L’età del metallo è iniziata migliaia di anni dopo quelle del bronzo e del ferro. Nel 1970 i Black Sabbath hanno evocato in modo decisamente convincente l’essenza del male con un riff di chitarra pesantissimo, fatto da tre accordi e piazzato in apertura di Black Sabbath, il primo schiacciasassi dell’heavy metal. Ancora ne sentiamo l’eco. I Judas Priest si sono ispirati alle melodie oscure dei Sabbath per creare mini-poemi epici, complessi e trasgressivi; i Metallica hanno accelerato il ritmo dei Priest fino a far venire il colpo di frusta agli headbanger; gruppi hair metal come Mötley Crüe e Quiet Riot hanno reso la musica più appetibile per MTV; mutanti nu metal come Korn e Slipknot hanno dato al genere un tocco tetro, fra post alternative e hip hop. Nel frattempo, altri adepti davano vita a filoni estremi come death metal, doom metal, black metal.
In questi cinquanta e passa anni, i fan del metal hanno cantato queste canzoni come accorate dichiarazioni identitarie. Essere metallari significa rifiutare la normalità, credere in se stessi e conoscere il proprio lato oscuro, perché si sa, i decibel assurdi e i testi violenti sono un luogo dove provare emozioni nuove e uniche. Oggi il metal è un movimento culturale. Ha scalato le classifiche pop, ha ispirato film di successo, ha dato spettacolo in tv, ha portato felicità in mezzo mondo.
Milioni di fan conoscono il potere della canzone metal ideale: trasmette forza, resilienza, persino speranza. Laddove gli altri sentono solo rumore e rabbia, i metallari riconoscono le sfumature. Una canzone come Fade to Black dei Metallica, per esempio, aiuta a sfuggire alle proprie inquietudini, non ad alimentarle. Il metal è sempre stato un modo per superare le paure e solidarizzare fra emarginati. Tutto ruota intorno all’idea di unione.
Il gruppo di headbanger che Rolling Stone ha riunito per stilare la classifica delle canzoni heavy metal più grandi di tutti i tempi ha discusso per mesi i meriti di oltre 300 pezzi. Tra di essi ci sono autori e critici che scrivono per Rolling Stone da decenni, ma anche collaboratori di pubblicazioni dedicate al metal. Pur restando fedeli alla definizione tipica del metal (riff pesanti suonati a volume 11), abbiamo dissertato sui confini sottili tra hard e metal: i Motörhead e gli AC/DC sono band hard che hanno inciso pezzi dalla furia impressionante che sconfinano nel metal e quindi sono qui, mentre i Guns N’ Roses e i Kiss, la cui musica è più spavaldamente hard rock, non sono stati inclusi. Di Led Zeppelin e Black Sabbath, capostipiti che però non hanno mai amato l’etichetta heavy metal, abbiamo scelto le canzoni più metal. I nostri collaboratori ci hanno inviato le loro votazioni personali, noi le abbiamo elaborate imbattendoci in alcune sorprese piacevoli.
Indossate i giubbotti di pelle, levate le corna al cielo e tenete a portata di mano un collare borchiato: ecco la classifica delle 30 canzoni metal più grandi di sempre.
Enter Sandman
Metallica
1991Il dono di Dio alle playlist che vengono diffuse negli stadi americani durante gli eventi sportivi è la canzone più semplice dei Metallica, divinità del thrash metal anni ’80. «Fondamentalmente è un pezzo monoriff, con piccole variazioni nel bridge e nel ritornello», ha detto il batterista Lars Ulrich in un documentario sul Black Album. Kirk Hammett ha tirato fuori il riff mentre ascoltava i Soundgarden, nel tentativo di scrivere una nuova Smoke on the Water. Dopo aver ascoltato quel riff inquietante, James Hetfield ha proposto un titolo misterioso che teneva nel cassetto da oltre sei anni e che, secondo lui, «non era mai piaciuto a nessuno finché non l’abbiamo ripescato». Quando Sandman è uscita, nel 1991, chi aveva acquistato Master of Puppets l’ha bollata come uno specchietto per le allodole imbarazzante, roba buona per MTV. Eppure questo Godzilla mainstream s’è fatto valere. Ha formato moltitudini di metallari in tutto il mondo. Trent’anni dopo, fa ancora proseliti. (S.G.)
