C’è tutto un mondo nascosto dei Genesis che solo gli appassionati conoscono. Sto parlando dei brani inediti su album che nel corso del tempo la band si è divertita a disseminare sui lati B dei singoli. Singoli che riportavano le canzoni più accattivanti e in odor di classifica. Ma bastava girare il 45 giri per trovarsi di fronte a tutta un’altra faccia del gruppo. I pezzi usati in queste occasioni sono infatti registrati nel corso delle sessioni per i vari dischi e poi scartati. Le cause sono svariate: troppo simili ad altri, dotati di troppo poco mordente, troppo strani, troppo diversi dalla strada che il gruppo in quel momento sta percorrendo. E noi sappiamo che di strade diversificate i Genesis ne hanno imboccate molte.
Seguendo il cammino degli album possiamo ben capire quello che è stato il loro periodo prog, quello mediano tra pop e prog e quello della definitiva immersione nella musica più commerciale. Se si segue la storia dei lati B invece le cose cambiano, potremmo ad esempio avere su un lato un’immersione nel pop più scanzonato e sull’altro un deciso ritorno alle atmosfere di qualche anno prima. Per questo molti genesisomani hanno sempre guardato con appassionato interesse a queste canzoni scartate, perché in quelle albergava spesso il cuore prog del gruppo.
Ne abbiamo raggruppate 10 e provato a metterle in ordine di bellezza. Sono brani in larga parte legati all’era Collins che ascoltati in sequenza danno vita a un Genesis-album mai pubblicato che sicuramente farebbe la gioia dei moltissimi orfani di questa band eternamente discussa. Qui invece c’è il rischio di mettere d’accordo tutti.
10. “Open Door” (1980)
Alcune di queste canzoni hanno un carattere acustico e malinconico, quasi reminiscente le atmosfere bucoliche di Trespass o dei lavori solisti di Anthony Phillips. È il caso di Open Door, scartata da Duke, sistemata sul retro della baldanzosa Duchess e successivamente inclusa nel quarto lato di Three Sides Live (1982). Sostenuto dalla chitarra acustica di Mike Rutherford (anche autore) e dal pianoforte di Tony Banks, il brano vede un Phil Collins particolarmente intenso, con la voce che si staglia su un delicato tappeto di accordi prima drammatici e poi più solari, in una sorta di commiato che rimanda, come molte canzoni di questo periodo, alla separazione di Collins dalla prima moglie, Andrea Bertorelli.
9. “Vancouver” (1978)
Qui Phil sembra predire il futuro. Vancouver è infatti proprio il luogo di origine della Bertorelli ed è lì che il batterista-cantante si recherà poco tempo dopo la pubblicazione di questa canzone per cercare disperatamente di convincere la donna a tornare sui suoi passi. Outtake di And Then There Were Three, Vancouver trova spazio sul lato B di Many Too Many, condividendo con questa il carattere malinconico. Ma tanto radiofonico è il lato A quanto più tormentata e introversa è questa, con un tappeto di chitarre quasi a là Musical Box e un testo che richiama la She’s Leaving Home dei Beatles: una ragazzina pronta per la fuga che alla fine decide di non abbandonare la casa paterna. Tutto il contrario della celebre canzone di McCartney, nella quale la protagonista è ben felice di lasciarsi alle spalle il passato e iniziare una nuova vita lontano dai genitori.
8. “Evidence Of Autumn” (1980)
Il titolo dice tutto: una ballad firmata da Tony Banks dalle atmosfere meravigliosamente autunnali. Registrato ancora una volta durante le sessioni di Duke, il brano diviene lato B di Misunderstanding, azzeccando un’accoppiata tra le più eterogenee nella storia della band. Evidence of Autumn (che verrà in seguito inclusa anche nel lato D di Three Sides Live) è una tipica canzoni di Tony Banks che non avrebbe affatto sfigurato all’interno di Duke, con i drammatici accordi che contraddistinguono il tastierista e un afflato melodico romantico ed evocativo, complice la sentita interpretazione di Collins ancora una volta colma di struggimento per un amore perduto.
7. “The Day the Light Went Out” (1978)
Caso unico nella storia dei Genesis (e abbastanza raro in generale) il lato B di Many Too Many ospita ben due brani: uno è il già citato Vancouver, l’altro è questa botta di adrenalina che viene a risvegliare gli animi dopo tanta malinconia. Proveniente dalle sessioni di And Then There Were Three, la briosa The Day the Light Went Out sembra anticipare certe soluzioni new prog care ai Marillion, specie nell’uso dei sintetizzatori. Attenzione poi alla scala armonica discendente del ritornello, vera goduria banksiana. Il testo torna alla fantascienza che già caratterizzò Watcher of the Skies, ma in maniera decisamente più scolastica, con la storia di un alieno gigante che oscura un’intera città. Di questo testo Tony Banks avrà a dire il peggio, giudicandolo uno dei suoi meno riusciti.
