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Le migliori canzoni di Michael Jackson

A dieci anni dalla morte del Re del Pop, ricordiamo la sua carriera leggendaria attraverso i diamanti più belli della sua corona, hit immortali che hanno fatto ballare il mondo

Foto via Facebook

Il 25 giugno 2009 moriva Michael Jackson, probabilmente il più grande artista pop che sia mai vissuto, con una carriera che ha occupato più di quarant’anni sui soli cinquantuno che ha vissuto. Vera stella della fiaba firmata Motown con i Jackson 5, cantante solista inarrivabile nei 70’s, artista all’avanguardia nell’epoca di MTV e voce immortale dietro agli unici dischi capaci di vendere decine di milioni di copie negli anni Novanta. Abbiamo attraversato un catalogo dalla vastità impressionante, per scegliere i diamanti più preziosi nella corona del Re del Pop.

10. “Rock With You” da Off the Wall, 1979

«La maggior parte della musica dance uptempo è minacciosa, ma a me piaceva il corteggiamento, la gentilezza, prendere una ragazza timida e lasciare che sia lei a sbarazzarsi delle sue paure anziché costringerla a farlo», ha ricordato Jackson, parlando di Rock With You. Probabilmente ultimo grande successo dell’era disco, questa hit da classifica rimane uno dei più grandi esempi di seduzione dell’r&b moderno, un modello per tutti gli aspiranti dongiovanni della mirror ball, tra i suadenti arrangiamenti d’archi e il suono in cui convivono una melodia di seta e un groove capace di mandare a fuoco la pista. «Canzoni come Rock With You mi hanno spinto a diventare un performer», ha detto Usher nel 2009. È stata la prima canzone scritta per Jackson da quello che diventò uno dei collaboratori chiave Rod Temperton, scelto su suggerimento di Quincy Jones. (Temperton ha scritto, tra gli altri, anche Thriller, Off the Wall, Burn This Disco Out, Baby Be Mine). Il video – in cui si vede soltanto Jackson mentre sfoggia la sua magia, vestito d’argento e contornato da laser e fumo – mostra un’artista poco più che bambino, ma che ha già capito come diventare una leggenda.

9. “Black or White” da Dangerous, 1991

Una chiamata all’unita razziale che riuscì in ciò che predicava attraverso la combinazione perfetta tra la spavalderia del classic rock e il tiro r&b, Black or White è la canzone migliore prodotta da Jackson negli anni Novanta. «Fino a quel momento pensavo che la sua roba rock fosse una specie di fumetto», disse Bill Bottrell, che ha co-prodotto e scritto il brano insieme a MJ. Il riff in stile Stones fu un’idea di Jackson, che lo canticchiò a Bottrell in studio. «L’ho trasformato in una cosa southern-rock, una vera melodia gutbucket», ricorda Bottrell. Anche l’idea della parte ritmica così pesante fu di Jackson. «Io decisi di aggiungerci un sacco di percussioni, compresi campanacci e shaker», ha detto Bottrell, «cercando di tirare fuori il massimo dal groove». Piuttosto che chiamare un vero e proprio MC hip-hop, Jackson lasciò che fosse Bottrell a occuparsi della parte di conscious rap del bridge della canzone. Tuttavia sono le parti di Jackson a fare la differenza nella canzone, una combinazione devastante tra puro pop e energia pura. La performance vocale originaria era molto grezza, ma Jackson – perfezionista del suono che riregistrava continuamente, anche quando il risultato era eccellente – decise di mantenerla esattamente com’era.

8. “Beat It” da Thriller, 1982

Una miscela visionaria di hard rock e disco, con il solo fuori di testa di Eddie Van Halen. Con il suo video da jungla urbana, Beat It fu passata dalle radio rock così come da tutte le altre emittenti, raggiungendo la prima posizione appena sette giorni dopo che Billie Jean aveva chiuso le sue sette settimane in cima alle classifiche. Beat It è stata l’ultima canzone ad essere aggiunta a Thriller, appena prima che il disco venisse mandato in stampa. Come ha raccontato Quincy Jones a Rolling Stone: «Mentre finivamo Beat It avevamo tre studi di registrazione aperti, in uno c’era Eddie Van Halen, in un’altro Michael che cantava la sua parte dentro un tubo di cartone e poi quello in cui mixavamo. Stavamo lavorando da cinque giorni e cinque notti ininterrottamente, senza dormire. Ad un certo punto, le casse andarono in sovraccarico e presero fuoco». L’unica persona a non fuggire fu David Lee Roth dei Van Halen, che iniziò a tossire, dicendo: «Cosa ha fatto Edward con Michael Jackson? È arrivato e ha suonato lo stesso fottuto assolo che ha fatto nella band negli ultimi 10 anni. Che affare!».

