Sanremo 2025, le pagelle della finale | Rolling Stone Italia
Andate in pace

Sanremo 2025, le pagelle della finale

Prima della proclamazione della canzone vincitrice abbiamo dato i voti non solo alle ultime esibizioni, ma anche e soprattutto al Festival che hanno fatto i 29. I migliori: Lucio Corsi, Joan Thiele, Shablo, Giorgia

Sanremo 2025, le pagelle della finale

Lucio Corsi alla finale di Sanremo 2025

Foto: Daniele Venturelli/Getty Images

Volevo essere un duro

Lucio Corsi

VOTO
10

Uno dei vincitori del Festival, perché ce n’è sempre più di uno. Arrivato da outsider, già amatissimo ma solo da un pubblico tutto sommato ristretto, ha fatto musica e ha azzeccato tutto: la canzone che racconta una bella storia personale con un tono che mette assieme malinconia e rivendicazione, la cover con Topo Gigio sulla carta improbabile eppure azzeccatissima, le messinscene. È successo il miracolo: piace a tantissima gente. Ha rilanciato da solo l’idea che se uno ha talento naturale, per quanto strano e marginale sia, alla fine il pubblico lo capisce e apprezza. «È tutto ciò che mancava al Paese», scrive Madame.

Eco

Joan Thiele

VOTO
10

La presenza più stilosa all’Ariston in grado di mettere assieme un’idea molto italiana e assieme internazionale di suono, una canzone indie di oggi con un ritornello pop d’altri tempi, il tutto senza risultare retromaniaca. In più, un testo dedicato al fratello che racconta una storia famigliare non scontata. Il Festival migliore quest’anno l’hanno fatto gli underdog.

La mia parola

Shablo feat Guè, Joshua, Tormento

VOTO
9

Un concorrente di Sanremo che non canta, ma si esprime con la musica e le macchine. Shablo ha portato all’Ariston un pezzo di storia dell’hip hop italiano e l’ha fatto senza scendere ai compromessi che di solito vengono fatti per normalizzare il rap a Sanremo. Per chi ama il genere è stato esaltante sentire questa street song americana il giusto, finemente cool, intergenerazionale.

La cura per me

Giorgia

VOTO
9

Giorgia ha fatto il Sanremo che non è riuscita a fare due anni fa. Perché La cura per me le sta addosso meglio di Parole dette male. Perché ha cantato meglio di allora. E forse anche perché nel frattempo ha ritrovato un suo equilibrio, come ci ha raccontato. È riuscita anche a vincere la serata delle cover, cosa che nel 2023 non le era riuscita pur avendo fatto un grande duetto con Elisa.

Fuorilegge

Rose Villain

VOTO
8,5

Si è detto che Fuorilegge, in pratica due, forse tre canzoni al prezzo di una, segue la formula sperimentata da Click Boom!. È vero, ma non ha impedito a Rose di rafforzare il suo status di diva della canzone urban pop italiana, un po’ manga e un po’ popstar sexy, con una passione per il dark. Bene le performance estetizzanti. Il pop è anche regola e studio, la differenza poi si vede.

L’albero delle noci

Brunori Sas

VOTO
8

È stato annunciato all’Ariston come raffinato cantautore e ha interpretato alla perfezione il ruolo, perché lo è. Ha scritto canzoni migliori, ma in L’albero delle noci affronta un tema che è una trappola, la paternità, indovinando il tono giusto, solo lievemente commosso. Non ha portato alcunché di sorprendente, nella scrittura e nelle esecuzioni, però, ecco: questa è una canzone.

Incoscienti giovani

Achille Lauro

VOTO
7,5

Il passaggio di Achille Lauro da una suggestione all’altra, da un personaggio all’altro l’ha portato oggi a riporre tutine e dichiarazioni roboanti per interpretare col suo modo di cantare sgrammaticato e con un filo di ricercata volgarità una vecchia storia d’amore. Forse una delle poche possibilità che gli restavano per continuare a fare teatro musicale per il prime time Rai era portare una canzone-canzone. Nella finale arriva dopo Venditti e ha senso. Il sabato forse la sua esibizione migliore.

Battito

Fedez

VOTO
7,5

Una delle sorprese di Sanremo dov’è arrivato da villain per via delle storie personali, sentimentali e non, e con la fama di autore e interprete di canzoni d’amore irricevibili e pop-rap memorabili più per le polemiche che per i contenuti musicali. Ha messo a frutto la capacità di far spettacolo della vita privata, o meglio del pezzo di vita privata che intende mostrare. Ci è riuscito con questa canzone ansiogena sulla depressione-fatta-donna. Ha superato di gran lunga le aspettative e in un Festival musicalmente pieno di riferimenti al passato, è forse l’unico che ha portato un’idea musicale contemporanea integrandola bene con l’orchestra.