Walk
Pantera
1992Il singolo del 1993 dei Pantera, pieno di groove e al tempo stesso pesantissimo, sarebbe diventato uno dei brani più famosi e venduti della band anche se non avesse sfondato nel mainstream. Oltre al ritornello da urlo, a renderlo speciale è lo shuffle di Dimebag Darrell, che omaggia il Southern rock con cui la band texana è cresciuta. L’ispirazione di Walk viene dagli amici che hanno cambiato atteggiamento dopo la firma di un contratto con una major. «In pratica, il messaggio è: prendi il tuo atteggiamento del cazzo e ficcatelo nel culo», ha spiegato Phil Anselmo. «Stavo difendendo il mio non-rockstarismo». (B.S.)
Holy Wars… The Punishment Due
Megadeth
1990Nel maggio del 1988, i Megadeth hanno fatto un concerto in Irlanda del Nord dove Dave Mustaine ha dedicato una versione di Anarchy in the U.K. alla “causa”. Prendendo quel gesto come un’allusione al conflitto secolare che spaccava il Paese, il pubblico ha scatenato gravi disordini e la band è stata costretta a fuggire a bordo di un bus blindato. L’incidente ha ispirato questa riflessione epica sulla natura distruttiva delle divisioni personali e sociali, che si apre con il thrash sfrigolante di Holy Wars e culmina con la massiccia Punishment Due, dominata dagli assolo entusiasmanti di Mustaine e Marty Friedman. Mustaine ha inciso l’assolo in un’unica ripresa caotica: era appena uscito da una cura disintossicante e suonava la chitarra per la prima volta dopo settimane. Secondo il bassista David Ellefson, «volava». (G.H.C.)
Living After Midnight
Judas Priest
1980Negli anni ’70 i Judas Priest hanno creato musica per i fan duri e puri del metal. Con British Steel dell’80, ispirandosi in parte agli AC/DC, hanno ampliato il loro appeal senza sacrificare il loro stile. È evidente soprattutto nel singolo apripista Living After Midnight, nato per caso una sera tardi mentre gli altri membri della band cercavano di dormire e il chitarrista Glenn Tipton lavorava a un riff a Tittenhurst Park, in Inghilterra, la residenza dove aveva vissuto John Lennon. Rob Halford ricorda nell’autobiografia Confess di avere detto a Tipton: «Tu vivi davvero dopo la mezzanotte». Poi «abbiamo sorriso. “Questo è un cazzo di titolo grandissimo per la canzone!”, m’ha detto. Il giorno dopo ho scritto un testo che parlava di far festa e divertirsi». Il pezzo è arrivato al numero 12 della classifica dei singoli del Regno Unito e resta un loro cavallo di battaglia. (A.G.)
Am I Evil?
Diamond Head
1980Iron Maiden e Def Leppard saranno pure i gruppi più noti emersi dalla cosiddetta New Wave of British Heavy Metal, ma Am I Evil? dei Diamond Head è di gran lunga la canzone più influente di quel sottogenere. I Metallica l’hanno rifatta per oltre 40 anni e l’hanno persino suonata con Megadeth, Slayer e Anthrax durante i concerti dei Big Four. È una sorta di masterclass sull’heavy metal, dall’introduzione doom e marziale fino ai saliscendi del riff centrale. E, col fascino occulto del testo, Am I Evil? mostra come la narrazione può essere esaltata da un arrangiamento strumentale a effetto. «“Mia madre era una strega” era un ottimo incipit», ha detto il chitarrista Brian Tatler a Classic Rock. «È probabile che la mamma [del cantante Sean Harris] si sia offesa, ma probabilmente ora l’avrà perdonato». (A.B.)
