Negli anni ’80 le città italiane pullulavano di gioventù nerovestita. Al sabato pomeriggio specialmente, quando scattava la migrazione dalle piccole e medie località verso i capoluoghi, lungo le vie dei centri sciamavano schiere di ragazzi e ragazze dall’aspetto funereo, sfoggianti spolverini e palandrane, accessori mortuari o devozionali, gramaglie assortite, volti diafani e magrezze ulteriormente svettanti grazie a chiome acrobaticamente impalcate. Erano i cosiddetti dark, filiazione all’italiana del movimento che oltremanica veniva denominato goth. E avevano una loro musica.
Come già ricordato, il gothic inglese era imperniato sull’evocazione di malessere esistenziale, malinconia, spleen, nichilismo. Il dark italiano cercava di seguire pedissequamente ciò che accadeva oltremanica, ricalcando paro paro le gesta sonore di Joy Division, Cure o Siouxsie and The Banshees. La differenza la faceva in qualche caso l’uso della lingua italiana e, in generale, una sorta di passione tutta nostrana che andava a scaldare le gelide trame dello stile, oltre a un’atmosfera che a tratti sembra riprendere le pagine più crepuscolari della nostra letteratura. Questi 10 album, nei quali si mette in scena un teatro morboso di ombre e appassionati tormenti, lo confermano.
Trasfigurazione
Carillon del Dolore
1984I Carillon del Dolore sono giovanissimi, conturbanti, irresistibilmente attratti dai bassifondi dell’animo umano e dotati di un forte senso del teatro, coadiuvati da scenografie e coreografie. Trasfigurazione è il prodotto perfetto per quella gioventù italiana che scelse di riconoscersi sotto i mortiferi vessilli del dark. Non ci sono dubbi che brani come Crimine di passione o Escono il coro e gli attori avranno fatto torcere di spleen adolescenziale legioni di apprendisti gotici dentro le loro camerette. Più che un disco un documento storico.
Siberia
Diaframma
1984Siberia è un inverno dell’anima, riscaldato dai bagliori di amori nevrotici, eccitato da fugaci passioni intellettuali. Un viaggio al termine della notte grazie al quale si può sprofondare dentro locali sotterranei, sfiorando senza coglierne i dettagli altre sagome lungo le scale, con il miraggio di danze dionisiache in cripta, nella luce grigia della stanza di un hotel a ore in un’alba novembrina. Con ad echeggiare sullo sfondo, come un mare notturno, la tentazione al suicidio. Disco rilevantissimo, caposaldo e manifesto stilistico.
Presence in Absence
Death in Venice
1985Con base a Venezia, i Death in Venice mantengono un solido ancoraggio con il sound d’oltremanica di matrice post punk, spunti di tambureggiante parossismo e una sottotraccia di nevrastenia. Ma via via lascia trasparire possibili fascinosi sviluppi, tra reminiscenze bowiane, sensuali rarefazioni e addirittura squarci psichedelici, sebbene in modalità debitamente sinistre. Per un breve periodo pare debbano fare il gran salto. Pier Vittorio Tondelli, al tempo un’autorità in materia di cultura e costume, scrive entusiasticamente di loro. E invece nulla: senza drammi e clamori arriva la fine.
Rituals
Neon
1985I fiorentini Neon mettono in campo riferimenti che vanno dai primi Ultravox! agli Human League e un livello alto di produzioni che decretarono il loro divenire gruppo di punta della scena new wave italiana. Rituals non ha un solo momento di debolezza o di stanca, otto brani ossessivi e ipnotici a creare una dark dance colta, con acute sperimentazioni su chitarre e tastiere. Rituals crea inoltre un ponte con il rock del passato includendo una straniante cover della hendrixiana Burning of the Midnight Lamp.
Tantra
Thelema
1985Nei Thelema atmosfere tetre ed evocanti un romanticismo da tregenda si alternano con accelerazioni gothic punk. A fare la differenza provvede il flauto. Pensandoci, per ottenere il perfetto gruppo dark sarebbe bastato fondere, sia musicalmente che visivamente, i Cure della trilogia gotica con i Sisters of Mercy fino a First and Last and Always. Ecco, a risentire i Thelema di Tantra l’effetto è grosso modo questo.
The Colours of Ice
Weimar Gesang
1985Attivi fin dai primissimi anni ’80, i Weimar Gesang manifestano fin da subito i loro modelli: Joy Division, Bauhaus, Cure, Banshees, con chitarre “liquide” ma serrate e tastiere atmosferiche. Vengono in mente i Sad Lovers and Giant, ma anche i Sound di Adrian Borland o i primi, arcani Echo and The Bunnymen. Ma i Weimar Gesang comprendono anche il crescente peso del clubbing e inquadrano il tutto in una cornice di geometrie danzabili prossime ai New Order e agli exploit commerciali new romantic dei Visage. Un disco dark poco meno che perfetto.
Colloquio
Le Masque
1986Le Masque sono autori di una personalissima via al genere, con testi in italiano, riferimenti alle pagine più tormentate del cantautorato genovese e a certa musica cameristica novecentesca il cui fluire, sospeso e raccolto, precipita l’ascoltatore in suggestivi scorci di inizio secolo. Non mancano riferimenti al ramo colto della wave, dai This Mortal Coil ai Tuxedomoon. Ma ciò che rende imprescindibile il loro esordio è l’assoluta coerenza dei testi, con uno stile potentemente letterario. Il recitato tratto dal poema Un giorno, del crepuscolare Carlo Vallini, adagiato sull’elegante flusso luttuoso, mette subito in chiaro dove si andrà a parare.
In Limbo
Limbo
1986Una porta cigolante ci introduce direttamente alla title track, all’epoca buon successo anche in pista, tra incedere robotici e pulsazioni elettroniche. Una sintesi tra le suggestioni morbose e necrofile della scuola britannica e le folate di elettro-galaverna di stampo nordeuropeo.
Andrew Woodhouse
Rosemary’s Baby
1986I Rosemary’s Baby pubblicano tre lavori in poco più di due anni in cui vengono toccate tutte le trame sonore che diverranno il ricettario dell’intero comparto esoterico-ambient-industrial nei decenni successivi: campionamenti e colonne sonore horror rivisitate, strumenti etnici e sciamanici e feedback chitarristici, formule rituali e repentini scorci melodici dai sentori vintage, ricorso alla tecnica del field recording, vellutata sensualità, ieraticità cerimoniale, clangori, pianti, urla. In Andrew Woodhouse emerge una delle più devastanti e disturbanti cover di The End dei Doors mai concepite.
Eclipse - Das Schwarze Denkmal
Kirlian Camera
1988Angelo Bergamini ha avuto negli anni ’80 due vite musicali parallele. Da un lato, sotto diversi pseudonimi e sigle, è stato un hit-maker negli ambiti della dance elettronica e dell’Italo disco. Dall’altro ha portato avanti fin dal 1981 la sua creatura Kirlian Camera, con dischi minimali e neri che verso la metà del decennio pervengono a una elettro-wave dalle atmosfere malinconiche, pur se confezionata secondo una formula ballabile. In Eclipse – Das Schwarze Denkmal ci sono orchestrazioni lontane che sembrano disegnare cieli tempestosi all’orizzonte e melodie struggenti e irresistibili.
Ha collaborato Renato “Mercy” Carpaneto