“Prima della guerra” Eugenio Finardi (1981)
Finardi è stato sempre sul pezzo quando si trattava di prendere posizione contro la guerra, ad esempio con Giai phong, che si rifaceva all’invasione americana del Vietnam, o con Soweto, nel quale condanna apertamente sia l’apartheid che la guerra Iran-Iraq e quella russa in Afghanistan, prendendo posizione contro la vendita di armi da parte dell’Europa e dell’Italia. Nel disco Finardi del 1981 c’è un brano che parla di guerra nucleare; si chiama Prima della guerra, il testo è di Valerio Negrini, lo storico paroliere dei Pooh. Era nato per il disco in inglese di Finardi Secret Streets, con i testi di Mike Harris, e parlava della Polonia sotto Jaruzelski. Negrini lo trasforma in un quadretto post apocalittico e moderatamente fantascientifico: roba di “macchine centrali” che generano “soli artificiali”. La gente “accendeva certi specchi intelligenti / e arrivavano immagini e voci dai posti più distanti”, che sembra il nostro mondo attuale. Il protagonista cerca di recuperare informazioni su una civiltà estinta da un conflitto che si sottintende atomico, ma non riesce a ricostruire l’accaduto: “doveva essere grande una città / quel tempo di tanto tempo fa”, chiosa Finardi con desolante realismo. È un potente rock con influenze new wave e viene dal periodo “internazionale” di Eugenio, quando alla guerra metropolitana di Milano fatta di autoriduttori preferiva il giro dello Stone Castle di Carimate.
“Ciao” Lucio Dalla (1999)
Lucio Dalla ha sempre parlato di guerra nelle sue canzoni, il più delle volte in maniera sottile con chiare eccezioni come Se io fossi un angelo (“E sulla testa vi piscerei sui vostri traffici sui vostri dollari / sulle vostre belle fabbriche di missili”), nell’allucinata Washington e nella rassegnata 1999 dove la pace letteralmente “scoppia”, chiaro riferimento all’esplosione nucleare che spazza via tutto e lascia solo pochi superstiti e di conseguenza una pace mortifera. C’è però un brano dove è importante il discorso dei profughi. Nel caso di Ciao, Dalla parlava della guerra in Kosovo, ricordando che “non l’hai capito ancora che siamo sempre stati in guerra / anche il 15 a Viserba / in guerra con noi stessi e poi anche con gli altri”. La voce interiore che grida “e la colpa di non so di chi” è la stessa che tace quando è il momento di andare “sulla spiaggia di Riccione / la sabbia e l’ombrellone / abbronzati un coglione” e tutto sembra distante anche se siamo proprio noi ad alimentare ogni giorno i conflitti con il nostro cinico consumismo. Capolavoro di Lucio che – coadiuvato da Tullio Ferro dei Luti Chroma, co-autore di Vita spericolata – oltre al testo degno di un Roversi tira fuori una miscela musicale a base di jungle e struggenti archi. Nel testo di Dalla si mette l’accento sul fatto che il saluto dei profughi in Italia (quel semplice ciao, parola che dovrebbe aprire alla ricostruzione di una nuova esistenza) in quelle circostanze recupera il significato originale, cioè “sono il tuo schiavo”, facendo del brano uno dei più accorati atti di denuncia sociale del cantautore bolognese contro lo sfruttamento delle tragedie di guerra.
“Il giorno prima” Pooh (1984)
Sebbene molti lo ignorino, i Pooh hanno scritto diverse canzoni antimilitariste, spesso all’interno di un impianto leggendario ed epico. Parsifal è ad esempi la storia di un disertore che sceglie l’amore al posto della guerra. Classe 58 è un pezzo contro la leva – uscito anni prima di Prima guardia dei Litfiba – e Il giorno prima è un potente e drammatico quadretto sull’imprevedibilità di un’esplosione atomica imminente. Negrini in questo pezzo si supera, descrivendo la quotidianità della gente che può essere improvvisamente disintegrata in pochi secondi “e potrebbe essere anche domattina / coi banditi in banca per una rapina / coi bambini a scuola ad imparare il mondo”. Ovviamente nessuno riesce a credere a una cosa del genere, ma “il bottone selvaggio e di un bel rosso pulito / e aspetta soltanto qualche vecchio soldato / con la faccia di cera con le chiavi ed i guanti / con la faccia severa / con le croci davanti”. Non è solo un modo per sensibilizzare a proposito dell’assurdità della Guerra fredda, ma anche un’allerta sui rischi della deterrenza atomica. Basta un folle e la festa è finita: “E noi / siamo qui… a pensare che oggi porta dritto a domani / a camminare sull’acqua per fermargli le mani”. Musicalmente oscuro e caratterizzato da un suono digitale, Il giorno prima è un cut and paste di tre momenti musicali diversi che hanno tanto un piede nel progressive e l’altro nel post punk: la cosa caratterizza il brano come uno dei più “indigesti” della band. La sua lunga gestazione risalirebbe addirittura al 1977, quando i Pooh utilizzavano una sezione del pezzo come introduzione strumentale allo scopo di legare le esecuzioni live dei loro successi.