Rainbow in the Dark
Dio
1983Diceva spesso Ronnie James Dio che avevano dovuto convincerlo a includere Rainbow in the Dark nell’album di debutto della band Holy Diver perché trovava il riff di tastiera troppo pop. Eppure grazie all’interpretazione vocale fiera e convincente di Dio, al lavoro aggressivo di Vivian Campbell alla chitarra e al ritornello incalzante, la canzone rappresenta la perfezione metal anni ’80. «Rainbow in the Dark è stato il primo pezzo di Dio che ho amato alla follia», ha detto a Revolver il frontman degli Slipknot/Stone Sour Corey Taylor, «una canzone potente e piena d’energia, così bella che avrei voluto averla scritta io». (D.E.)
South of Heaven
Slayer
1988Dopo aver rivoluzionato lo speed metal con Reign in Blood dell’86, gli Slayer sapevano di essere giunti a un punto di svolta. «Cercare di superare quell’album sarebbe stato ridicolo», ha detto il chitarrista Jeff Hanneman a Decibel. «Così abbiamo deciso rallentare un po’ per spiazzare tutti quanti». Ma hanno fatto molto di più nel pezzo di apertura, che vanta uno dei riff più spaventosi dell’intero panorama metal: un motivo scritto da Hanneman che suona come una discesa all’inferno al rallentatore. Passano più di 90 secondi prima che la band ingrani una marcia più alta, con Tom Araya che si fa avanti per evocare il terrore della fine dei tempi cantando del “caos dilagante in un’epoca di sfiducia” e della “ricerca infinita della vostra sanità mentale devastata”. La struttura complessa della canzone dimostra che gli Slayer non hanno bisogno di ritmi incalzanti per prendere d’assalto i sensi dei fan. (H.S.)
Shout at the Devil
Mötley Crüe
1983Come sa chiunque abbia visto la quarta stagione di Stranger Things, negli anni ’80 la destra religiosa era ossessionata dalla presunta iconografia satanica utilizzata nel metal. Nel 1983 i Mötley Crüe hanno deciso di entrare nel dibattito intitolando il loro secondo album Shout at the Devil e piazzando un pentacolo in copertina. La title track, praticamente un inno, mostra tutti i punti di forza della band in tre soli minuti: voce squillante, lavoro di chitarra micidiale e un ritornello che si fissa in testa dopo un solo ascolto. In verità, il pezzo ha poco a che fare con l’evocazione delle forze del male. «Parla di difendersi», ha spiegato Nikki Sixx nel 2015. «Parla di chi percepiamo come nemico, del diavolo che è dentro di noi o di qualcuno impegnato in una brutta campagna elettorale». (A.G.)
Caught in a Mosh
Anthrax
1987Se anche non avessero fatto un altro disco dopo Among the Living dell’87, gli Anthrax conserverebbero comunque il loro posto nel pantheon del thrash grazie al classico Caught in a Mosh che stava in quell’album. Il pezzo è ispirato alla frustrazione derivante dall’avere a che fare quotidianamente con gente idiota, aggressiva e negativa, ma l’assalto martellante di questo inno da mosh pit, i cambi di tempo e il coro da urlare tutti assieme sono un antidoto meravigliosamente catartico a tutta quella merda tossica, offrendo un esempio da manuale del potere trasformativo del metal. Naturalmente, avere una sezione ritmica spaziale come quella costituita da Charlie Benante e Frank Bello non guasta affatto. (D.E.)
The Trooper
Iron Maiden
1983La cavalcata ritmica tipica dell’heavy metal esisteva prima degli anni ’80 (Hard Lovin’ Man dei Deep Purple del ’70 ne è probabilmente il primo esempio), ma gli Iron Maiden l’hanno perfezionata grazie al modo unico di suonare il basso di Steve Harris, con le dita che volano sul manico. I Maiden hanno costruito molte canzoni sulle linee di basso di Harris suonate nel registro più alto piuttosto che sulle chitarre e un esempio è dato dal modo in cui il bassista guida la carica nell’entusiasmante e trascinante The Trooper. La canzone deflagra e Bruce Dickinson ulula quasi senza sosta un testo ispirato alla battaglia di Balaklava, nella Guerra di Crimea. «Era una maratona vocale», ha detto il cantante a Martin Popoff. «Suonandola, nel corso degli anni, è diventata progressivamente sempre più veloce e per cantarla mi si sono staccato parecchi pezzi di lingua». (A.B.)
