Ci siamo: è arrivato il momento di festeggiare un disco fondamentale per la cultura pop che è a tutti gli effetti un simbolo degli anni ’80. Stiamo parlando del primo omonimo LP dei Duran Duran. Sono passati quarant’anni ma a riascoltarlo ora non cede di un millimetro nella sua freschezza: al massimo potresti pensare a un prodotto degli anni 2000, visto quante imitazioni ha prodotto nel campo del pop sintetico. Era il 1981 invece e nelle nove tracce del disco troviamo tutta una serie d’innovazioni e di particolarità che poi faranno scuola, cose che la critica spesso non ha sufficientemente messo in luce abbagliata più dal successo commerciale che dall’impeto sperimentale del gruppo.
Vogliamo quindi ricordarne dieci che, a nostro parere, hanno folgorato le generazioni di musicisti a venire e hanno tolto la polvere dalle stantie certezze del pop.
1Ha trasformato un synth economico in un’icona
Tutti sanno che Nick Rhodes era un grande fruitore di macchine Roland: il suo endorsement per il Jupiter 8 e soprattutto per il JX10 (con il mitico slogan «display e delay come li vorray») è rimasto nella storia, cosi come anche il fatto di essere uno dei primi a usare il Fairlight sul palco, macchina nata principalmente per restare in studio, accollandosi grossi problemi tecnici. Ma pochi sanno che il sound dei Duran è dovuto principalmente a una macchina che al confronto dei modelli appena citati fa “ridere i polli”: parliamo del Crumar Performer, un sintetizzatore italiano che all’uscita del primo dei Duran era già una macchina obsoleta nonostante fosse in circolazione da appena due anni: economica, dal rumore di fondo imbarazzante, con una sezione a imitare i violini e una i fiati. La sezione fiati era deboluccia ai livelli di una tastiera per fare il liscio, ma quella violini (con effetti di modulazione inclusi) aveva un sentire “cosmico” che aveva tutte le potenzialità per far volare alti. Ecco, Rhodes è il motivo per cui questa macchinetta da antiquari, ad acquistarla, oggi vi toglie un po’ di soldi.
Quei pad dal sapore artigianale erano come una specie di porta sonora esclusiva verso il mondo dei Duran, un po’ come l’Orchestron per i Kraftwerk o il Roland RS-09 per i Cure di A Forest: quel sapore sci-fi che si pone perfettamente a metà tra il futuro e un recente passato pionerista che era ben descritto dal nome della band, mutuato dal film di fantascienza simbolo dei ’60, Barbarella. Nick lo userà come nessuno mai, tanto che ancora adesso quando lo senti distrattamente nelle demo di YouTube pensi «sono i Duran!». Anzi, per meglio dire: Nick sarà l’unico a usarlo in maniera non amatoriale. Tanto che è un synth citato solo se si parla dei Duran Duran (almeno così ci dicono gli esperti, tra i quali il sito Vintage Synth Explorer e il mitico Enrico Cosimi che già nei suoi manuali di metà ’80 sui synth citava questa storia come esempio di utilizzo intelligente delle macchine). Lo potete sentire in tutto il suo fulgore nella sezione di Girls on Film o nell’avvolgente ritornello di Night Boat, in Careless Memories così come in Is There Something I Should Know, che verrà inserita nella ristampa americana anche se uscita molto dopo.
2Le chitarre mettevano assieme hard rock e new wave
Se c’è un motivo per cui i Duran Duran sono diventati quello che sono è anche per le chitarre di Andy Taylor. Il suono di Andy bucava la norma new wave che a volte faceva pure a meno del distorsore, per darsi, al contrario, a uno stile più vicino all’hard rock, se non proprio al metal. Andy Taylor fu importante per sfondare in America, dove le radio AOR e FM non disdegnavano assoloni distorti e incarogniti. Non a caso sarà quello che una volta uscito dai Duran si darà a una specie di glam metal tamarrone, seguendo le sue inclinazioni senza compromessi di cui già si era avuto un certo sentore nel progetto parallelo Power Station. In questo disco potete ascoltare di cosa parliamo nel riff massiccio di Anyone Out There, nei power chords di Sound of Thunder e nell’uso della leva di Friends of Mine (prima di qualsiasi dive bomb di cui vedremo un uso più massiccio in Hungry Like the Wolf).
