Rendere omaggio a Battiato il giorno del suo compleanno significa ripercorrere la vita, e la carriera, di quello che è forse l’artista più affascinante ad aver prestato la propria musica e le proprie parole alla scena italiana, regalando capolavori indelebili a un pubblico che non ha mai smesso di amarlo, per quanto camaleontica e variegata possa essere stata la produzione del Maestro nel corso degli anni. Racchiudere l’opera di Battiato in una manciata di brani è impresa ardua, probabilmente impossibile, tanti sono i colori e le sfumature custoditi dalla sua capacità compositiva e da un’espressività e un timbro vocale tali da raggiungere corde ad altri impensabili. Si pensi a un brano come Lode All’Inviolato da Caffè de la Paix del 1993, dove la voce dell’artista si trasforma in un violino per raccontare del “Diavolo mancino” di Paganini o alla passione timida e strozzata de La canzone dei vecchi amanti, con cui Battiato reinterpretò il capolavoro scritto da Jacques Brel. Ogni canzone scritta da Battiato è un gioiello che ognuno di noi conserva segretamente, ognuno con i propri ricordi, e non esiste momento migliore per ringraziare il Maestro che nel giorno del suo compleanno, ricordando il suo genio con cinque dei suoi capolavori.
L’era del cinghiale bianco (1979)
Tratta dall’omonimo album, questo brano rappresenta il ritorno alla ‘forma canzone’ dopo il periodo sperimentale in cui Battiato, da precursore com’è sempre stato, si spese tra musica d’avanguardia e sintetizzatori, realizzando opere maestose come Fetus e Pollution, senza dimenticare l’inquietudine di Clic o i volteggi sonori di L’Egitto prima delle sabbie. Infatti, se da un lato la firma con la EMI siglò il debutto davanti al grande pubblico, non si dimentichi che si trattò comunque di un ingresso quanto mai sui generis – à la Battiato per intenderci – tanto quell’album era impregnato del misticismo e dell’occulto delle opere di René Guenon, stella fissa cui Battiato non smise mai di riferirsi, esplicitato ne Il Re Del Mondo, canzone con cui il richiamo all’esoterista francese si palesa già dal titolo. Con L’Era Del Cinghiale Bianco, l’artista cercò nella musica e nelle parole una fuga dal presente verso un’era mitologica, atemporale, cui le leggende degli antichi Celti si riferivano per rappresentare uno stato di ‘conoscenza assoluta’, che forse Battiato intravide, fra alberghi tunisini, sigarette turche e profumi nell’aria della sera.
Prospettiva Nevski (1980)
Tratta da un album ancora fortemente influenzato dal tema della fuga dal presente e dalla cultura contemporanea – un esempio su tutti, la terza strofa della title track Up Patriots To Arms – Prospettiva Nevski è una gemma d’intimità, dove la quiete e il freddo delle strade di San Pietroburgo quasi contrastano con il ritmo e gli arrangiamenti impetuosi del resto del disco. Battiato racconta della Russia immediatamente dopo la Rivoluzione del 1917, ritratta attraverso uno sguardo spoglio e immobile – lo stesso che descrisse la Berlino sovietica di Alexander Platz – in cui si specchia il cadere della neve o “La grazia innaturale di Nižinskij” fino alla luce finale, nello spiraglio dell’alba dentro l’imbrunire.
Cuccurucucù (1981)
Tra memorie di gioventù, citazioni rock ‘n’ roll e la fantasia di Battiato che viaggia oltre il tempo e lo spazio – da rimandi all’Iliade fino a rincorrere i pellerossa americani – Cuccurucucù è forse la canzone che meglio può raccontare dell’impensabile successo raggiunto con la pubblicazione de La Voce Del Padrone, primo album firmato dall’artista siciliano a infrangere il traguardo del milione di copie vendute in Italia. Attraverso un un testo che sembra scritto da un poeta beatnik, con Cuccurucucù Battiato si perde fra ricordi e visioni, tanto da confondere l’Io in un labirintico non-sense di immagini per poi tornare dalla sua metempsicosi rock, alla ricerca della propria identità e di un Centro Di Gravità Permanente. La Voce Del Padrone è un capolavoro assoluto, con cui Battiato riscrisse nuovamente pagine e pagine di musica italiana. Un’opera non determinabile in un singolo brano ma che si disperde fra le regole dell’Universo de Gli Uccelli o nelle meccaniche celesti di Segnali Di Vita, canzoni che il Maestro regalò al suo pubblico in un medley vertiginoso – completato da Bandiera Bianca e Sentimiento Nuevo – raccolto nell’album dal vivo Last Summer Dance.
No Time no Space (1985)
Dopo le “zingare del deserto” e i “regni di sciamani” verso cui si era spinto in Voglio Vederti Danzare nel 1982, o la struggente nostalgia de La Stagione dell’Amore del 1983, Battiato s’imbarcò verso Mondi Lontanissimi con l’imponente No Time No Space. Un pellegrinaggio ‘digitale’ in cui Battiato si perde fra sistemi solari immaginari, oltre lo spazio e il tempo, verso “civiltà sepolte” e “continenti alla deriva”. Anche attraverso l’ironia del video, Battiato usò il viaggio cosmico per accennare della meditazione di cui è sempre stato seguace, di una ricerca verso ‘un’altra vibrazione’ e una sapienza oltre-umana, raggiunta passando dai ‘ritmi ossessivi’ dei loop e degli arpeggi con cui l’artista recuperò i sintetizzatori impazziti degli esordi, modulandoli in uno dei suoi successi più celebri.
La Cura (1996)
Chi altro meglio di Battiato è riuscito a scrivere d’amore senza mai inciampare nella tentazione della banalità? Fra tutte scegliamo La Cura, forse la sua canzone più celebre, ricca di una potenza lirica tanto commovente da ricordare il capolavoro di Eugenio Montale Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale. Come Montale, Battiato sussurra di un amore infinito: parole che suonano come l’ultima carezza, senza disperazione, prima di un addio, prima di superare insieme “lo spazio e la luce” verso l’eterno. Cercare di descrivere un’opera d’arte come La Cura, con parole che non siano di Battiato, sminuirebbe l’immagine di un amore raccontato in versi che vanno al di là del significato, per cui non resta che riascoltarla e perderci nella sua voce, aggiungendo – ancora una volta – “Buon compleanno Maestro”.