Battiato: uno e centomila. L’artista che spazia dalla musica leggera all’opera, che non teme di andare a volte anche contro se stesso. Il coraggioso che incide per anni dischi ostici, di scarso successo ma ampia visione, e poi tira fuori l’album più venduto della musica italiana e poi ancora si butta nella classica, nelle colonne sonore, nell’elettronica. Elettronica che è stata uno dei suoi primi amori e della quale è stato, in Italia, uno dei massimi esperti e divulgatori. E poi il progressive, la psichedelia, la musica contemporanea, quella per organo, per violino, per il balletto, la televisione, il teatro, i campionamenti ante litteram, i field recordings, i collage sonori, la techno, i suoni che avvicinano al misticismo e alla meditazione. Ci sono tantissimi Franco Battiato, così tanti da perdere la bussola.
Dopo avere affrontato la sua discografia pop ci addentriamo in questo repertorio colto e sperimentale. Sperimentazione che non si è affatto limitata agli anni ’70 e che non deve mai essere intesa come sinonimo di freddo laboratorio. In tutti i lavori di questo genere infatti, anche nelle cose più ostiche, permane quasi sempre la voglia di comunicare. C’è sempre il tentativo di allargare il campo sonoro-emozionale del fruitore, la voglia di facilitarne il cammino interiore, la crescita.
Ecco quindi la classifica di queste opere per molti versi inclassificabili, dotate di un fascino più sotterraneo, meno evidente dei lavori pop, ma figlie di una precisa volontà di Battiato: usare la musica per evolvere e fare evolvere il suo pubblico.
15“Benvenuto Cellini, una vita scellerata” (1990)
Colonna sonora dell’omonima fiction diretta da Giacomo Battiato (nessuna relazione parentale), Benvenuto Cellini è realizzata in piena solitudine da Franco con l’ausilio della tecnologia computerizzata dell’epoca. Sono 29 brevi composizioni caratterizzate da fasci elettronici a-melodici in costante collisione con particelle sonore campionate da opere classiche. Fascinoso ma poco funzionale senza le immagini.
14“Juke Box” (1978)
L’album nasce come colonna sonora per un documentario su Filippo Brunelleschi, ma i dirigenti Rai trovano la musica troppo astrusa e la scartano. Un po’ c’è da capirli: Juke Box è uno dei dischi meno comunicativi di Battiato. Musica contemporanea con un paio di pezzi per violino solo che lo stesso Franco non esitò a definire strazianti. Le cose interessanti però non mancano, ad esempio l’esangue Hiver, interpretata con grazia dalla soprano Alide Maria Salvetta o il canto belante di Juri Camisasca in Agnus (che racchiude un arrangiamento di archi che ritroveremo in Stranizza d’amuri), in un modo tutto suo, toccante.
13“L’Egitto prima delle sabbie” (1978)
Battiato ha sempre considerato la composizione omonima di questo disco come il suo apice. L’Egitto prima delle sabbie sono 14 minuti di arpeggi al pianoforte nei quali non è importante il suono in sé ma l’alone di armonici che questo suono crea. Con l’idea che concentrandosi unicamente su quelli si possa dimenticare ciò che ci circonda. È quindi capibile l’affetto di Battiato per questo brano creato appositamente per agevolare le sue sedute di meditazione. Sul retro i 18 rarefatti minuti di Sud Afternoon, per due pianoforti, nei quali il tessuto sonoro si assottiglia fino quasi a sparire.
12“Campi magnetici” (2000)
Ancora una colonna sonora, questa volta per un balletto coreografato da Paco Decina e commissionato dal Teatro del Maggio Musicale Fiorentino. In Campi magnetici Battiato torna alle atmosfere elettroniche di Clic, con l’aggiunta qua e là di un moderno battito ritmico dal sapore quasi techno. In altri punti la musica raggiunge momenti di stasi incredibile, pare sia totalmente ferma, galleggiante nel vuoto cosmico. Poi collassa in una sorta di buco nero e ingloba cacofonie apocalittiche quasi industrial. Nel marasma spunta a tratti anche la voce di Manlio Sgalambro che recita estratti da suoi libri.