3Ha anticipato l’uso dell’AutoTune
L’uso di un effetto simile all’AutoTune sulla voce di Simon Le Bon da parte del produttore Colin Thurston in questo e nel disco successivo Rio era qualcosa di mai sentito all’epoca, nonostante il trucchetto fosse ovviamente conosciuto e applicato già in altri contesti. La voce sembra nello stesso tempo includere il calore della sensualità umana e il freddo dell’alienazione del futuro, e così la voce di Le Bon risulta più presente e più gonfia (nonché più intonata). Il cantante abbandonerà questo effetto solo a partire da Seven and the Ragged Tiger. Di fatto la voce di Duran Duran è il canto di un cuore imbottito di radiazioni televisive: l’effetto, come la tv e la tecnologia che avanza, è la protesi delle emozioni della nuova generazione di cui non a caso i Duran diventeranno uno dei principali simboli.
4Ha portato l’ibrido funk-new wave sulla pista da ballo
Quello che divide i Duran dagli artisti americani e inglesi che già sperimentavano unendo funk, elettronica e new wave è la capacità di sintetizzare il tutto (dai suoni al look) asciugandolo dagli eccessivi intellettualismi e dalle scorie antisociali, portandolo sulla pista da ballo. Ma si badi, anche qui non si tratta come molti all’epoca pensavano di banalizzazione di quei concetti (rubati in maniera talmente evidente da risultare appunto originalissimi), ma più che altro di un costatare come alla classe operaia piacesse ballare, vestirsi bene, divertirsi in un’ottica di riscatto che ha sempre fatto parte delle sottoculture giovanili inglesi e non. Appunto, fenomeni come la disco – ben illustrati in film epocali come La febbre del sabato sera – erano più working class che mai e non potevano essere sottovalutati da un movimento come la new wave che si diceva figlio di quei natali.
5Abbinava testi apocalittici e musica da party
A differenza degli Spandau Ballet, che di questo modo di pensare si ergevano come guide e idoli “eroici” abbastanza spocchiosi, i Duran non si mettevano su un piedistallo e non rinnegavano il punk che avevano bazzicato in maniera massiccia. Anzi: facevano tesoro della sua immediatezza, e se non erano direttamente politici (Planet Earth a nostro avviso rimane un brano di denuncia sociale), erano però fortemente esistenziali almeno in quest’album, dove i testi di Le Bon sono spesso scuri e dipingono una gioventù in preda a forti confusioni schizofreniche, con un’affettività in macerie. Se i Pistols cantavano Liar, i Duran cantavano Friends of Mine invocando una guerra atomica per resettare tutte le delusioni. Se i Japan cantavano Quiet Life, i Duran cantavano Girls on Film, mettendo in luce in qualche modo la sessualizzazione degli esseri umani urbanizzati, lasciando il giudizio morale ai posteri ma mantenendo un’inquietudine che la diceva lunga. Quindi divertimento apparente, un po’ come se la pillola amara venisse addolcita per agire in maniera più dirompente nell’organismo, verso una reale rivoluzione di costumi che sfocerà poi nella duranmania. Perché – checché se ne dica – finalmente i wild boys di Burroughs entreranno inconsapevolmente nell’immaginario di migliaia di teenager che, più avanti, passeranno all’industrial, al nu metal e via discorrendo (molte band del genere hanno reso omaggio ai Duran Duran in questo senso, ad esempio i Deftones), cambiando bene o male la “morale” nel concetto di pin-up band.