Round and Round
Ratt
1984I Ratt si sono inseriti nella nascente scena hair metal del Sunset Strip di Los Angeles dei primi anni ’80 provenienti da San Diego. Sono entrati nella Top 20 grazie alla magnificenza garage-glam di Round and Round. Dentro c’era un sacco di roba, forse più di quanta ne servisse: un attacco a due chitarre vivace e prepotente, uno swing elegante di piatti, una citazione letteraria d’alto livello da parte del cantante Stephen Pearcy, la leggenda della comicità Milton Berle che nel video compare in abiti femminili e un registro sorprendentemente vulnerabile nel testo, in particolare la strana abnegazione evocata da Pearcy: “Abbiamo stretto la cinghia, abusato di noi stessi”. Ma ehi: basta che funzioni, cari sexy roditori. Ne è uscita la hit più orecchiabile di tutta l’era del metal orecchiabile. (J.D.)
Peace Sells
Megadeth
1992La title track dell’album della svolta dei Megadeth è una risposta a chiunque pensi che i metallari non siano intelligenti. “Cosa vuoi dire, che non sono gentile?”, declama sprezzante Mustaine nel testo. “Semplicemente non sono il tuo tipo”. Con la linea di basso jazzata di David Ellefson, il ritmo incalzante della batteria di Gar Samuelson, lo shredding e il crunch mozzafiato delle chitarre di Mustaine e Chris Poland, Peace Sells è stata una chiamata alle armi perfetta per la generazione MTV e ha reso i Megadeth protagonisti della nascente scena thrash. «L’ho scritta perché ero stanco di gente che prendeva in giro il metal e i metallari», ha spiegato Mustaine a Rolling Stone. «Non sopportavo il modo in cui venivamo ridotti a uno stereotipo in tv, manco fossimo degli idioti. Molti musicisti sono intelligenti e di talento, è un peccato siano stati dipinti in modo stereotipato». (A.B.)
Immigrant Song
Led Zeppelin
1970Molti gruppi rock dei primi anni ’70 sembravano e si comportavano da vichinghi. I Led Zeppelin erano tra i pochi in grado di scrivere una canzone sui vichinghi, quelli veri. Vera e propria anomalia di Led Zeppelin III, che è un album per lo più folk e in gran parte acustico, questo inno da battaglia è stato ispirato da una visita in Islanda (“Arriviamo dalla terra del ghiaccio e della neve”, canta Robert Plant). L’ode degli Zep alla mitologia norrena rimane, sia musicalmente che a livello di testo, un capolavoro metal in tutto e per tutto. «Immigrant Song è praticamente un classico pulp con i suoi ritmi da bulldozer e le voci raddoppiate che rimbombano dietro a quella principale», scriveva Lester Bangs. «Come una specie di coro cannibale che urla nella luce infernale di un selvaggio rito di fertilità». Il Valhalla attende! (D.F.)
Back in Black
AC/DC
1980Back in Black è forse la presa di coscienza più grande e selvaggia della storia del rock. Pubblicato appena cinque mesi dopo la morte di Bon Scott, il frontman degli AC/DC che aveva cantato Highway to Hell come fosse un presagio, il pezzo spiega che il prezzo del peccato può essere la morte, eppure si continua diritti per la propria strada. Quando Angus e Malcolm Young hanno chiesto al nuovo cantante Brian Johnson di scrivere un bel tributo al suo predecessore, lui ha risposto scherzando: «Zero pressione, eh?». Ma non si è tirato indietro. “Ho nove vite”, urla, “abuso di tutte e corro a perdifiato”. Nonostante l’argomento funereo e l’incombente ombra della morte (e la copertina nera alla Spinal Tap), Back in Black suona viva e spontanea. (G.H.C.)