Grazie ma no grazie

Willie Peyote

VOTO
7

Forse non resterà a lungo nella memoria questa canzone decisamente rétro, con lo slogan facile “grazie ma no grazie” ed echi di cose che fanno da Pino D’Angiò ai Bee Gees. Ma suona bene in mezzo a tanto dance pop anonimo e ai soliti ritornelli gridati.

Dimenticarsi alle 7

Elodie

VOTO
7

Tra le canzoni di quest’anno che ammiccano spudoratamente al passato, forse perché abbiamo bisogno di dimenticare il presente e un futuro che non riusciamo a immaginare, c’è questa che sta a metà strada tra disco music e il pop italiano vintage. Elodie si è reinventata diva più adulta e meno audace. Ha anche accolto, come pochi altri, l’idea lanciata da Carlo Conti di duettare con un altro concorrente nella serata delle cover, scelta apprezzabile.

Balorda nostalgia

Olly

VOTO
7

È facile apprezzare il tono colloquiale della canzone, il modo informale che Olly ha d’interpretarla, il romanticismo schietto e senza troppe pretese, come se la stesse cantando per strada. Olly è un interprete convinto e convincente, se ne apprezza il tono diciamo così ruspante, e poi Balorda nostalgia ha uno dei ritornelli più immediati del Festival.

Tra le mani un cuore

Massimo Ranieri

VOTO
7

Ha dimostrato d’avere ancora voce, presenza, carattere interpretativo anche se la canzone non è all’altezza della sua storia (raro che ce ne siano). Il premio alla carriera lo daremmo volentieri a lui.

Il ritmo delle cose

Rkomi

VOTO
6,5

Per lui Sanremo 2022 resta Insuperabile. Era finito nella seconda metà della classifica, ma aveva imposto il suo personaggio. È tornato più pensoso e decisamente meno spudorato, e questa cosa in tv la sconti. Forse ha scontato anche il contrasto tra il testo sull’inferno a fuoco lento in cui viviamo e la musica che non ha niente del “violento decrescendo” che descrive. Però sta cercando una nuova via e il coraggio va premiato.

Se t’innamori muori

Noemi

VOTO
6,5

Mentre tutto scorre, gli stili le mode gli stream, al Festival lei resta lì, ferma. È un pregio, perché ha un suo timbro caratteristico, un suo “tono di voce”, una sua firma, e non è poco e non è da tutti. Ha un suo modo d’aggredire canzoni che sarebbero altrimenti blande, ma per fare un grande Festival serve una grande canzone e Se t’innamori muori non lo è.

Quando sarai piccola

Simone Cristicchi

VOTO
6

Una canzone non è il suo tema. Una canzone, così come qualunque altra opera creativa, non la si giudica in base all’argomento che tratta, ma da come lo tratta. Simone Cristicchi fa bene a interpretare Quando sarai piccola in modo misurato, a non esagerare con le parole giacché il testo parla della madre malata. Essendo “vuota”, l’arrangiamento orchestrale funziona molto meglio che in altri pezzi di questo Festival. Ma il tema non la rende una grande canzone, ma un momento di teatro musical-televisivo. In ogni caso, questo è stato anche il Sanremo di Cristicchi.

La tana del granchio

Bresh

VOTO
6

Un po’ come Olly, pure lui ligure e pure lui interprete nella serata delle cover di un pezzo di De André, ha portato al Festival un’idea under 30 di canzone d’autore. Che da tempo non più un luogo di pensiero e di sintesi di suggestioni d’ogni tipo, anche letterarie, ma espressione non mediata di sentimenti. Il voto è la media tra la strofa promettente e il ritornello che fa somigliare La tana del granchio a mille altri pezzi.

Fango in paradiso

Francesca Michielin

VOTO
6

Ha fatto un Sanremo tenero e non solo perché l’ha cominciato dicendo ridendo che in questa canzone c’è del disagio, per l’infortunio (di nuovo!) scendendo le scale dell’Ariston o per il piantino di mercoledì sera. Peccato che a Fango in paradiso manchi un po’ di veleno che si vorrebbe da una break-up song, da una recriminazione. Chi ne ha costruito le parti, però, sa come si scrive una canzone. Suoni e arrangiamento impersonali non la esaltano.

Chiamo io chiami tu

Gaia

VOTO
5,5

Arrivando a Sanremo dopo il successo clamoroso di Sesso e samba con Tony Effe ci si aspettava da Gaia un Festival più brillante di quello che ha fatto. Ha cercato di mettere a frutto il suo profilo multiculti, ma le sue esibizioni sono sembrate prive d’energia e la canzone modesta.