11“Telesio” (2011)
È la terza opera di Battiato, basata sulla figura del filosofo Bernardino Telesio. Ha fatto parlare di sé soprattutto perché per la prima volta un’opera è stata messa in scena servendosi di ologrammi invece che di cantanti in carne e ossa. Telesio segue le caratteristiche delle precedenti mischiando classicismo ed elettronica, questa volta aggiungendo sporadicamente un certo afflato melodico, vedi l’intensa aria Un amore romano. In alcuni punti invece Battiato torna indietro nel tempo e approfondisce certe intuizioni di Zâ e L’Egitto prima delle sabbie.
10“M.elle le Gladiator” (1975)
L’amore del Battiato anni ’70 per il collage sonoro trova il momento di massimo fulgore nella suite che occupa la prima facciata del suo quinto album: Goûtez et comparez, quasi interamente basata su spezzoni a volte carpiti da radio e tv, altre creati appositamente. È un mondo caotico nel quale le voci, gli strumenti, le scenette teatrali e i rumori appaiono e scompaiono a ritmo vorticoso, non inscenando mai un esperimento fine a se stesso ma diventando, in un modo del tutto naturale e magico, musica. Nella seconda facciata Battiato si diverte invece a improvvisare in maniera ora meditativa, ora allucinata, sul maestoso organo della cattedrale palermitana di Monreale.
9“Messa arcaica” (1994)
Nel 1994 Battiato pubblica la sua Messa arcaica, divagazione rispetto alle opere liriche nella quale si concede il lusso di misurarsi con un tipo di composizione che nel passato è stata proposta da giganti come Giovanni Pierluigi da Palestrina, non a caso ammirato nonché campionato molte volte nei lavori del siciliano. La messa di Battiato non concede nulla alla sfarzosità, è anzi dimessa e rarefatta, musica che funge da tramite per le sfere divine.
8“Joe Patti’s Experimental Group” (2014)
L’ultimo album in studio di Franco Battiato chiude il cerchio della sua carriera tornando alla sperimentazione degli anni ’70. In realtà già con Campi magnetici si era rifatto a quel tipo di sonorità e infatti Joe Patti’s Experimental Group sembra a tratti il gemello della colonna sonora del 2000, con momenti fermi, ritmati e apocalittici. Ci sono però precisi richiami ai ’70, vedi il ripescaggio del vecchio inedito Novena (in Leoncavallo, basato su un frammento concertistico del 1976) o la ripresa di Propiedad prohibida, che adesso diventa Proprietà proibita e concretizza ciò che è sempre stato: un pezzo IDM quando ancora questa sigla non esisteva.
7“Battiato” (1977)
Battiato è il primo capitolo della trilogia Ricordi, i dischi più ostici del catalogo dell’artista. Molti ricordano questo disco per il brano che occupa l’intera facciata A, quel Zâ che a un ascolto distratto può apparire come null’altro che un accordo di pianoforte reiterato per 20 minuti. Se si fa attenzione però si capisce che il metodo di ascolto è lo stesso che caratterizzerà L’Egitto prima delle sabbie: serve focalizzarsi sugli aloni sonori creati dagli armonici per entrare in uno stato meditativo e perdere la cognizione di tempo e spazio. Cafè-Table-Musik sul lato B prosegue sulla scia del collage con alcune scenette prelevate da Baby Sitter, opera teatrale diretta dallo stesso Battiato. In mezzo a tanta bizzarria, tre momenti per pianoforte che sono tra le sue cose più belle mai composte.
6“Gilgamesh” (1992)
Nel 1992 è il momento di una nuova opera lirica, basata questa volta sulla narrazione delle gesta del mitico re sumero. In realtà solo il primo atto si occupa di ciò, nel secondo, ambientato nella Sicilia del 1240, assistiamo alla reincarnazione di Gilgamesh nelle vesti di un maestro sufi. Battiato prosegue nel suo vorticoso miscuglio di stili e culture che dalle ere arcaiche al futuro si specchia in una musica che spesso è lirica solo sulla carta, in realtà rappresenta un reale e moderno sviluppo delle istanze classiche e contemporanee. Nel tutto la voce narrante di Juri Camisasca avvolge per intensità e calore.
