A volte le copertine dei dischi fanno rumore. Infrangono tabù, nudità e sessualità in primis, ma anche il semplice copyright. E danno lavoro agli uffici delle case discografiche, agli avvocati o ai giornalisti. In questo braccio di ferro fra libertà espressiva – non di rado volutamente provocatoria, in certi casi sconcertatamente naïf – clamore mediatico e diritto, capita che la (auto) censura segni punti a suo favore. Modificando l’immagine stessa degli album controversi, inserendo nelle zone contestate bollini e adesivi o pixel e crop, quando l’intervento è digitale. Nei casi più eclatanti traballano l’artwork o il concept stesso. Fino al punto di non ritorno: il cambio definitivo della cover, che uno degli esiti auspicati da Spencer Elden, il neonato che compare sulla cover di Nevermind mentre nuota nudo in piscina inseguendo un dollaro che pende da un amo da pesca.
La discografia annovera nei suoi cataloghi migliaia di album censurati o edulcorati, in parte off-limits per alcune aree geografiche a dispetto di altre più liberali. Ritirati dagli scaffali o mai distribuiti. A volte in tempi così rapidi da diventare rarità. Spesso negli Stati Uniti è la grande distribuzione a decidere il destino di un disco. In altri casi sono gli stessi artisti che ci ripensano. Quando era stata palese l’intenzione di sorprendere per vendere più copie.
Da questo tipo di pubblicazioni, abbiamo selezionato 15 storie di copertine rifatte. Le più note o curiose o dal forte impatto. Storie di dischi che hanno cambiato faccia per sempre o magari, con astuzia, solo il trucco. Per poi magari tornare nel giro di qualche anno quelle di prima.
“Unfinished Music No. 1: Two Virgins” John Lennon & Yoko Ono (1968)
Sessantotto #1 «Era mezzanotte quando l’abbiamo finito e all’alba abbiamo fatto l’amore». Il debutto avant-garde del duo, registrato nel Surrey a casa di Lennon mentre la futura ex moglie Cynthia era in Grecia, mostra i due artisti completamente nudi, fronte-retro, e pronti a diventare una coppia a tutti gli effetti. Ancora oggi alcune riedizioni sono accompagnate da una confezione di cartone marrone usata per coprire i corpi e stondata sui volti di John & Yoko.
“Electric Ladyland” The Jimi Hendrix Experience (1968)
Sessantotto #2 A creare sconcerto è la versione inglese, stampata dalla Track Record, che ritrae diciannove donne nude fotografate un anno prima da David Montgomery. Jimi Hendrix non gradì molto anche perché aveva suggerito un’immagine scattata da Linda Eastman (poi McCartney) ai membri della band seduti assieme ad alcuni bambini sulla scultura di Alice nel paese delle meraviglie a Central Park. Fu sostituita da varie copertine, l’ultima quella col volto assorto virato giallorosso di Jimi immortalato da Karl Ferris mentre suona al Saville Theatre di Londra.
“Beggars Banquet” The Rolling Stones (1968)
Sessantotto #3 Chiudiamo la triade dell’anno della contestazione con uno dei capolavori dei Glimmer Twins e soci, fra cui i compianti Brian Jones (fu l’ultimo album a cui partecipò in vita) e Charlie Watts. La “disdicevole” toilet cover, opera di Barry Feinstein, fu rimpiazzata per circa quindici anni da un’anonima illustrazione bianca che evocò il White Album dei Beatles realizzato solo due settimane prima. Alcune imbrattature e testi, realizzati dagli stessi Keith Richards e Mick Jagger, si aggiunsero ai graffiti originari presenti sopra lo scarico. E non fu l’unico wc ban dei Sixties: chiedere ai Mamas and Papas di If You Can Believe Your Eyes and Ears in cui, oltre al cesso, fu cancellato anche parte del nome.
“No Love Deep Web” Death Grips (2012)
Genitali #1 I problemi creati dal copertina, col titolo dell’album scritto con un pennarello nero sul membro in erezione del batterista Zach Hill, si sommarono a quelli per un tour cancellato all’ultimo momento e al sabotaggio distributivo dell’album (via BitTorrent) patrocinato dagli stessi Death Grips. L’etichetta Epic rescisse il contratto. MC Ride, leader del trio hip hop sperimentale, difese strenuamente quella scelta iconografica spiegando che era una metafora di libertà e coraggio che nulla aveva a che vedere con argomenti di tipo sessuale. Si ovviò con un pixelaggio a manetta.
“Love It to Death” Alice Cooper (1971)
Genitali #2 «Ma è il dito o il cazzo?» si devono esser chiesti nei corridoi della Warner. L’album della hit I’m Eighteen, il terzo della band, mostra Alice Cooper in posa con i suoi mentre col pollice simula la fuoriuscita del suo pene. Censurata, ça va sans dire. Alla fine degli anni Zero la major decise che uno sberleffo di quel tipo ci poteva anche stare. Da allora l’immagine è tornata a esser quella originale.
“Virgin Killer” Scorpions (1976)
Genitali #3 Al centro di un fondale nero, una ragazzina di 10 anni nuda siede in posa erotica, l’effetto di un vetro spezzato nelle parti intime. Secondo il gruppo, l’espressione “virgin killer” sta a simboleggiare il tempo. La famigerata cover della band tedesca provoca ancora oggi denunce e richiami per le copie vendute su internet. Probabilmente alla casa discografica avevano visto troppe volte Sussurri e grida. Il gruppo fece finta di non capire, salvo pentirsene in diverse occasioni.