Cuoricini

Coma_Cose

VOTO
5,5

Il problema di Cuoricini non è la strofa baustelliana, ma il ritornello spudoratamente paraculo. Lo canti dopo un solo ascolto e lo odi per questo. Ma la coppia ha stile e non la trasforma in una baracconata. E poi Sanremo è anche tv e da questo punto di vista i Coma_Cose hanno azzeccato tutte le performance.

Febbre

Clara

VOTO
5,5

È successo questo a Sanremo 2025: le produzioni dance pop che pochissimi anni fa rappresentavano una delle novità del Festival hanno cominciato a sembrare trite. È il caso di Febbre, che ha una sua piacevolezza, ma non un’identità definita. Indimenticabile, non in senso buono, la sua Sound of Silence coi tre del Volo.

Lentamente

Irama

VOTO
5,5

Chiedo scusa se scrivo di Blanco (e quindi anche del suo co-autore e produttore Michelangelo) per parlare di Irama. C’è stato un momento, all’incirca quattro anni fa, in cui Blanco è sembrato la variabile impazzita che aspettavamo, un autore e interprete fuori dalla solite liturgie, in grado di dare uno scossone al pop italiano mettendoci un po’ di sangue e sesso. Si è o lo hanno depotenziato, trasformato in autore romantico in modo a volte stucchevole. A volte la azzecca, vedi Giorgia quest’anno, a volte no. A scontare questa trasformazione è di riflesso Irama, che non riesce con la sua voce e le sue doti interpretative, che ci sono con e senza Auto-Tune, a salvare del tutto Lentamente e il suo “fottuto sentimento”.

Mille vote ancora

Rocco Hunt

VOTO
5

Ha fatto un Sanremo migliore del previsto pensando a certe sue canzonacce estive, ma qui il tema della nostalgia per un passato che si è messo alle spalle è trattato con immagini da cartolina e nella performance una inclinazione eccessiva al piacionismo.

Amarcord

Sarah Toscano

VOTO
5

Non è colpa dell’ultima vincitrice di Amici se è arrivata al Festival in anticipo sulla maturazione che ci vorrebbe, non tanto nelle performance, dov’è stata convincente, ma nell’idea di pop che si vuol proporre che non può essere una somma di luoghi comuni. Non si è mai risparmiata, però.

Anema e core

Serena Brancale

VOTO
5

Performance convinta, così così la canzone furba e risaputa. S’apprezza l’energia, meno la gestualità a favore di camera. Ma ha dato forse più di quello che ci si aspettava.

Tu con chi fai l’amore

The Kolors

VOTO
4,5

Il tormentonismo è uno dei mali del pop italiano. Non i tormentoni di per sé, perché è un’arte anche quella d’insinuarsi con intelligenza nelle orecchie della gente, ma la ricerca spudorata del facile consenso con canzoni pronte per fare da colonna sonore a uno spot. Buona però “mi piaci un minimo”.

Non ti dimentico

Modà

VOTO
4

Kekko Silvestre non ha fatto un Sanremo facile per via della caduta alle prove di lunedì in cui s’è fatto male alle costole. Ha rinunciato agli impegni promozionali, ma non si è tirato indietro quando si è trattato di salire sul palco. Il suo Festival vale più di Non ti dimentico, melodramma nato vecchio.

Pelle diamante

Marcella Bella

VOTO
4

La composizione generazionale degli ultimi Festival, orientati al pubblico di Spotify ma attenti in modo ecumenico a tutte fasce d’età, prevede la presenza d’un paio di cantanti over qualcosa, di quelli che un tempo c’erano sempre e ora rappresentano l’eccezione. Marcella Bella ha giocato la carta dell’empowerment con un pezzo pieno di luoghi comuni. È però restata ai margini e non ha alimentato neanche il LOL come han fatto l’anno scorso i Ricchi e Poveri.

Viva la vita

Francesco Gabbani

VOTO
4

Forse Gabbani piace per la sua arcitalianità, la bonarietà, i manierismi, i sorrisi ammiccanti, i gesti che sottolineano ogni verso. È un modo di fare pop affettato, vecchio e conformista. E questa sua canzone che esprime un senso di gratitudine verso l’esistenza è spuntata e oratoriale, pur essendo scritta con uno bravo come Pacifico.

Damme ’na mano

Tony Effe

VOTO
3

Forse il tonfo più rumoroso del Festival. Tony Effe ci è arrivato da campione di stream e dopo le polemiche per il concerto di Capodanno a Roma, i testi, il sessismo. Ha scelto la scorciatoia sbagliata per dimostrare che non è solo quello e per piacere a un pubblico più vasto e diversificato: il suo recitar cantando un po’ cafone e un po’ strascicato è giusto per i pezzi suoi, ma fuori ruolo in una canzone del genere.