Hallowed Be Thy Name
Iron Maiden
1982Immaginate un prigioniero che contempla i suoi ultimi momenti di vita prima di essere portato al patibolo, provando dolore e ansia crescente. Ora immaginate che questa storia vada avanti per sette minuti e che sia interpretata da Bruce Dickinson in modo irrimediabilmente drammatico, accompagnato da una musica lenta e cupa ideata dal bassista Steve Harris. Questa è la maestosa Hallowed Be Thy Name, che chiudeva l’LP The Number of the Beast. L’effetto della canzone è cinematografico: la desolazione del protagonista si trasforma in panico, mentre la musica fa aumentare la tensione con lentezza. Una volta hanno chiesto a Harris «se qualcuno che non ha mai sentito i Maiden prima d’ora (qualcuno che arriva tipo da un altro pianeta) ti chiedesse dei Maiden, cosa gli faresti ascoltare?». La risposta: Hallowed Be Thy Name. (A.B.)
Angel of Death
Slayer
1986Col suo attacco violentissimo, i testi spietatamente espliciti e l’atteggiamento tipo non-ci-importa-un-cazzo-di-niente, Angel of Death è la quintessenza della canzone degli Slayer, per non dire uno degli inni thrash metal più importanti di sempre. Scritta dal compianto Jeff Hanneman sul tema degli esperimenti atroci condotti da Josef Mengele sui prigionieri di Auschwitz, il brano ha ripetutamente attirato accuse di antisemitismo e di simpatie naziste. La band ha spiegato che va preso come una sorta di documentario sugli orrori dell’Olocausto, non come una sua celebrazione. In ogni caso, Angel of Death è stata l’ultima canzone che gli Slayer hanno suonato sul palco, chiudendo l’ultimo show del loro tour di addio del 2019 in modo adeguatamente feroce. (D.E.)
Stargazer
Rainbow
1976Le canzoni-simbolo di Ronnie James Dio saranno anche Heaven and Hell e Holy Diver, ma Stargazer rappresenta la sua migliore performance vocale su disco. «L’ho scritta al violoncello», ha detto a Guitar World Ritchie Blackmore. «Tra il ’75 e il ’78 avevo mollato la chitarra. Avevo perso ogni interesse. Ero stufo di sentire altri chitarristi ed ero stanco dei miei brani. Volevo solo essere come Jacqueline du Pré al violoncello, così ho iniziato a suonarlo». Fortunatamente, Blackmore ha cambiato idea e si è unito a Dio per formare i Rainbow. In Stargazer, i riff e gli assolo mediorientaleggianti di Blackmore sostengono il racconto di Dio, che narra di un mago ossessionato dalla costruzione di una torre alta fino alle stelle a spese di masse di cittadini schiavizzati, in pratica una rappresentazione vivida della follia. (A.B.)
Paranoid
Black Sabbath
1970Scritta e registrata in poco più di quanto ci si mette ad ascoltarla, Paranoid è stata aggiunta all’ultimo minuto al disco omonimo del 1970 ed è diventata un successo inaspettato su entrambe le sponde dell’Atlantico. Con il suo riff iniziale, i ritmi incalzanti e i testi sconvolgenti, Paranoid non è solo un inno metal immortale, è anche una pietra miliare per gruppi punk come Ramones e Dickies. «Siamo rimasti scioccati pure noi quando la canzone è entrata in classifica», ha detto Tony Iommi a MusicRadar nel 2010. «Abbiamo pensato: porca miseria, stiamo cercando di fare tante altre cose musicalmente e poi un pezzo semplice come Paranoid entra in classifica». (D.E.)
Cult of Personality
Living Colour
1988È difficile parlare dei Living Colour senza tirare in ballo la politica, un po’ per ciò che significava essere dei neri che facevano hard & heavy nell’America di Reagan, un po’ perché Cult of Personality, come ha sottolineato Greg Tate, «è riuscita nell’impresa di far passare un campionamento di Malcolm X in radio». I testi accostano Mussolini a Kennedy e Stalin a Gandhi, ma le mazzate più forti arrivano dalla chitarra di Vernon Reid, con un riff che lui stesso ha descritto «alla Led Zeppelin, ma anche un po’ alla Mahavishnu Orchestra». (J.D.C.)
