È un caso raro nella storia del rock (come loro, in parte, i Gong): una band che crea una propria mitologia, un concept sul quale basare la propria immagine, il proprio credo, il messaggio e le relative musiche. A concepire tutto questo è un folle genio chiamato Christian Vander, batterista francese innamorato, o sarebbe meglio dire illuminato da John Coltrane e dal suo free jazz metafisico. Folgorato, Vander molla i fumosi jazz club e crea la sua cosmogonia. Immagina un pianeta utopico denominato Kobaïa, vero paradiso sul quale una colonia di terrestri stanchi del materialismo imperante decide di rifugiarsi.
Quella che all’inizio poteva essere concepita come una delle tante fughe nell’immaginazione, figlia di anni nei quali la fantasia è al potere, si trasforma presto in un’epopea. Vander non si accontenta di narrare le vicende legate a Kobaïa, costruisce un nuovo idioma con tanto di regole grammaticali con i quali si esprime in qualità di vocalist e concepisce musiche fuori da ogni grazia di dio. Veri excursus extraterrestri che fondono l’anelito del jazz mistico di Coltrane con il rock più tellurico/cangiante di scuola progressive e i cori imperiosi/martellanti dei Carmina Burana di Carl Orff. A dare man forte al batterista arriveranno la moglie Stella e una serie di incredibili musicisti. Il risultato sarà una formazione aperta chiamata Uniweria Zekt Magma Composedra Arguezdra, poi più brevemente Magma.
I Magma creano un genere musicale a sé stante denominato zeuhl e durante gli anni ’70 danno vita alle loro opere migliori (anche se la qualità non è mai venuta meno). Per questo abbiamo deciso di classificare gli otto album di quel decennio, con un’avvertenza: per conoscere a fondo l’odissea magmatica sarà consigliabile procurarsi tutto il corpus discografico che va a comporre un gigantesco unico album che è la bibbia del pianeta Kobaïa.
Wurdah Ïtah
1974
Inizialmente pubblicato a nome del solo Christian Vander, Wurdah Ïtah (che si può tradurre dal kobaïano come “Terra morta”) è la colonna sonora della pellicola di Yvan Lagrange Tristan et Iseult. Un album (seconda parte di una trilogia denominata Theusz Hamtaahk, “Il tempo dell’odio”) che vede lo schieramento di una strumentazione più scarna rispetto al solito (batteria, basso, chitarra e voce) ma che non fa mancare le consuete atmosfere surreal-marziali.
Attahk
1978
I tempi cambiano e incredibilmente anche la musica senza compromessi dei Magma si adegua. Nel 1978 in Attahk si sentono funk, rhythm & blues, gospel, addirittura pop. C’è da non crederci, ma funziona alla perfezione rendendo più fruibili (nel senso migliore del termine) le partiture dell’ensemble.
Üdü Wüdü
1976
Üdü Wüdü si farà ricordare sopratutto per gli stupefacenti 18 minuti di De Futura, uno dei pezzi più possenti e apocalittici mai concepiti: oscuro, grottesco, magnificamente progressive, con un lavoro al basso di Janik Top che non teme rivali in quanto a potenza, ad ogni tocco le lancette schizzano sul rosso. Nella suite, se ce ne fosse stato bisogno, i Magma testimoniano il loro essere “alieni”.
1.001° Centigrades
1971
Sebbene lo zeuhl dei Magma non rappresenti esattamente una passeggiata per un ascoltatore non smaliziato, 1.001° Centigrades si dimostra accessibile per chi amq il progressive jazz-rock. È quindi un ottimo disco da cui partire per esplorare le sonorità dell’universo kobaïano. Curiosità: la prima traccia, Rïah Sahïltaahk, verrà ampliata e ri-registrata nel 2014 fino a formare un intero album.
Magma
1970
Suddiviso in Le voyage e La découverte de Kobaïa, il primo (doppio) album dei Magma racconta dell’addio alla Terra e del viaggio alla volta di Kobaïa. Il tutto senza ancora divagare nella loro tipica maestosa ossessività, ma concentrandosi su partiture nelle quali il jazz-rock la fa da padrone e concedendosi passaggi di grande bellezza a base di organo e flauto. La quiete prima della tempesta.
Live/Hhaï
1975
Solitamente in queste liste non si prendono in considerazione album dal vivo, Live/Hhaï è però un’eccezione, la forza sovrumana che la band sprigiona sul palcoscenico rende l’esperienza live totalmente diversa da quella in studio. Inoltre per metà il doppio album comprende brani inediti, con il violinista Didier Lockwood (all’epoca appena 18enne) sugli scudi. Un disco che fa sobbalzare sulla sedia con musica che non conosce momenti di stanca.
Köhntarkösz
1974
Tanto Mekanïk Destruktïw Kommandöh era concitato e senza respiro quanto questo è rarefatto e sospeso in un cosmo nero. I cori sono ancora protagonisti, ma c’è pacatezza e anche un pizzico di estro melodico in più, come la sezione all’inizio della parte 2, una straordinaria melodia che via via si fa più corposa e sfocia in un jazz-rock strumentale da paura. Köhntarkösz è parte di un’’pera più grande e maestosa, essendo il secondo movimento di una trilogia che troverà negli anni degna conclusione con K.A. (Köhntarkösz Anteria) del 2004) e Ëmëhntëhtt-Rê del 2009.
Mekanïk Destruktïw Kommandöh
1973
Ecco l’album che incredibilmente dona al gruppo fama mondiale, quello che bisogna ascoltare/possedere per entrare nell’universo Magma. Preparandosi a una musica devastante, apocalittica, gigantesca, annichilente. Ma anche in qualche modo fruibile, che penetra come una droga nel corpo ed eleva verso le alte sfere. Mekanïk Destruktïw Kommandöh è fatto di enormi cori oscuri e di una pazzesca macchina ritmica (Vander e Jannick Top) a schiacciare benevolmente l’ascoltatore. Dei Carmina Burana dell’anno 10.000 per un mondo distopico.