7. “Wanna Be Startin’ Somethin” da Thriller, 1982

Originariamente scritta durante le sessioni di Off the Wall, la traccia che apriva Thriller suonava come una dichiarazione di intenti. Utilizzando il canto africano “ma ma se ma ma sa ma ma ku sa” che il sassofonista camerunense Manu Dibango aveva inserito nella sua hit del 1972 Soul Makossa, Jackson regalò al brano un appeal universale, omaggiando le proprie radici con una mossa che anticipava di decenni il lavoro di campionamento dei grandi maestri dell’hip hop. Per prima cosa il brano è una bomba da dancefloor, “qualcosa con cui puoi divertirti e sudare in pista”, come disse Jackson. Tuttavia la canzone possiede anche un lato oscuro nel testo e nella tensione dell’interpretazione vocale. Tra il turbinio dei synth, il percussionista brasiliano Paulinho da Costa, il groove di batteria, la traccia non smette mai di stravolgere l’ascoltatore. Infatti, se Off the Wall è stato il momento più alto della pop disco, questo brano è il primo grande esempio di musica dance poliglotta – in pratica di ciò che è diventato il pop oggi.

6. “Smooth Criminal” da Bad, 1987

Nonostante fosse già una delle più grandi e amate pop star al mondo, non tutti apprezzarono il fatto che Michael Jackson uscisse con una canzone costruita sulla stessa aggressività sfoggiata per Beat It in Thriller. Lui e Quincy Jones, stando a quanto riportato, spinsero tantissimo per inserire Smooth Criminal in Bad, e alcuni membri anziani dei Testimoni di Geova – di cui Jackson all’epoca faceva parte – espressero tutto il loro disappunto per le immagini violente del video. Tuttavia Jackson mantenne salde le sue posizioni per quella che rimane la migliore miscela tra groove r&b e attitudine rock mai prodotta durante la sua carriera, per cui questa canzone rappresenta un punto di svolta verso lavori più scuri e taglienti. In parte ispirato alla storia di Richard Ramirez, serial killer della metà degli anni Ottanta, Smooth Criminal fu messa in giro già nel 1985, in versioni diverse, prima intitolata Chicago 1945, poi Al Capone; entrambe erano caratterizzate da una raffica di basso accompagnata da un sintetizzatore devastante. Il battito del cuore che si sente sullo sfondo è quello di Jackson, riprodotto con un Synclavier, e contribuisce a rendere ancora più inquietanti le grida di “Annie, are you OK?”.

5. “Shake Your Body (Down to the Ground)” da Destiny, 1978

Questa canzone rappresenta il momento in cui Michael Jackson si trasformò dal lead singer di una boy band di successo a Re del Pop – o quanto meno nel suo giovane principe. Prendendo la proto-disco di Dancing Machine dei J5, una dose di soul in stile Sly and the Family Stone e un tocco di synth ispirati al funk di Stevie Wonder, il brano scorre sotto la voce frenetica e post adolescenziale di Jackson, ancora ricca di falsetti e le urla inconfondibili. Significativamente, Destiny è stato il primo LP autoprodotto dal gruppo di fratelli, che si era ribattezzato Jacksons (in seguito alla separazione dal fratello maggiore Jermaine e il loro addio alla Motown). La canzone raggiunse ‘soltanto’ la posizione numero sette in classifica, ma ciò non ha condizionato la profonda influenza che ha avuto nella storia del pop. Sarebbe stata campionata da Rob Base e DJ E-Z Rock in Get on the Dance Floor e in tantissimi altri successi hip hop. Nel 2013 Justin Timberlake – uno che a MJ deve tantissimo – ne realizzò una cover.

4. “I’ll Be There” da Third Album, 1970

“Just look over your shoulders, honey!”, grida Jackson a metà di I’ll Be There, citando senza volerlo un altro successo della Motown, Reach Out I’ll Be There dei Four Tops. Un errore, tuttavia, che ha reso la sua performance ancora più grandiosa – aveva appena undici anni quando registrò, cantava di emozioni che non poteva aver ancora provato, tuttavia con una potenza e un fuoco di un uomo che ha già vissuto tutta la sua vita. Riscritta basandosi su una demo registrata dal turnista Bob West e con un arrangiamento vocale di Willie Hutch, I’ll Be There contiene anche una parte di Jermaine Jackson sul bridge. Il brano diventò il loro quarto numero 1 consecutivo e il singolo più venduto della Motown fino a quel momento, I’ll Be There dimostrò che le canzoni dei Jackson 5 potevano essere molto più profonde delle hit da party dei primi anni, oltre che le radici gospel che ancora influivano sulla loro musica. In Moonwalk Jackson definì il brano “la nostra vera canzone di svolta, fu quella che disse: ‘Siamo qui per restare'”.