One
Metallica
1988Negli anni ’80 processare i traumi causati dalla guerra era diventato un bel business, si vedano i casi di M*A*S*H, Rambo, Platoon e Born in the U.S.A. I Metallica hanno portato le atrocità della guerra alla loro conclusione logica con One dove cantano d’un soldato della Prima guerra mondiale con pensieri suicidi: ha perso le braccia, le gambe e la capacità di parlare a causa di una mina antiuomo (l’ispirazione arriva in parte dal romanzo di Dalton Trumbo E Johnny prese il fucile). Con il suo video, che ha portato su MTV immagini tratte dall’adattamento cinematografico del film di Trumbo, e i suoi sette minuti di durata (che possono tranquillamente competere con Stairway to Heaven e Free Bird) dal climax cupo e metallico, One ha catapultato i Metallica verso la celebrità. Ancora oggi, ascoltando quelle chitarre, le mitragliate di cassa di Lars Ulrich e l’assolo coreografato perfettamente di Kirk Hammett, si vorrebbe solo fuggire: forse non esiste un modo migliore di avvicinarsi al metal e al suo desiderio di ribellione. (G.H.C.)
Run to the Hills
Iron Maiden
1982Dopo la separazione da Paul Di’Anno, gli Iron Maiden hanno reclutato l’ex cantante dei Samson, Bruce Dickinson. Dopo un concerto un fan si lamentò, scrive Dickinson nella sua autobiografia. «Diceva di avere sentito le sue canzoni preferite cantate con un ululato che sembrava una “sirena antiaerea”». Il manager Rod Smallwood ha capito che l’ululato caratteristico del nuovo cantante non era un problema, ma una caratteristica su cui puntare e si è subito attivato per dargli tutta l’esposizione che meritava. L’ha fatto con il primo singolo dell’album dei Maiden del 1982, The Number of the Beast, un’epopea western con tanto di assolo esplosivo di wah-wah (per gentile concessione del chitarrista Dave Murray) e parti di batteria killer di Clive Burr. Ma è l’urlo finale “Run / for / your / liiiiii-vvv-esssss” che ha trasformato la canzone in un inno metal e ha costituito la presentazione perfetta per la nuova voce dei Maiden. «Certe canzoni te lo senti nelle ossa che saranno grandissime». (D.F.)
Holy Diver
Dio
1983Dopo essersi fatto una reputazione come frontman dei Rainbow e avere sostituto di Ozzy Osbourne nei Black Sabbath, Ronnie James Dio ha lanciato nell’83 la sua band. Holy Diver è il primo singolo dei Dio e ha gettato le fondamenta per una carriera trentennale piena di demoni, draghi e arcobaleni. Il pezzo è stato registrato col futuro chitarrista dei Def Leppard Vivian Campbell, il bassista Jimmy Bain e il batterista dei Black Sabbath Vinny Appice. Ronnie James Dio ha scritto un brano che parla di una figura simile a Cristo, ma su un altro pianeta, che si sacrifica gettandosi in un salto suicida destinato a trasportare la sua anima in un altro mondo. «Ma la gente del suo pianeta, che rappresenta noi come umanità, dice: “Non andare! Ti uccideranno!”», ha scritto Dio nelle note di copertina del suo album Stand Up and Shout. «Quello che vogliono dire, in realtà, è: “Ehi, siamo tutti bastardi egoisti”, proprio come la maggior parte degli esseri umani, e “Ti vogliamo tutto per noi”. In altre parole: “Fanculo agli altri, resta con noi”. È lo specchio degli abissi interiori più oscuri dell’umanità». (A.G.)
