Ultimamente Stefani Germanotta, in arte Lady Gaga, è una presenza fissa su schermi e teleschermi degli italiani, ma per motivi che c’entrano poco con quelli che l’hanno resa famosa (ovvero i suoi album): a metterla al centro delle cronache sono i numerosi avvistamenti tra Milano e Roma sul set di House of Gucci, il film ad opera di Ridley Scott ispirato all’assassinio del celebre stilista, di cui Gaga interpreta la moglie nonché mandante dell’omicidio. Ma siccome il nostro mestiere è parlare prevalentemente di musica, nel giorno del suo trentacinquesimo compleanno la rimettiamo al centro, ricapitolando la sua discografia dagli episodi meno riusciti ai capolavori assoluti.
8“Cheek to Cheek” con Tony Bennett (2014)
Intendiamoci: non si tratta affatto di un brutto disco, anzi. La voce e la versatilità di Gaga le permettono di cimentarsi con qualsiasi genere e qualsiasi mostro sacro, ivi compreso l’intoccabile Tony Bennett, leggendario crooner che all’epoca aveva 85 anni e già ben 57 album all’attivo. Dopo essersi conosciuti durante la lavorazione della compilation di lui, Duets II (in cui tra gli altri collaborava con Amy Winehouse, Norah Jones e Mariah Carey), nacque l’idea di un album insieme, in cui i due reinterpretavano gli standard jazz più famosi di sempre, da Cheek to Cheek a Nature Boy fino a It Don’t Mean a Thing (If It Ain’t Got that Swing). Il risultato è senz’altro sofisticato e ben confezionato, tanto che come di consueto è arrivato in cima alle classifiche ed è stato premiato con un Grammy per il miglior album pop tradizionale, ma non è questa la versione di Lady Gaga che preferiamo.
7“Artpop” (2013)
Dopo il clamoroso successo dei primi tre album, questo quarto capitolo della carriera di Lady Gaga doveva essere la conferma del suo incredibile talento di cantante, songwriter e performer. E in effetti lo è stato, perché quanto a successo commerciale non è stato di molto inferiore ai suoi predecessori. Quello che forse è mancato, in questo progetto, è la presenza di singoli forti, iconici e trascinanti: il genere di canzoni che rimangono nel tempo e nell’immaginario collettivo e che è impossibile non cominciare a canticchiare mentalmente al solo leggerne il titolo, cosa che, senza nulla togliere ai brani in sé, non si può certo dire di Aura, Venus o Swine. Molti critici e fan bollarono Artpop come un lavoro a metà, quasi fosse rimasto incompiuto, ma anche in questo caso non si può certo parlare di un flop o di un progetto da buttare via.
6“Chromatica” (2020)
Sarà stata la pandemia, che ha fatto risultare un po’ appannati e fuori contesto gli exploit super orecchiabili e ballabilissimi di questa nuova Lady Gaga; sarà che è passato troppo poco dalla sua uscita per poter dire se si tratta di un album che resisterà o no alla prova del tempo; sarà che negli ultimi anni ci eravamo abituati a una Gaga più intima e intensa e meno spudoratamente pop; per tutti questi motivi Chromatica, che sicuramente meriterebbe un piazzamento più alto nella classifica degli album migliori di Nostra Signora Germanotta, si trova a galleggiare pigramente attorno alla metà della nostra lista. Non vogliatecene: siamo prontissimi a rivalutare la nostra opinione in futuro, quando brani come Stupid Love o Rain on Me (il premiatissimo duetto con Ariana Grande) saranno diventati dei nuovi classici.