3. “Don’t Stop ‘Til You Get Enough” da Off the Wall, 1979

Jackson ha definito la prima traccia di Off the Wall “la mia prima grande occasione”, e non stava scherzando. Sei minuti di gioioso pop funk che sfrecciano come un jet, Don’t Stop ‘Til You Get Enough diventò una hit impossibile da fermare e, allo stesso tempo, un pilastro nella vita creativa di Michael Jackson. “Quella canzone significa tantissimo per me”, ha scritto nel suo memoriale Moonwalk, “perché è stata la prima canzone che scrissi per intero”. Infatti, quel brano rappresentava il nuovo approccio di Jackson alla musica. Non solo fu lui a scrivere il brano, ma registrò tutte le seconde voci, ideò l’intro parlato (“per creare tensione e sorprendere le persone”, raccontò). Insieme al fratello Randy suonò anche le bottiglie di vetro che diedero alla canzone quello strano effetto ritmico. Quando sua madre, Katherine, commentò lo sfondo sessuale di versi come “”Ain’t nothing like a love desire. . . . I’m melting like hot candle wax,” Michael rispose: «Beh, se credi intenda qualche significato sporco allora significherà questo. Ma non è questo il modo in cui l’ho inteso io».

2. “I Want You Back” da Diana Ross Presents the Jackson 5, 1969

Dal pianoforte in caduta libera che da il via al brano, I Want You Back è un saliscendi emotivo devastante – già partendo dal fatto che, nel 1969, questa hit era cantata da un ragazzino. Michael infatti aveva 11 anni quando registrò il brano, anche se la Motown affermava otto. Deke Richards, Freddie Perren e Fonce Mizell inizialmente scrissero la canzone come una demo da girare a Gladys Knight and the Pips, intitolata I Wanna Be Free, Il boss della Motown, Berry Gordy, aiutò a riscriverla per il gruppo di fratelli di Gary, Indiana, che aveva appena firmato; con lo pseudonimo The Corporation, i quattro autori continuarono a scrivere i successi che lanciarono la carriera dei Jackson 5. I Want You Back non fu il primo singolo dei Jackson 5 – era stato lanciato Big Boy, ma solo localmente – tuttavia rappresentò il loro debutto a livello nazionale: una canzone irresistibile con un arrangiamento brillante, capace di lasciare spazio alla voce di Michael, che domina il brano come una cavalcata dall’inizio alla fine. Questa canzone rimarrà un appuntamento fisso per tutti i concerti durante la carriera di MJ.

1. “Billie Jean” da Thriller, 1982

La più grande canzone di Michael Jackson è una raccolta di tutte le contraddizione che hanno costellato la sua musica: esuberanza giovanile, nervi a fior di pelle e pura grazia fisica. In Billie Jean, come raccontò a Rolling Stone all’epoca, Jackson parlava delle proprie paranoie sessuali, quelle di una megastar planetaria di 24 anni: «Ragazze nelle lobby, sulle scale. Puoi sentire la sicurezza che le tira fuori dagli ascensori. Ma rimani chiuso nella tua stanza e scrivi una canzone. E quando ti stanchi di questa cosa, rifletti con te stesso. Poi lasci tutto andare sul palco». Anche se Billie Jean è stata una delle prime canzoni scritte da MJ per Thriller, lui e Quincy Jones hanno continuato a lavorarci sopra fino all’ultima fase del master. La linea di bassi, profonda chilometri, arriva dall’alfiere del funk Louis Johnson dei Brothers Johnson. Il batterista Ndugu Chancler creò la sua parte basandosi su quella originale creata da jackson su una drum machine, mentre l’inquietante parte di lyricon venne suonata dal veterano del jazz Tom Scott. Lunga cinque minuti, Billie Jean ha il tocco raffinato della disco miscelata all’epica del classic rock. Quincy Jones era preoccupato che l’intro fosse troppo lung: «Ma [Jackson] disse, ‘questa è la ciliegina sulla torta, è la parte che mi fa venire voglia di ballare’». Ed è da allora che il mondo non ha mai smesso di ballare tutte le volte che parte Billie Jean.

Fuori classifica. “Thriller” da Thriller, 1982

L’epico video realizzato per la title track dell’album bestseller di Jackson è diventato così iconico quasi da oscurare la canzone stesso, uno dei pezzi più strani mai pubblicati da MJ. Scritta da Rod Temperton, la canzone fu inizialmente intitolata Starlight, fin quando Quincy Jones chiese a Temperton un altro titolo. «La mattina dopo mi sono svegliato, e ho semplicemente detto questa parola, thriller», ha raccontato Temperton. «Scatto qualcosa nella mia testa, “Questo è il titolo, mi sono detto”, e già potevo vederlo in cima alle classifiche». Temperton rimise mano ai testi, basandosi sull’amore di Jackson per i film horror. Il brano portò gli elementi funky di Off the Wall a un livello superiore, più teatrale, arricchendoli di elementi ‘soprannaturali’ – tra ululati di lupi mannari e lo scricchiolio delle bare – con l’inquietante performance dell’attore Vincent Price (amico di Peggy Lipton, all’epoca moglie di Jones), che registrò la sua parte vocale in appena due take. Ma le stranezze legate a Thriller non finiscono qui: durante le sessioni di mixaggio, il boa constrictor lungo otto metri di Jackson, Muscles, strisciava sulla consolle. Ultimo dei sette singoli estratti dall’album Thriller, la canzone raggiunse la posizione numero quattro in classifica.

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