale fa la parte di Jareth, il re dei Goblin. “Jim mi ha dato la sceneggiatura e l’ho trovata divertente”, ha detto il cantante nel 1986. “L’ha scritta Terry Jones, uno dei Monty Python, ed è attraversata da una vena di stupida follia. Leggendola ho visto che era prevista della musica e mi son detto che sarebbe stato divertente scriverla”. La ballata As the World Falls Down, che mescola una parte vocale tenera e una linea di basso nerboruta con sintetizzatori new romantic, appare nella scena in cui Sarah (Jennifer Connelly) mangia una pesca stregata e fa da colonna sonora al ballo in maschera in cui Sarah fugge.

27“I’m Afraid of Americans” (1997)

Nata dalla collaborazione col vecchio amico Brian Eno, questa traccia tratta da Earthling era già apparsa in altra versione nel film del 1996 Showgirls. “Non è apertamente ostile verso l’America, non come Born in the USA per dirne una. Direi che è beffarda. Ero a Giava quando hanno lanciato lì il primo McDonald’s. L’invasione che rende appiattisce le culture locali è deprimente, così come lo è l’idea che aprano un Disney World, chessò, in Umbria. È roba che soffoca la cultura locale, che limita l’espressione”. Trent Reznor dei Nine Inch Nails ha messo mano alla versione apparsa come singolo e appare nel video nella parte di uno stalker che segue Bowie per le strade di New York.

28“Sunday” (2002)

“Nulla è cambiato, tutto è cambiato”, annuncia Bowie nella canzone che dà il via al processo di rinnovamento creativo che avviene nell’album del 2002 Heathen. Dopo un decennio di dischi di qualità alterna caratterizzati dal suono della chitarra di Reeves Gabrels, Bowie ricomincia daccapo con un suono più lineare e brillante (oltre a liberarsi di un pizzetto che faceva tanto grunge). Su una base in cui suoni electro-pop si mescolano a un coro sinistro, Bowie avverte che un futuro tetro ci aspetta e che non c’è modo di rifugiarsi nel passato. Eppure la voce di Bowie è stranamente spensierata e trasmette un senso di eccitazione per questo nuovo inizio in cui affronta una volta ancora quel che di bizzarro c’è nel mondo. Il successivo Reality del 2003 ha bene o male le stesse coordinate. Nel 2004 un grosso problema di salute lo convince a stare lontano dallo studio per un lungo periodo.

29“Where Are We Now?” (2013)

The Next Day del 2013 è molto più di un semplice disco del ritorno. Per la prima volta, Bowie riflette sul suo passato. Lo si capisce dall’artwork, un adattamento della cover di Heroes del 1977. E lo si capisce forse anche meglio da Where Are We Now?, dove si citano vari luoghi di Berlino, la città dove ha vissuto negli anni ’70, mentre creava la famosa trilogia. La voce evoca i ricordi di una vita e Bowie canta con uno stoicismo che emerge nel finale: “Finché ci sarò io, finché ci sarai tu”.

30“Lazarus” (2016)

Innovativo fino all’ultimo dei suoi giorni, Bowie fonde l’amore per il rapper Kendrick Lamar e quello per il sassofonista jazz Donny McCaslin nelle session di registrazione segretissime che a partire dal 2014 tiene per il suo venticinquesimo e ultimo album in studio Blackstar, durante le quali canta anche per sette ore di fila. Lazarus proviene dall’omonimo musical off Broadway che parla di un uomo solo e un tempo ricco che vive a New York. Su una base ipnotica e spettrale, Bowie interpreta il personaggio in maniera convincente, esattamente come ai tempi di Ziggy e del Duca Bianco. Il testo ha assunto un significato più profondo dopo la morte del cantante, quando migliaia di persone l’hanno ritwittato:

Look up here, I’m in heaven
I’ve got scars that can’t be seen
I’ve got drama
Can’t be stolen
Everybody knows me now

Oh, I’ll be free
Just like that bluebird
Oh, I’ll be free
Ain’t that just like me?

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