6Ha reso indossolubili musica e immagine
Il debutto dei Duran è il primo “prodotto multimediale” degli anni ’80 così come lo conosciamo: c’è un’eleganza che strizza l’occhio a Ballard e ad American Psycho, ci sono vesti di pizzo che evocano un ritorno a un passato romantico, ma nello stesso tempo una innocenza violenta alla Arancia Meccanica (e come il logo suggerisce, anche mutuata dai mecha giapponesi): almeno così appaiono nella copertina dell’album, che molti dicono ispirata a Vienna degli Ultravox (che però viene superata a sinistra dal fondamentale colore della foto di Duran Duran, come a rimarcare una differenza abissale tra la tv dei ’70 rispetto a quella degli ’80). Il video di Girls on Film sarà perfetto nel trovarsi al posto giusto nel momento giusto, quando la videomusica della rampante MTV sta per essere il vettore culturale più popolare e forte degli anni ’80, ma non solo: pensavano già al futuro dell’indissolubile e compulsivo legame tra occhio e orecchio. Il video in questione, poi, apriva la ferita di tabù visivi ancora latenti e soprattutto schiudeva con pochi fotogrammi voluttuosi (e senza dubbio casti a giudicare da quello che verrà dopo) i desideri di una generazione che era repressa dalla cultura dei genitori, quella basata sul nascondere sotto il tappeto per mantenere un’immagine decorosa (non a caso la censura li colpirà). Ecco, i Duran erano invece decorosi proprio nel loro sfacciato edonismo, quello stesso edonismo che non prometteva nulla di buono se non sfascio e decadimento (e per questo molto distante dal tronfio trionfalismo reganiano): ma non era autodistruzione dei punk, era puro consumarsi dal piacere. Anche perché l’alternativa era l’angoscia della guerra fredda e il rischio di vedersi assassinati da un giorno all’altro: era quindi, il loro, accelerazionismo puro applicato alla musica pop.
7Ha ribaltato un flop in un successo
Quando la EMI vide i piazzamenti del singolo Careless Memories, uscito appena dopo Planet Earth, si mise le mani nei capelli. Un insuccesso clamoroso, che dalla metà classifica promettente del primo singolo vedeva i Duran precipitare nei bassifondi. Le responsabilità non erano però della band, ma proprio del colosso discografico, certo che un singolo dalle sonorità simili al precedente avrebbe continuato la serie positiva, ragionando un po’ come se vendessero lattine di Coca-Cola. Ebbene i Duran, da quel momento in poi, ottengono la libertà di scegliere i loro singoli di persona: e ovviamente puntano sul brano più lontano in assoluto dai suddetti , mettendosi alle spalle il concetto di “serialità” delle hit. Girls on Film, con il suo tiro funky e col suo ritornello che pare quasi roba dei Mötley Crüe diventa subito una top 5 in Inghilterra. Dubitiamo sarebbe successo ad altre band dopo un flop del genere, eppure i Duran Duran riuscirono nel miracolo, dimostrando di sapersi autogestire pur in giovane età e di avere – soprattutto – un bel po’ di “culo” dalla loro.
8Ha creato un sound nuovo affidandosi alla storia
Il produttore Colin Thurston non era certo un novellino. Non solo aveva lavorato con Iggy Pop e Bowie, co-ingegnere del suono di Heroes e co-produttore di Lust for Life, ma aveva messo mano alle uscite di alcune tra le più promettenti band new wave e synth pop come i Magazine e gli Human League di cui produsse gli esordi folgoranti. I Duran lo loderanno come catalizzatore del suono anni ’80 quando scomparirà nel 2007 dopo una lunga malattia. Senza dubbio l’assenza di Colin non avrebbe permesso la nascita di Duran Duran, neanche per sbaglio. L’esperienza del produttore riuscirà a mettere una vera e propria colla sonora alle influenze apparentemente incoerenti della band, rendendo il tutto invece compatto e credibile nella sua innovazione. E ovviamente il punto di riferimento è Tony Visconti e il suo lavoro su Bowie: è come se Thurston avesse piazzato i Duran Duran in una sorta di secondo episodio di Heroes.
Se lì il suono era quello degli occhi sbarrati dell’anfetamina di chi bazzica l’oscurità vitalista dei fantasmi di Berlino Ovest e dei suoi club notturni, qui trattasi di gioventù inebriata da una sete di scoperta che abbraccia la luce di un sole atomico che già penetra buchi nell’ozono in avvicinamento. Ma nello stesso tempo già di partenza (e quindi inconsapevolmente) drogata dal mondo sintetico in cui vive, dai cibi fino ai tessuti dei vestiti, e ovviamente sono sostanze stupefacenti nuove, più colorate e più efficaci di quelle spacciate sottobanco. Il sound dei Duran viene proprio da questo clash tra il suono rigoroso degli “zii” e l’urgenza senza filtri della band di “pronipoti”: suono che poi inevitabilmente perderanno con la maturità e che – in un certo senso – coincide con la prima fase di declino post Arena. Un po’ come quando un bambino innocente diventa improvvisamente adulto, spaventandosene a morte ma oramai è costretto ad andare fino in fondo.
