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Sanremo 2021, le pagelle delle canzoni della seconda serata

Sono così indie che vado a Sanremo. Solo che, quando ci arrivo, mi faccio fregare dal clima da festa di paese. Abbiamo ascoltato anche le altre 13 canzoni dei campioni. Arrivare in fondo non è stato facile

Foto: Jacopo Raule / Daniele Venturelli/Getty Images

Dovrebbero cambiarla così la canzone: “Sono così indie che vado a Sanremo”. Solo che, a giudicare da quel che s’è visto nella seconda serata del Festival, una volta arrivato a Sanremo l’indie s’è fatto fregare dal clima da festa di paese.

Tolta Orietta Berti, piazzata in apertura per ricordare il brand heritage del Festival, la seconda serata è stata ancora più giovane della prima, con cantanti come Malika Ayane ed Ermal Meta che hanno meno di 40 anni e già sembrano veterani. Una serata così giovane e burlona che in platea è spuntato un palloncino a forma di pene. Pippo Baudo non l’avrebbe permesso.

Orietta Berti “Quando ti sei innamorato”

A 77 anni gareggia al festival di Madame, che di anni ne ha appena 19. Sirenotta con due conchiglie GCDS sul seno, intona in stile démodé un richiamo d’amore al marito Osvaldo e sembra la mamma di tutti quanti, di alcuni potrebbe essere la nonna. Che puoi dire a una così spudoratamente spontaneamente assolutamente fuori da questo tempo? Non fate come le donne-rucola, che schifano le donne-tortellino e rileggete Tommaso Labranca. Diceva che la Berti è la più europea delle nostre cantanti, «l’unica esponente italiana della Volksmusik», la musica del popolo.

Bugo “E invece sì”

Quando ti trasformano in un meme poi è difficile uscirne. L’anno scorso Bugo aveva un pezzo fortissimo messo in ombra dalle polemiche, una canzone che oggi si ricorda come Le brutte intenzioni e non col vero titolo (e che cosa fa Morgan la sera in cui canta Bugo? Pubblica su Instagram la versione integrale di Le brutte intenzioni). Quest’anno arriva sul palco con un’enorme giacca bicolor e canta un pezzo con un’introduzione battistiana, un piglio da figlio di Vasco, assoluta noncuranza per l’intonazione e un “na na na” che è l’assicurazione di cantabilità degli italiani. Quando urla “Crist…” uno pensa: si fa eliminare pure quest’anno. E invece no, è “Cristian”, il suo nome. Gli si vuol bene, ma serviva un pezzo più forte per uscire dal meme.

Gaia “Cuore amaro”

Ha del miracoloso che da Amici sia uscita non l’ennesima urlatrice, ma una potenziale popstar genreless, cosmopolita e girl powered. Si capisce che Gaia è in cerca di qualcosa: per ora la sua libertà, poi vedremo. Ha 23 anni, è figlia del suo tempo, viaggia senza problemi fra stili e geografie musicali, vuole portare “la giungla fra questi palazzi”. Solo che all’Ariston fa Rosalía. Accontentiamoci: come modello poteva scegliere il Ciclone.

Lo Stato Sociale “Combat pop”

Tre anni fa hanno preso Sanremo con una canzone ispirata a libri titolati Lavoro in frantumi, Il biocapitalismo, L’arte della sovversione, ma diciamolo: in testa c’è rimasta la vecchia che balla. Combat pop cita Clash, Skiantos, Guccini, Coco Chanel, Giovanna Civitillo e Amadeus, un po’ di Bennato e mille altre cose per porre una domanda sui cantanti-influencer: ha senso fare pop per vendere pubblicità? Temo che resterà lo spettacolino di trasformismo da festa dell’oratorio inscenato all’Ariston. La voce principale è quella di Albi giacché Combat pop è anche un’operazione di slodizzazione del gruppo e difatti Guenzi sbuca fuori giusto alla fine da una scatola e fa solo finta di cantare.

La Rappresentante di Lista “Amare”

La risposta rosa ai Coma_Cose (per ridere). Nata in un convento delle Figlie della Croce (sul serio), questa canzone parla di Amare in senso diciamo così totalizzante: non solo una persona, ma tutto, anche le piccole cose. Loro dicono di voler normalizzare la diversità. All’Ariston sono stati normalizzati da Dardust.

