La storia dei Clash si è consumata in un arco temporale piuttosto breve. Nel giro di otto anni, la band di Joe Strummer ha pubblicato sei album, mostrando una capacità di sperimentare ed evolversi che nessuno si aspettava da una punk band. Abbiamo provato a metterli in ordine, rigorosamente dal peggiore al migliore.
6 “Cut the Crap” (1985)
Per comprendere l’imbarazzo legato a Cut the Crap e alla vicenda da cui è nato, basti pensare che per anni la band lo ha escluso dalle liste degli album ufficiali. D’altra parte, come può essere considerato tale un disco che non vede più Mick Jones e Topper Headon in formazione? Al di là dell’aspetto sentimentale, sono soprattutto i brani a deludere: nulla o quasi ricorda il gruppo che fino a qualche tempo prima ha sconvolto il mondo. “The dream is over”, avrebbe detto John Lennon.
5 “Combat Rock” (1982)
È il disco di Should I Stay or Should I Go, Rock the Casbah e Straight to Hell, tre pezzi per cui molte band venderebbero l’anima al diavolo. Tuttavia, Combat Rock è anche il primo album a mostrare le crepe che avrebbero portato alla fine della band. Strummer e soci sembrano intenzionati a raggiungere il pubblico più vasto possibile piuttosto che a proseguire il percorso artistico all’insegna delle commistioni di generi di Sandinista!. È un lavoro comunque fondamentale per comprendere appieno la parabola dei Clash.
4 “Give ‘Em Enough Rope” (1978)
Il punto di passaggio tra la furia punk dell’album di debutto e l’esplosione di creatività di London Calling. La Columbia suggerisce di lavorare col produttore Sandy Pearlman, collaboratore dei Blue Öyster Cult, una scelta controversa. Il suo modo di lavorare e le sue idee rendono meno esplosivi i Clash, che in ogni caso iniziano a virare dal punk alle contaminazioni che li renderanno celebri da lì a poco. I testi di Strummer si fanno più maturi e il trittico d’apertura composto da Safe European Home, English Civil War e Tommy Gun lascia senza fiato.
3 “Sandinista!” (1980)
Un triplo album ambizioso e debordante. A differenza di London Calling, però, i 145 minuti di Sandinista! non sempre riescono a centrare appieno l’obiettivo. La sensazione è che la voglia di superare i propri limiti abbia portato i Clash a eccedere. L’unica pecca del quarto album del gruppo sta tutta qui: se avessero scelto di escludere qualche brano, forse il risultato finale ne avrebbe giovato, rendendo anche Sandinista! un album da cinque stelle.
2 “The Clash” (1977)
Uno dei capolavori della prima ondata punk inglese e della musica tutta, vera e propria dichiarazione d’intenti di una band che sta iniziando a oscurare il clamore suscitato dai Sex Pistols. A partire dall’immagine di copertina, The Clash si candida a vero e proprio manifesto della voglia di rivolta di una gioventù schiacciata da repressione e priva di speranza nel futuro. Il tutto condito da una consapevolezza e un’intelligenza sopra la media. È un disco incazzato, nudo e crudo. Eppure, quella cover di Police & Thieves fa già capire che i Clash non sono una punk band come le altre.
1 “London Calling” (1979)
Strummer, Jones, Simonon e Headon raggiungono l’equilibrio perfetto tra ragione e sentimento. I brani classificabili come punk sono praticamente scomparsi, ora sono la mescolanza di generi e la complessità compositiva a fare da padrone. Rock, ska, pop, ma anche reggae, rockabilly e jazz convivono perfettamente in un mix impossibile da categorizzare. È la dimostrazione che il punk non era uno stile musicale con caratteristiche ben definite, ma un atteggiamento. Uno dei vertici assoluti della storia del rock.