9Ha fatto a meno del basso Fender
Se è vero che nell’underground il basso ha avuto gente come Jah Wobble o Mick Karn che usava marche di un certo livello che per molti erano roba marziana, è anche vero che il basso tipico del pop – e non solo – era il Fender Precision. Bene, John Taylor eroicamente punta su una marca giapponese, ovvero la Aria, imbracciando un modello Pro II che era di poco più costoso del suddetto strumento di marca americana. Con questo tipo di basso, oltre a dare un trademark a tutto il disco, sarà tra i pochi a renderlo immortale. Se pensate che i più famosi fruitori di tale arnese sono Taylor e il grande Cliff Burton dei Metallica, capirete che nulla accade per caso. È anche grazie a questo basso che i riff nervosi di John, a metà tra dance, funk e punk (ricordiamolo nel supergruppo Neurotic Outsiders con Steve Jones, Duff McKagan, Matt Sorum, insomma tutti “i peggio” della scena rock) sono entrati nella storia per i terzinati cristallini e per un pulsare che, grazie al selettore di toni a sei vie, riesce allo stesso tempo a essere efficace e versatile sia in un contesto “tradizionale” che elettronico. Cosa che permetterà una vera e propria simbiosi con il drumming spezzato di Roger Taylor, sia nelle performance con i tamburi che con i pad della drum machine. Uno dei tanti indizi che i Duran Duran erano qualcosa di diverso dalla solita pappa: e da quel momento non sarà difficile vedere i bassisti pop sbizzarrirsi nella ricerca di modelli di basso personalizzato.
10Ha anticipato le boy band (ma loro non lo erano)
Sì certo, vedendo le pose dei Duran all’epoca, le foto per il fan club e via dicendo un figlio degli anni ’90 potrebbe pensare che fossero tipo i Backstreet Boys o i Take That, cioè boy band in cui l’immagine e i rapporti con il pubblico in prevalenza femminile e giovanissimo rappresentano le basi del successo. C’è anche qualche giornalista attempato che ha osato fare questo paragone, ad esempio Red Ronnie. Beh, così non è: i Duran Duran sapevano suonare, e suonavano. Che poi in effetti il loro concetto di intrattenimento sia una prima avvisaglia del fenomeno delle boy band, ci può stare, ma a livello pratico la ricerca del bello nelle foto promozionali e soprattutto nella copertina di Duran Duran non è fumo negli occhi, ma è figlia del glam, dei Roxy Music e dell’estetica rimmel e lucidalabbra dei Japan, è una dichiarazione di presenza nel mondo.
È vero però che le prime immagini contenute in quest’album sono derivate da un modello preciso, ma sono anche l’inizio di qualcosa di inedito e di poco calcolato in cui l’apparenza supera la sostanza. Probabile che da Seven fino al culmine di Arena i nostri stessero pensando più a farsi fare foto che alla musica, certo: d’altronde sono gli anni degli eccessi, della confusione mentale, del successo difficile da gestire che poi culminerà con lo sfaldamento della band, ma nell’81 i nostri sono ancora immacolati. E poi, se è vero che proprio in Arena ascoltiamo il primo arrancare di alcune performance, questo rimane comunque nell’ottica del mestiere, gente che quindi suona e non ha bisogno di basi, di session man e di quella perfezione di plastica che è – appunto – roba delle boy band citate. Nonostante questo, l’isteria di massa sarà identica: certo, è capitato anche ai Beatles, ma i Beatles alla fine nel mare di urla delle fan non si sentivano. I Duran si sentivano eccome, e forse l’equivoco sta proprio qui. Meno male, perché passati quarant’anni abbiamo ancora bisogno di ascoltarli: Duran Duran, con la sua urgenza naïf, rimane un inno giovanile transgenerazionale invincibile su questo dannato “pianeta terra”.