Non è un caso che dall’Inghilterra (e dall’America, e dal resto del mondo) arrivi puntuale la solita Last Christmas, mentre noi ci esaltiamo disillusi e parodistici – in un inglese maccheronico che neanche a prendersi sul serio – rispondendo Christmas with the yours, con Elii: in Italia, è evidente, vantiamo un rapporto di merda con le canzoni di Natale.
Di più: negli anni, dai cantautori all’itpop, abbiamo sviluppato tutta una tradizione di contro-canzoni natalizie, tristi, a promemoria di quanto le vere Feste siano deprimenti. Roba che, alle lucine e agli auguri, sostituiamo – ad andar bene – bordate di malinconia, quando non direttamente tristezza e disperazione. In tutti questi casi, il Natale come ricorrenza fa generalmente da feroce sfondo (o pretesto, se è) a piccoli drammi di solitudine, a un intimismo lacerante, a un immaginario legato a un quotidiano di regali e cenoni alienante.
Viste le premesse, abbiamo raccolto otto fra le canzoni italiane contro-natalizie più tristi. Così, com’è giusto che sia.
1. Il Natale è il 24 di Piero Ciampi
Probabilmente l’origine di tutto lo spleen natalizio di cui poi, questo pezzo ancestrale di Piero Ciampi rappresenta uno spaccato di solitudine da consegnare ai posteri. Emblematica come poche della sua vita di strada, sempre sfatta e vagabonda, è una delle “poesie” più dolorose del cantautore livornese (tutt’ora mai troppo rivalutato), in cui il protagonista, ormai da solo e abbandonato, trascorre il Natale al freddo, in strada. “La vita va così”, ripete fra sé e sé, mentre medita di trascorrere la notte della Vigilia alla stazione. Straziante.
2. La vigilia di Natale di Brunori Sas
Se quello di Ciampi è un racconto di strada, questo di Dario Brunori è invece un dramma borghese. La storia di un uomo di mezza età, che passa l’ennesimo Natale in casa, come tanti, circondato da moglie, figli e parenti. Ed è proprio in quel reiterarsi di rituali che si aprono le prime crepe, poi voragini: il vuoto di chi ha tutto (“lo spumante, il panettone”) e non ha niente, se ha perso la giovinezza e l’entusiasmo di una volta. A cena, come dice lui, col “magone”.
3. Natale Fine Before You Came
Come ogni canzone dei FBYC, anche questa Natale è un enorme livido di malinconia. Sospesa fra sottile intimismo e tragedia collettiva, col solito carico di pathos rappresenta la consueta, bieca e insindacabile conta degli assenti a cui le Feste fanno da cornice: “Adesso che tutto sembra apposto / manco io, manchi tu”. Ahia.
4. Natale di Francesco De Gregori
Un pezzo di rasserenata malinconia (l’unico) in mezzo a un mare di disperazione, nonché una delle gemme della discografia del Principe. Il Natale, anche per De Gregori, è un tourning-point per fare il punto della situazione, e degli assenti: “Tra due giorni è Natale / non va bene, non va male. / Buonanotte, torna presto / e così sia”, scrive lui, col tono disilluso di chi ha finito le lacrime, mentre tutto intorno il tempo “corre piano”, e chissà che quello non sia il primo di una lunga serie di Natale lontano da lei.
5. Canzone di Natale Zen Circus
Il Natale degli Zen è, ovviamente, iconoclasta e scorretto come solo il loro può essere: sul solito tappeto combat-folk, la storia di un tossicodipendente in preda a crisi d’astinenza, mentre si trova a pranzo coi suoi, cercando disperatamente di nascondere il suo stato. Tutto molto bello, ma è in un finale a sorpresa – ancora più cattivo – che Appino & Co. si supereranno.
6. Merry X-Mas Marlene Kuntz
Sfuriata storica dei Marlene Kuntz, in cui passano decenni di tradizione alternative italiani, un’eredità enorme per uno stile ostinato, all’epoca votato a sovvertire ogni sorta di schema predefinito. Ecco, il Natale alternativo della band piemontese è tutto qui: decontestualizzare tutto, anche gli auguri di Buone Feste, per metterli in un evidente contesto apocalittico in cui no, non c’è un cazzo da festeggiare.
7. Il pranzo di Santo Stefano I Cani
Per Niccolò Contessa, le feste fanno invece da sfondo a un piccolo dramma d’amore. In questa ballata per synth inquietante e lo-fi, c’è infatti tutta la disperazione di chi ha subito uno sfottò vero e proprio dal destino: fra corsi e ricorsi storici, un amore corrisposto, il Santo Stefano di quattro anni prima, e poi tradito, quattro anni dopo, allo stesso modo in cui era nato.
8. Natalios di Calcutta
Chiudere com’era iniziata: Natalios è una sorta di Natale è il 24 di Ciampi quarant’anni dopo, in chiave ultra-contemporanea, con Calcutta vagabondo nella Roma di questi anni. “Quattro zeri sul display”, mentre scocca la mezzanotte ed Edoardo gira ancora per locali (chiusi) mentre trattiene la disperazione, in cerca di qualcuno che gli faccia compagnia. Ma il protagonista – pare quasi prevederlo la linea vocale abulica e disperata che trascina avanti il pezzo, scheggia di cantautorato minimalista – questa volta passerà la Vigilia da solo.