“Amorica” The Black Crowes (1994)
Genitali #4 Dal close up di una mutandina a stelle e strisce s’intravede un po’ di pelo pubico. Anche se l’immagine era già entrata nell’immaginario collettivo – fu pubblicata nel luglio 1976 da Hustler per il Bicentenario – ai tempi del terzo disco dei Black Crowes c’è chi non gradì. Le acque si calmarono con una ristampa su sfondo nero.
“My Beautiful Dark Twisted Fantasy” Kanye West (2010)
Genitali #5 Nell’ottobre 2010, un mese prima dell’uscita, la cover più inquietante fra le cinque scelte dal rapper dall’opera di George Condo venne pixelata dalla casa discografica per via di probabili casini con la grande distribuzione. West citò via Twitter Nevermind: «E quindi i Nirvana possono avere un essere umano nudo sulla loro copertina, mentre io non posso avere un DIPINTO di un mostro senza braccia con le ali e una coda a pois». Walmart, con cui West fa frequentemente a pugni per le più svariate ragioni, ci tenne a non dargli soddisfazione negando pubblicamente alcuna forma di censura, a tutt’oggi invece attiva su tutti i canali in streaming.
“Diamond Dogs” David Bowie (1974)
Genitali #6 Dopo la pubblicazione, gli uffici dell’RCA dovettero intervenire per risolvere la grana del retro copertina. Girando l’LP, formato gatefold, apparivano in bella mostra gli organi sessuali di una fiera metà cane e metà uomo, “interpretata” dallo stesso Bowie. Guy Peellaert, autore belga dell’artwork che per il suo lavoro si era ispirato a uno scatto del 1926 di Josephine Baker, si vide costretto ad areografare di marrone la zona incriminata.
“Blind Faith” Blind Faith (1969)
Seni #1 Il fotografo Bob Seidemann, amico di Eric Clapton e già stimato nel rock and roll circus, realizzò la cover dell’unico disco del supergruppo che, oltre a Slowhand, era formato da Steve Winwood, Ginger Baker e Ric Grech. Mariora Goschen, allora undicenne, fu immortalata col consenso dei genitori. Secondo Seidemann, l’astronave realizzata dell’orefice Mick Milligan rappresenta il progresso dell’umanità, mentre l’acerba adolescente, una Giulietta idealizzata, la sua innocenza. Ma il simbolismo del suo scatto, il cui titolo Blind Faith battezzò il progetto musicale, non fece breccia e anzi creò imbarazzo ai discografici che proposero una nuova edizione per il mercato americano.
“Slippery When Wet” Bon Jovi (1986)
Seni #2 Il disco che proiettò nello stardom il cantante del New Jersey si doveva chiamare Wanted Dead or Alive e “indossare” una veste molto sexy. La band si trovava a Vancouver per le session fotografiche, in pieno smarrimento creativo. Nel tragitto per andare al Number Five – lo strip club preferito dalla band in loco – il manager Doc McGhee notò il cartello “Slippery when wet”. Più tardi una delle spogliarelliste, Angela, incantò tutto l’entourage che le chiese di partecipare alla realizzazione della cover. Il nuovo titolo fu deciso quella sera. La foto di copertina con Angela, scattata da Mark Weiss, era già in circolazione quando fu bloccata e sostituita con quella attuale.
“Sister” Sonic Youth (1987)
Copyright #1 L’artwork è stato rieditato in due occasioni. La prima volta fu per via di una causa legale che riguardava lo scatto della dodicenne Sandra Bennett, realizzato da Richard Avedon. In un secondo tempo fu la volta della Disney che si lamentò per un frammento del Magic Kingdom – il popolare parco tematico della Walt Disney Company situato in Florida – sul retro. In primo piano si notavano i personaggi di Minnie, Pippo, Topolino e Pluto e in lontananza il Castello di Cenerentola, icona della multinazionale. Fu coperto con un codice a barre e poi eliminato.
“Illinoise” Sufjan Stevens (2005)
Copyright #2 Appena dopo la pubblicazione di uno degli album più celebrati della discografia del musicista di Detroit, la DC Comics chiese di rimuovere la figura di Superman dall’illustrazione della cover. Dopo un po’ di resistenze l’Asthmatic Kitty, la label fondata da Stevens assieme al padre Lowell Brams, raggiunse un accordo. Oggi circola una versione dove, al posto del supereroe per eccellenza, ci sono dei palloncini colorati in volo. Per l’edizione del decennale Superman è stato invece sostituito da Blue Marvel.
“Appetite for Destruction” Guns N’ Roses (1987)
Violenza grottesca #1 Il concept originale, una scena di stupro iperbolico fra un robot e una donna, era basato su un dipinto di Robert Williams – cresciuto nel vivaio della Zap Comics di Robert Crumb – della serie Super Cartoon di fine anni ‘60. Ritenuto troppo scioccante da vari distributori, venne cambiato col fumetto dei teschi dei componenti della band collocati su una croce.
“Yesterday and Today” The Beatles (1966)
Violenza grottesca #2 L’idea era di scattare varie istantanee in uno studio fotografico per un pezzo di arte concettuale intitolato A Somnambulant Adventure. Pare che durante lo shooting di Robert Whitaker, i Beatles, Lennon in testa, fossero un po’ scazzati e stanchi di fare la solita cosa. Fu così che venne l’idea di agghindare i membri della band come macellai, fra pezzi di carne e parti dislocate di bambole di plastica. Paul McCartney convinse la Capitol a usarla per la pubblicità del singolo Paperback Writer e per l’LP americano Yesterday and Today, come commento del gruppo allo stato delle cose in Vietnam. I negozianti si rivoltarono, per la gioia dei collezionisti di dischi che, nel frattempo, avevano incamerato la loro preziosa copia del vinile.