Raining Blood
Slayer
1986Raining Blood incarna l’essenza del metal: atmosfera, potenza, magnificenza, trascendenza. E, in questa canzone magnifica in tutto il suo orrore, c’è anche della vera poesia per gentile concessione di Jeff Hanneman: “Cadono su di me le lacrime cremisi del cielo / Cancellano le regole scolpite nella pietra”. Queste parole, pronunciate con gran chiarezza dal cantante-bassista Tom Araya, esaltano un arrangiamento progressivo che impegna a fondo il batterista Dave Lombardo, a partire dalla sezione iniziale sui tom, durante il temporale dell’intro, fino al climax violento e grandguignolesco. Si torna poi bruscamente al temporale in chiusura. «L’introduzione è grandiosa, con la parte di armonia a due chitarre, e poi il primo tempo che Dave tiene, quello con la doppia cassa, è come una galoppata all’indietro che fa sempre scatenare la folla, ovunque siamo», ha detto il chitarrista Kerry King a Decibel. «È roba che piacerebbe anche il pubblico di Alanis Morissette». (A.B.)
Iron Man
Black Sabbath
1970Minaccioso, imponente, ma talmente semplice che anche un chitarrista alle prime armi può suonarlo: il riff di Tony Iommi in Iron Man è l’essenza della heavyness anni ’70. «Era la cosa più heavy che avessi sentito», dice Geezer Butler nelle note di copertina dell’edizione super deluxe di Paranoid, «e ho voluto che questo si riflettesse nei testi». Prendendo spunto dall’osservazione di Ozzy Osbourne che il riff di Iommi «suonava come un grosso tizio di ferro che cammina per la città», Butler ha immaginato un antieroe di metallo, i cui tentativi di salvare il mondo si traducono solo in alienazione e distruzione simboleggiate dal rave-up imponente che chiude quest’inno immortale (e il primo lato dell’LP Paranoid del 1970). (D.E.)
Crazy Train
Ozzy Osbourne
1980Crazy Train ha segnato per Ozzy una linea di demarcazione tra i tempi dei Black Sabbath e la sua carriera da solista, e ha indicato la direzione che il metal avrebbe imboccato nel nuovo decennio. I temi affrontati nel testo (dalla malattia mentale allo spettro dell’olocausto nucleare) erano familiari agli headbanger degli anni ’70, ma la musica era più brillante, più incisiva e contraddistinta dallo shredding eccezionale (che ben presto avrebbe fatto scuola) del nuovo guitar hero Randy Rhoads. «Lo conoscevo da pochissimo», ha detto Ozzy di Rhoads. «Ma quello che m’ha dato, in quel breve lasso di tempo, è stato incredibilmente grande, cazzo». Impossibile dire il contrario dopo avere ascoltato questa canzone. (D.E.)
War Pigs
Black Sabbath
1970Chi pensa che nel metal non ci sia spazio per la politica, deve avere una copia parecchio rovinata di Paranoid dei Black Sabbath, dato che non ha fornito solo l’ispirazione per tanti riff heavy presenti in questa lista, ma è anche un esempio perfetto di contestazione contro la guerra del Vietnam. Questo senso di conflittualità politica emerge in particolare in War Pigs, che col suo riff martellante e un ritmo incalzante non dà scampo ai politici avidi che hanno mandato a morire dei poveri ragazzi. È un tema che tornerà nel metal dei decenni a venire, dai Metallica ai Bolt Thrower. Il pezzo si chiude con una visione di vendetta apocalittica di Ozzy Osbourne, con Dio e Satana che si incontrano per reclamare ciò che gli uomini assetati di potere hanno rovinato, prima che la chitarra di Tony Iommi parta all’attacco. «I politici sono i veri satanisti, ecco cosa stavo cercando di dire», ha spiegato quasi mezzo secolo Geezer Butler. (G.H.C.)