6. “Do the Neurotic” (1986)
Nello stesso momento in cui danno alle stampe Invisible Touch, da tutti considerato uno dei loro album peggiori, i Genesis tirano fuori un brano scartato che riporta in alto le loro quotazioni. All’epoca fu tutto un favoleggiare su un pezzo che prometteva di rinverdire il loro glorioso passato, lo si poteva trovare solo sul lato B di In Too Deep, terzo singolo estratto dal fortunatissimo lavoro del 1986. Do the Neurotic in effetti torna al lato prog dei Genesis ma instilla anche un certo mood vagamente jazz-rock caro ai Brand X, side project di Collins. Brano strumentale di oltre sette minuti, Do the Neurotic è quasi interamente basato su un tempo veloce e scattante, con un Phil Collins scatenato a fare il verso a Stewart Copeland, e si muove tra temi musicali tipicamente banksiani, assoli di tastiere e chitarra, questi ultimi a cura di un Mike Rutherford inaspettatamente al suo meglio.
5. “Inside and Out” (1978)
Inside and Out non è il lato B di un 45 giri (anche se più tardi apparirà anche sul retro dell’edizione americana di Follow You, Follow Me) ma bensì di un EP: Spot the Pigeon, pubblicato nel maggio 1977 e contenente tre brani scartati dalle sessioni di Wind & Wuthering, gli ultimi prima dell’abbandono di Steve Hackett, che già fanno intravedere la deriva pop che la band perseguirà in And Then There Were Three. Inside and Out è il più interessante del lotto, con una prima parte che mette in luce il lato più melodico e acustico dei Genesis e una seconda decisamente impetuosa con una serie di sferzanti parti soliste a cura di Banks e Hackett.
4. “Naminanu” (1981)
Storia di una suite mai realizzata in tempi nei quali i Genesis stanno cambiando decisamente pelle. Si parla del 1981, era Abacab, album per il quale i nostri hanno pronosticato appunto una suite composta dai brani Dodo, Lurker, Submarine e Naminanu. Poi capiscono che sarebbe un richiamo troppo forte al passato e la smembrano. Sull’album compariranno solo le prime due, le altre andranno a far parte di rispettivi lati B. Naminanu viene piazzata sul retro di Keep It Dark ed è un numero strumentale (a parte una serie di vocalizzi che ripetono il curioso titolo) di frizzante jazz-rock ancora una volta imparentato con certe cose dei Brand X. Mistero per nerd: alcuni dicono che Naminanu fosse l’intro della suite, altri la conclusione. Speriamo che prima o poi gli autori possano svelare l’enigma.
3. “Submarine” (1981)
Penultima (o ultima?) parte della suite di cui sopra, Submarine trova posto sul lato B di Another Record, sempre da Abacab, e per l’unica volta nella loro esistenza mostra i Genesis fare il verso ai Pink Floyd. Il brano è infatti assai simile nell’atmosfera alla nona parte di Shine On You Crazy Diamond: stesso incedere lento e maestoso, quasi un requiem nel quale le tastiere di Tony Banks creano un grande tessuto orchestrale, con gli accordi che giro dopo giro si innalzano fino all’apoteosi. Mancherebbe solo la chitarra di David Gilmour e sarebbe un connubio perfetto.
2. “It’s Yourself” (1976)
Come omaggio al Paese che prima di ogni altro ne ha decretato il grande successo, nel 1976 i Genesis fanno uscire in Italia un singolo con Ripples sul lato A e l’inedita It’s Yourself sul lato B, canzone composta all’epoca di The Lamb Lies Down On Broadway. Entrambi i brani sono stati registrati per A Trick of the Tail ma la seconda ne è rimasta fuori perché gli sono stati preferiti altri pezzi più acoustici come Entangled e la suddetta Ripples. Peccato, perché It’s Yourself è qualcosa di realmente magico, con le chitarre di Hackett e Rutherford in gran spolvero, iridescenti tastiere e un bel lavoro di bass pedals. C’è inoltre una sorpresa finale: un momento musicale che su A Trick… è piazzato come introduzione a Los Endos, ma che originariamente era stato concepito per far si che It’s Yoursef e Los Endos e fossero unite.
1. “Twilight Alehouse” (1973)
Unico brano della lista nella classica formazione a 5 con Peter Gabriel, Twilight Alehouse è il top assoluto. Composto già all’epoca di Trespass, presentato più volte dal vivo e registrato durante le sessioni di Foxtrot, deve attendere il 1973 per una prima pubblicazione su un flexy disc allegato alla rivista inglese Zig Zag e il 1974 per finire sul retro dell’edizione italiana di I Know What I Like. Twilight Alehouse si distacca leggermente rispetto al materiale del periodo per le sue inedite sfumature jazz e blues, complice anche un flauto che ricorda i Jethro Tull. I quasi 8 minuti della canzone prevedono una prima parte dai toni oscuri e morbosi, nella quale sembra quasi di trovarsi nell’ombrosa birreria descritta nel titolo, che sfocia in un ritornello velocizzato mutato da un vecchio riff contenuto in The Serpent (da From Genesis to Revelation). Gabriel la fa da padrone con la storia di un alcolizzato solitario in preda a una serie di visioni. La seconda parte, completamente strumentale, è più movimentata e convulsa, quasi psichedelica, con chitarra e organo a duellare come nella migliore tradizione genesisiana.