“Guerra e pace” CCCP (1987)
Tra gli artisti italiani, i CCCP sono quelli che più hanno denunciato e descritto “il socialismo e la barbarie” dei tempi moderni, così come i CSI hanno dedicato al conflitto veri e propri concept album (vedi Linea Gotica). Questo è forse il brano che mette i puntini sulle i rispetto allla dicotomia tra pace e guerra. Versi come “la pace è guerra con spreco di licenze / la guerra è pace con spreco di ordinanze” non danno adito a dubbi, cantati da un’alienata quanto popolare “voce ineducata” di Annarella, in una delle sue poche e intense interpretazioni. Giovanni Lindo Ferretti entra nel ritornello esclamando “E noi che siamo esseri liberi / un ciclo siamo macellati e un ciclo siamo macellai”. Il brano è un valzer, un esperimento spettacolare di liscio punk che nel ritornello esplode con uno strumming à la Crass di Nagasaki Nightmare, dove la melodia è abolita e c’è solo un riff di due note ossessive mitragliate. È il lato B, tra l’altro, della velenosa Battagliero che beffardamente perculava le ambizioni eroiche degli estremisti di destra usando la stessa formula musicale mista, sostituendo il valzer con un tango. Solo che lì l’effetto è goliardico, in Guerra e pace è angoscioso.
“Fuoco sui giocattoli” Enrico Ruggeri (1983)
Enrico Ruggeri ha scritto parecchie canzoni contro la guerra (ricordiamo Primavera a Sarajevo) e non ha mai nascosto una profonda idiosincrasia per la retorica degli opposti schieramenti, soprattutto negli anni ’80. In Fuoco sui giocattoli, contenuta nel suo album simbolo Polvere, si narra dell’insostenibile vivere oltre la Cortina di ferro, ma non si fanno sconti neanche all’altra sponda: “Un commando di ragazzi è già sull’altro fronte / sparano da rive opposte ed è crollato il ponte / tendono le mani per non scivolare giù / e i soccorsi adesso non si fan vedere più”. La guerra nasce non tanto per i “muri che ci dividono” (l’allusione al muro di Berlino è evidente), quanto per le catene che tengono la mente prigioniera di un sistema di pensiero totalitario sia nella democrazia che nella dittatura: alla fine restano solo “rovine lungo il campo di battaglia”, non si risolve nulla. Ascoltato oggi, fa trasalire per la perfetta descrizione di certe dinamiche che stiamo vivendo. Arrangiato con algido spirito new wave, per la sua rotonda tensione digitale è anche e soprattutto attuale dal punto di vista musicale.
“W la guerra” Ivan Cattaneo (1980)
Uno come Ivan Cattaneo non poteva che ragionare da alieno: in W la guerra prende appunto le parti di un marziano che decide supra partes di eliminare per sempre il bellicoso pianeta azzurro: “la Terra io distruggerò…”. Basta “popoli protonucleari” o lolite cinesi che si vendono alla Coca Cola in una contraddizione insolubile tra turbocapitalismo e iperdittatura del proletariato. Questo marziano potrebbe essere Dio, un Dio incazzato che non sopporta più i bambini affamati in Uganda e i continui conflitti e decide di darci un taglio facendo esplodere tutto. È una guerra che viene dall’alto e in effetti in caso di invasione aliena il mondo rimarrebbe spaccato e incapace di reagire perché appunto diviso, trovandosi di fronte alla propria stupidità. Il tutto montato sopra un glam rock potente iniettato di punk (l’invettiva ricorda Let’s Have a War dei Fear, che uscirà due anni dopo).
“Rocky, Rambo e Sting” Antonello Venditti (1986)
In Rocky, Rambo e Sting Venditti se la prende con questi personaggi che divulgano una visione facilona e chiaramente orientata in maniera occidentale della soluzione dei conflitti. I personaggi di Stallone sono criticati per l’esaltazione della democrazia americana che porta giustizia come fosse l’unico sistema possibile. Sting (che all’epoca aveva pubblicato Russians, ndr) viene preso di mira in quanto “diplomatico della domenica”, che tende a fare la figura dell’illuminato, immacolato, sempre dalla parte dei buoni dimenticandosi di aver lasciato sola “la polizia” (ovviamente i Police, che erano infinitamente più onesti e umani nei loro messaggi sociali). Il pezzo ha dei buoni momenti quando è all’opera il sax di Enzo Avitabile, che in quanto ad ambasciatore di pace non ha bisogno di presentazioni. Contiene anche un cameo di Carlo Verdone alle percussioni, che nello stesso anno girerà Troppo forte, una commedia sulle tipologie di Rambo de periferia e guerrafondai all’amatriciana che in quegli anni andavano per la maggiore.