5“The Fame” (2008)
L’album di debutto di Lady Gaga è imprescindibile nella collezione di dischi di qualsiasi amante del pop, e ha creato gli standard e i presupposti per tutte le artiste femminili che sarebbero arrivate nel decennio successivo. Dal look alle coreografie, dalla commistione con l’arte, il design e l’alta moda al sound pesantemente influenzato dalla dance e dall’elettronica, tutto in The Fame ha fatto scuola, a partire dai due singoli di punta, gli indimenticati e indimenticabili Poker Face e Paparazzi. L’unico rammarico è che un disco del genere non ci aveva fatto capire fin da subito le infinite potenzialità di Gaga anche in altri ambiti e sottogeneri: ci sarebbero voluti ancora anni prima di capire che è una gigantessa, sia che approcci una traccia iper-prodotta sia che si limiti a una performance piano e voce.
4“The Fame Monster” (2009)
A livello di concept (anche se lei li ha definiti lo ying e lo yang), The Fame Monster è una sorta di versione 2.0 del precedente The Fame, in cui in sole otto tracce Lady Gaga perfeziona e porta al suo massimo splendore il concetto di electropop che aveva sviluppato nel suo album di debutto. Anche in questo caso, è sufficiente nominare tracce come Bad Romance, Alejandro, Monster e la clamorosa Telephone, con il featuring di un’altrettanto clamorosa Beyoncé, per iniziare a canticchiarle senza soluzione di continuità. Una vera ode alle sue capacità produttive e alla sua professionalità, considerando che è riuscita a creare un immaginario così coeso e artisticamente valido mentre la fama le esplodeva intorno con tutti i suoi alti e bassi.
3“A Star Is Born” con Bradley Cooper (2018)
Tecnicamente non fa parte della discografia ufficiale di Lady Gaga, in quanto è una colonna sonora, ma è impossibile non associarla a lei. La star del film, nonché la mente dietro le premiatissime musiche che lo accompagnano, è proprio Gaga, il che si è automaticamente riflesso anche sui risultati del disco in classifica: ha spopolato in mezzo mondo. E nonostante molte delle ben 19 tracce siano dei puri riempitivi, funzionali all’accompagnamento di alcune scene, vale l’acquisto anche solo per tre brani che svettano su buona parte della produzione pop di quell’anno: l’intensa Always Remember Us This Way, la commovente I’ll Never Love Again e il duetto dei duetti, Shallow, quello che ci ha convinto una volta per tutte che lei e Bradley Cooper erano destinati a stare insieme, nonostante tutti ormai sappiamo che si trattava solo di finzione cinematografica.
2“Born This Way” (2011)
L’album della consacrazione di Lady Gaga, nonché quello che segna la sua transizione da diva del pop in stile Madonna – capace di ballare, cantare, dettare la moda e le tendenze con i suoi look e cambiare la prospettiva e la percezione del grande pubblico con le sue dichiarazioni – ad artista a 360 gradi, dalla grande maturità e dalle sfumature vocali potenzialmente infinite. Per gli italiani, impossibile dimenticare il suo magico medley piano e voce di Born This Way e The Edge of Glory in occasione dell’Europride 2011 al Circo Massimo di Roma. Da lasciare tutti senza fiato.
1“Joanne” (2016)
Per quanto ci riguarda il lavoro più intimo, personale e riuscito di Lady Gaga, paradossalmente, è anche quello che si allontana di più dal suo stile abituale, il che è un’ulteriore conferma del fatto che a livello artistico il suo unico limite è il cielo, come si suol dire. Confezionato gomito a gomito con il produttore degli anni ’00 per antonomasia, Mark Ronson, è ispirato dalla figura della zia paterna, Joanne (che non a caso è anche il secondo nome di Stefani Germanotta), morta giovanissima a causa di una malattia autoimmune. È influenzato da atmosfere folk, rock e country, e ci regala due brani che, in una veste diversa e con un arrangiamento adeguato ai tempi, non avrebbero sfigurato nel repertorio di Dolly Parton o Johnny Cash: il super-singolo multiplatino Million Reasons e soprattutto la straziante title track Joanne, che strapperebbe una lacrima perfino a una statua di sale.