Breaking the Law
Judas Priest
1980La prova che nel metal la parsimonia può essere efficace quanto la grandiosità. Con Breaking the Law, uscito quando la New Wave of British Heavy Metal era all’apice, questi veterani anni ’70 hanno dimostrato ai loro coetanei più giovani, più svelti e più rumorosi d’essere ancora in grado di comunicare l’irrequietezza adolescenziale. Breaking the Law è rabbia, catarsi e orecchiabilità pop, il tutto ben inguainato in pelle lucida e borchie cromate. Quando Rob Halford urla “Non sai com’è!”, coi vetri che vanno in frantumi e le sirene che strillano in sottofondo, è impossibile non percepire la sua frustrazione. «Capita a tutte le band di suonare una certa canzone per anni, al punto di stufarsi di farla», ha detto il chitarrista Glenn Tipton a Decibel. «Ma quando sali sul palco e il pubblico è lì per te, non puoi mai stancarti di un pezzo come Breaking the Law… suonarlo è più esaltante che mai». (A.B.)
Ace of Spades
Motörhead
1980La New Wave of British Heavy Metal ha segnato il momento in cui la musica, da lenta e pesante, è divenuta veloce e furiosa. Poche canzoni come Ace of Spades incarnano in modo così palese questo cambio di passo. Ascoltando le linee di basso di Lemmy e il galoppare folle della batteria con doppia cassa di Phil “Philthy Animal” Taylor, è chiaro che la band stava spingendo a tavoletta. Anche se molti fan levavano le corna al cielo sentendo versi come “Non voglio vivere per sempre”, Lemmy poi ci ha ripensato e ha detto al giornalista Mick Wall che «in realtà, mi piacerebbe morire l’anno prima dell’eternità. Per evitare la calca». (J.D.C.)
Master of Puppets
Metallica
1986I Metallica avevano già esercitato un’influenza notevole sul metal aggiungendo un tocco americano alla New Wave of British Heavy Metal e contribuendo alla nascita del thrash. La title track del loro terzo album ha portato altre sfumature e complessità al loro assalto sonoro, aprendo l’intero genere a nuove possibilità. I colpi di scena sono entusiasmanti: dalle strofe cariche di energia fino alla sezione centrale cupa, dal bridge fragoroso da urlare tutti insieme fino all’assolo infuocato di Kirk Hammett. «Quando ascolto la radio e passa qualcosa di Master of Puppets, mi stupisco di quanto suoni ancora attuale e moderno», ha detto Hammett. «Non è una cosa che succede spesso». (A.B.)
Black Sabbath
Black Sabbath
1970Il metal è nato, come è giusto che sia, per via di un incubo. «Stavo dormendo e ho sentito qualcosa nella stanza, come una strana presenza», ha detto Geezer Butler, parlando della genesi di Black Sabbath. «Mi sono svegliato nel mondo dei sogni e c’era questa cosa nera, in fondo al letto, che mi fissava… uno spavento». Erano un paio d’anni che la band di Butler, allora conosciuta come Earth, stava cercando di sfondare sulla scena heavy blues di Birmingham, in Inghilterra. Ha svoltato quando ha deciso di abbracciare l’idea di scrivere canzoni in grado di spaventare gli ascoltatori, come i film dell’orrore. Il chitarrista Tony Iommi ha suonato tre accordi sinistri e Osbourne ha provato a immaginare il demone descritto da Butler che lo scrutava: “Cos’è questa cosa davanti a me?”. Hanno battezzato la canzone Black Sabbath ispirandosi al film horror omonimo di Boris Karloff, il nome è piaciuto a tal punto da adottarlo per la band. Finalmente avevano una canzone davvero heavy e, dopo che il produttore Rodger Bain ha aggiunto all’intro il rumore di un temporale e i rintocchi di una campana, Black Sabbath è diventato un classico del metal. Oggi la canzone sprigiona la stessa maestosità grezza e infernale di allora, è spaventosa e allo stesso tempo divertente. È la sensazione che tutte le band metal inseguono da sempre e che ancora regna sovrana. (K.G.)
Schede di Adrien Begrand, J.D. Considine, Grayson Haver Currin, Jon Dolan, Dan Epstein, David Fear, Sarah Grant, Andy Greene, Kory Grow, Hank Shteamer, Brittany Spanos
Da Rolling Stone US.