Malika Ayane “Ti piaci così”

La canzone gira attorno al tema dell’accettazione e persino della celebrazione di sé, vera ossessione del pop contemporaneo. Pare che chi fa musica voglia che ci accettiamo per come siamo, anche se siamo dei dispotici lunatici nevrotici cagacazzo. Malika invece è perfetta in questo pezzo che evoca senza mimarla l’euforia della vecchia disco music. Nella festa parrocchiale di stasera, fra travestimenti scemi, falli gonfiabili e lo shuffle impazzito di Elodie, fa la sua figura.

Ermal Meta “Un milione di cose da dirti”

Non è un’altra Non mi avete fatto niente, ma una classicissima canzone d’amore per voce, pianoforte e archi. I due amanti non si chiamano più per nome, usano nomignoli un po’ da fiaba e un po’ da nativi americani: lui Cuore a sonagli, lei Occhi a fanale. Ermal ovviamente è Cantautore Sensibile, la giacca invece è Dolce & Gabbana. No, davvero, la canzone è ben scritta e interpretata, anche se questo pop che vuole essere profondo e meditabondo non è quello che preferiamo.

Extraliscio feat. Davide Toffolo “Bianca luce nera”

Definizione di Mirco Mariani: «Sono partito dall’idea della canzone El Negro Zumbón, un bajon che cantava Silvana Mangano nel film Anna. Ho messo il pianoforte tipo Talk Talk e poi, da lì, siamo andati nella nostra balera surreale». Definizione nostra: Bregovic al chiosco delle piade. Comunque, che a Sanremo ci sia il gruppo powered by Elisabetta Sgarbi che porta un’idea tutta sua del liscio & dintorni è una bella anomalia. I ballerini Elisa Fuchi e Christian Ermeti vengono da Rimini (presente il Jova Beach da quelle parti?), Davide Toffolo che danza sulla parola “destiiiino” da Pordenone.

Random “Torno a te”

Sono un bravo ragazzo un po’ fuori di testa dice il titolo di un suo singolo di un annetto fa. Qui di fuori di testa non c’è nulla, purtroppo, ma una scrittura convenzionale, un canto a tratti tremendo (in questi casi si dice: l’emozione) e frasi come “cercami e mi troverai dentro le note che mai scriverei” da denuncia. Dov’è il Codacons quando serve? Non è in gara a Sanremo, ma a FantaSanremo.

Fulminacci “Santa Marinella”

Non è Lundini. Con l’aria stropicciata che ha e la richiesta d’amore contenuta nel pezzo, Fulminacci si fa volere bene. Santa Marinella non è un pezzone, è un po’ it-pop e un po’ De Gregori, c’è tanta Roma (Santa Marinella è sul litorale) e un ritornello che si fa cantare. Lundini c’è, però domani.

Willie Peyote “Mai dire mai (La locura)”

La citazione di Boris nel sottotitolo e soprattutto nell’incipit “questa è l’Italia del futuro, un Paese di musichette mentre fuori c’è la morte” evoca uno sguardo ironico sul nostro Medioevo solo “più smart e più fashion”. Una canzone del genere, di quelle che ti dicono che fuori dall’Ariston c’è un mondo che non puoi ignorare, devono colpire con forza e Willie Peyote non è uno d’assalto, è troppo per bene per tirare schiaffi al pubblico. E allora lo frega con un ritornello filastrocca tanto pop che tira su una serata tremenda. Mai dire mai è anche il pezzo che porta a Sanremo le proteste del mondo della musica all’Ariston: “Riapriamo gli stadi, ma non teatri né live”.

Gio Evan “Arnica”

Non è un quadro di Achille Lauro, è proprio Gio Evan, mattacchione dal look improbabile con una canzone dal titolo astruso, ma tutto sommato tradizionale. Forse questa esibizione folle e incomprensibile serve a distrarci, a togliergli lo stigma di cantante citato da Elisa Isoardi nella famosa foto in cui annuncia la fine della relazione con Matteo Salvini.

Irama “La genesi del tuo colore”

Che sfilza di verbi al futuro: smetterai canterai perderai andrai piangerai ballerai. Quest’ultimo è quello chiave: La genesi del tuo colore è EDM all’amatriciana. Assente dalla diretta dopo che la positività di due collaboratori l’ha messo fuori gioco, Irama appare in video nella performance registrata delle prove di lunedì 1 marzo. E sapete cosa? La differenza si vede – il cantante non è messo giù da gara, ci sono stacchi e soprattutto la traccia sembra quella registrata in studio – ma fino a un certo punto. Le prove sono sempre dimesse rispetto alle serate, ma non è stata dimessa anche questa seconda serata del Festival?

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