5“Clic” (1974)
Con Clic entriamo tra i capolavori anni ’70. Battiato dedica il lavoro al compositore che lo sta maggiormente influenzando, Karlheinz Stockhausen, il padre dell’elettronica. Nell’album del ’74 Battiato si traveste da sciamano futuribile, avanti rispetto a tutti: crea l’IDM e l’ambient con Propiedad prohibida e con I cancelli della memoria, fonde musica e registrazioni sul campo in Rien ne va plus: andante, è già Aphex Twin in Nel cantiere di un’infanzia e Il mercato degli dei, tagliuzza e ricompone la realtà in Ethika fon Ethica, si concede un unico brano cantato, No U Turn, nel quale cerca di esorcizzare un’inquietudine che poco tempo prima lo aveva quasi condotto al suicidio. Più che un disco il testamento di una folle lucidità.
4“Pollution” (1973)
Ispirandosi a 1983… (A Merman I Should Turn to Be) di Jimi Hendrix, Battiato immagina un mondo nel quale l’inquinamento ha debellato la razza umana. Alcuni scappano nello spazio, altri si adattano a vivere negli oceani mutando in pesci. Pollution è il disco prog di Battiato, quello con una solida sezione ritmica, chitarre taglienti e psichedeliche e tastiere irreali che creano la colonna sonora di un incubo. Qui Battiato pare realmente un essere catapultato da altre dimensioni, ci sono voci, suoni e canzoni di cui si può dire tutto tranne che provengano da questa realtà. È un viaggio che da Il silenzio del rumore a Ti sei mai chiesto quale funzione hai? si fa drogato e straniante. Alla fine del disco Battiato piange su un brano di Bach rallentato e deformato dagli effetti. È terrore e puro delirio.
3“Fetus” (1972)
Nel 1972 Fetus è un fulmine a ciel sereno. E dire che roba particolare ce n’era molta in giro: sono i tempi del prog e di tanta musica fuori dagli schemi. Ma il primo disco di Battiato li batte tutti. Come dirà in seguito Julian Cope, Fetus è «an album beyond all definition», uno strano monolito che ha batterie elettroniche tempo prima che queste vengano utilizzate, bordate di sintetizzatori come mai se ne erano sentite prima, canzoni sghembe e illogiche ma nonostante ciò orecchiabilissime. È il viaggio-concept di un feto dal concepimento alla nascita, con puntate nello spazio e in dimensioni ultraterrene. Canzoni che sono un concentrato di prog, elettronica, dadaismo, formule scientifiche e allucinazione. Un universo di cose assurde in un assembramento miracoloso.
2“Genesi” (1987)
Erano anni che Franco Battiato parlava di mettere in scena un’opera lirica. Il tanto atteso giorno arriva il 26 aprile 1987 al Teatro Regio di Parma. Genesi tratta di un gruppo di messaggeri cosmici accorsi ad aiutare la razza umana in piena decadenza spirituale. Le loro gesta vengono narrate lungo tre atti che sono un vero diluvio di stili, suoni ed emozioni. Battiato crea un nuovo modo di intendere l’opera lirica, pesca a piene mani dal passato della classica e si spinge ancora più indietro a ere arcaiche, affrontando testi in sanscrito, persiano, indiano, greco e turco. Prende la musica popolare di quei luoghi e la immerge in un oceano di elettronica e campionamenti, alterna movimenti sinfonici, stasi ambient e passaggi melodici di pura bellezza, crea un ponte tra il suo lavoro degli anni ’70 e un futuro ancora da contemplare.
1“Sulle corde di Aries” (1973)
Battiato giunge al terzo album dopo gli splendidi deliri di Fetus e Pollution. Al culmine di un periodo tra i più difficili della sua esistenza (vedi quanto scritto per Clic) affina sempre più la pratica della meditazione e, di conseguenza, sente di avere bisogno di una musica che lo rinnovi, che sia terapeutica e lo mondi dalle scorie negative. Nasce così Sulle corde di Aries, il suo lavoro più profondo e luminoso degli anni ’70, nonché in assoluto uno dei suoi migliori album. Unendo strali di sintetizzatori immersi in un tessuto acustico di stampo mediterraneo fatto di mandole, tabla, vibrafoni, chitarre ed oboe, il disco fa già intravedere il Battiato che sarà, il suo misticismo, le visioni di Gurdjieff, la voglia di unire universi musicali disparati. Sequenze e frequenze, la suite che occupa l’intera prima facciata, è un sogno lungo 16 minuti che parte da ricordi di infanzia e poi si immerge in un mare acustico-elettronico nel quale purificare mente e corpo.