“Ninna nanna nanna ninna” Claudio Baglioni (1974)
Prendete …E tu e guardate la copertina: è il profilo in controluce di una coppia che si ama, potrebbe ricordare Il Guardiano del Faro e le peggio commercialate. Impossibile pensare che l’album contenga qualcosa di anche vagamente impegnato. Invece spunta questa versione musicata da Baglioni di una poesia del poeta dialettale romano per eccellenza, Trilussa. Il titolo originale è Ninna nanna della guerra, e il cantautore romano ne riadatta il titolo in maniera generica per ottenere un effetto sorpresa. I versi di Trilussa sono una stoccata contro tutte le guerre, dal commovente incipit, che parla da solo: “Ninna nanna nanna ninna er pupetto vo la zinna / fa la ninna dormi pija sonno / che si ddormi nun vedrai tante infamie e tanti guai” fino a smascherare il fatto che “la guera è un gran giro de quadrini / e prepara le risorse per i ladri delle borse”. È il pezzo con cui Baglioni, durante il concerto Human Rights Now! del 1988, è riuscito a disarmare i bellicosi hater che pensavano fosse indegno di stare su quel palco. Dopo una sassaiola di ortaggi e lattine Baglioni chiama il pezzo ed entra in scena Peter Gabriel (in quel periodo l’italiano stava registrando Oltre nei Real World Studios) con il quale duetta. La folla viene sedata dal messaggio chiaro ed eterno di Trilussa: se vuoi fare la guerra, hai torto in qualsiasi caso.
“Delenda Carthago” Franco Battiato (1993)
Battiato in un certo senso è come Bennato: la guerra e le sue sconcezze attraversano gran parte della sua produzione, ma mentre Bennato con cose come Arrivano i buoni e Viva la guerra è – anche se grottescamente ironico – piuttosto esplicito, Battiato tocca l’argomento dipingendo momenti storici (la splendida Il sole di Austerlitz per Giuni Russo) o lanciandosi in previsioni geopolitiche neanche tanto fantasiose (vedi l’inquietante L’esodo, in cui l’umanità è pronta ad emigrare in altri pianeti prima dell’ultima “grande esplosione nucleare”). Nel caso di questa canzone, c’è un chiaro paragone tra la sete di dominio dei moderni monarchi e la storia della distruzione di Cartagine da parte dell’Impero romano, che si gusta le sue conquiste mandando negli stadi la gente a morire per il divertimento del popolo bue ignaro che, molto presto, crollerà anche lui miseramente. La chiusura è affidata al poeta latino Properzio: “per ammassare ricchezze, sei tu, denaro, la causa di una vita agitata. A causa tua prendiamo prima del tempo la strada della morte, ai vizi degli uomini fornisci dei crudeli pascoli, dalla tua testa germogliano i semi degli affanni”. Tutto chiaro no? E a sottolineare la ciclicità della follia belligerante c’è una musica circolare marcatamente world (come d’altronde gran parte del disco da cui è tratto il brano, ovvero Caffè de la paix) che quasi esprime pena per l’idiozia e l’arroganza del potere, che non sa di essere già morto nel momento in cui trionfa.
“Ragazzo dell’Europa” Gianna Nannini (1982)
Per concludere, scegliamo uno dei più grandi pezzi contro la guerra mai scritti in Italia. Ragazzo dell’Europa di Gianna Nannini è la storia di un ragazzo polacco in fuga dalla guerra: “Tu che incontri tutti per caso / non ritorni a Varsavia per non fare il soldato / ora vivi in mezzo a una sfida / per le vie di Colonia e non sai dove andrai” che rifiuta il blocco sovietico e che è a tutti gli effetti un punk gender fluid (“tu che prendi a calci la notte / bevi fiumi di vodka e poi ti infili i miei jeans”). E attenzione, è anche antinazionalista e dunque anarchico: “tu non pianti mai bandiera”. Nel suo commovente e struggente andamento in cui si mescolano rassegnazione e voglia di vivere, il brano unisce musica classica dell’est Europa, new wave inglese, kraut tedesco e canzone napoletana (il ritornello arioso con tanto di mandolini parla chiaro e sarà il prodromo all’esperimento riuscitissimo di Fotoromanza), come a unire diversi aspetti della cultura europea.