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Tutti i dischi dei Metallica, dal peggiore al migliore

In attesa di '72 Seasons', ecco la classifica degli album in studio pubblicati dai californiani. A causa della posizione di 'St. Anger' e 'Lulu' rispetto al 'Black Album', all'autore è stata assegnata una scorta

Foto: Fin Costello/Redferns

Quando si pensa a band storiche che dovrebbero ritirarsi dalle scene, uno dei primi nomi che viene in mente è quello dei Metallica, che si ostinano a pubblicare nuovo materiale e a rendersi spesso ridicoli dal vivo con cose tipo questa. Ma come dice Lars Ulrich, le critiche non lo smuovono più e non ha nulla da dimostrare. Come dargli torto. I Metallica hanno fatto la storia del rock e ispirato tantissimi kids quando negli anni ’80 erano il thrash metal fattosi carne. Arrivati quasi al traguardo del dodicesimo disco, 72 Seasons, cerchiamo di fare il punto nella storia della loro discografia dal disco peggiore al migliore (secondo metri del tutto personali) per capire se i Metallica ci sono o ci fanno.

11

Reload

1997

Quando i Metallica arrivano a Reload sono i fantasmi di loro stessi. Approdati praticamente al pop alternativo col precedente Load, hanno un bel po’ di canzoni in più e meditano di pubblicare un doppio. Fortunatamente ci ripensano e lasciano il resto delle canzoni a Reload. Che, diciamolo, li vede ancora una volta leggeri come una piuma, nella scia del precedente album. I brani rasentano il riempitivo ad eccezione di The Memory Remains che forse qualcosa ancora ci regala (il feat di Marianne Faithfull), peccato che James Hetfield canti come un babbuino cercando un’aggressività oramai scomparsa. La batteria è inascoltabile, la produzione a cura del solito Bob Rock tende a snaturare sempre più la band in cerca di buone posizioni in classifica e i Metallica accettano scelte discutibilissime per carenza di idee e focus. Sarà anche per questo motivo l’ultimo disco con Jason Newsted in formazione. Se vogliamo trovargli un lato interessante, potremmo dire che è l’album più blues dei Metallica. Avrebbero potuto approfondire questo aspetto invece di tentare di fare i “duri col conto in banca”.

10

Death Magnetic

2008

Arriva dopo cinque anni di riflessione dovuti alla “rivolta” dei fan seguita alla pubblicazione di St. Anger. Disco, quest’ ultimo, che ha fatto incazzareanche più della svolta indie di Load. Viene fatta una petizione per cacciare Bob Rock dalla mixing board, reo di aver rovinato l’anima metallara del gruppo. Cosa vera in parte, poiché la realtà è che i veri Metallica non torneranno più. Però Death Magnetic è, se non un ritorno alla forma, un tentativo di guardarsi dentro e tornare alle radici thrash. Da questo punto di vista e forti anche della presenza in studio di Rick Rubin (che forse si sarà comportato come farà per Jovanotti più avanti, tentando di salvare l’insalvabile) e per la prima volta di Robert Trujillo al basso, i Metallica ritrovano un minimo di spirito. Per quanto riguarda il sound però, mica tanto. Non perché non ci siano i presupposti, ma perché il mastering strizza l’ occhio – ancora una volta – alle tendenze commerciali, risultando privo di dinamiche: tutto impatto, lanciato direttamente nella loudness war delle compressioni senza senso. Non essendo i Metallica Britney Spears, né tanto meno un gruppo harsh noise, il suono va a volte addirittura in overdrive, rendendo tutto… sì, una merda. Questo a discapito di un materiale che potrebbe avere delle chance, anche se è chiara la forzatura che il gruppo si impone nel tornare a quando erano giovani, nei primi anni ’80, creando testi piuttosto cringe adatti a un dodicenne e non a una rockstar matura. Un esercizio di stile che diventa, ahimè, promessa mancata. Ma rispetto ad altre infelici prove è già qualcosa.

9

Hardwired… To Self-Destruct

2016

Alla fine, quando ogni speranza sembra vana, arriva un album doppio che in qualche modo lascia aperto uno spiraglio. Di certo se dovessimo giudicare il libro dalla copertina potremmo esclamare che è una vera cagata. Ma orrore grafico a parte – altra caratteristica che oramai i Metallica si portano appresso con inquietante naturalezza – il disco sembra un ritorno alla forma. Il sentiero battuto è quello di Death Magnetic, ma stavolta non ci sono troppe forzature, la cattiveria o come minimo l’angst è quella consona a gente della loro età e storia. Quello che non va è l’eccessiva durata dei pezzi e l’assenza di una scrematura che lascia che i brani buoni (quelli del primo disco) vengano confusi con i riempitivi (tutti bene o male nel secondo). Se l’album fosse durato quanto i loro classici potremmo gridare quasi al miracolo. Certo, è roba che non è in linea col nuovo thrash di casa Obscene Extreme Festival, ma almeno consente di essere ottimisti per il futuro.

8

Load

1996

Load è il disco che i Metallica forse non avrebbero mai dovuto fare e invece, cosa drammatica, hanno fatto. Ispirati per loro stessa ammissione più dagli Oasis che dal metal, più dall’indie rock tutto smalti alle unghie, trucco e capelli corti che dall’hardcore fatto di borchie e capelli lunghi, i Metallica pubblicano una roba ibrida che finisce per essere quasi il disco di un’altra band. Stupisce il fatto che, una volta settati gli standard diciamo commerciali del metal con il Black Album, siano stati surclassati addirittura da gente come i Therapy?, che con Troublegum avevano dato un colpo al cerchio e uno alla botte trovando una formula alla quale forse il gruppo americano avrebbe potuto agganciarsi. Invece no, la bilancia dell’ispirazione “alternativa” pende più dalle parti di Avril Lavigne che dei Primus, col risultato che tutta la possibile cattiveria risulta patinata e da top 10. Il cambiamento è d’altronde già evidente dalla copertina: inaspettatamente ci sono un nuovo, bruttissimo logo e una foto tratta da un’opera d’arte altrettanto brutta di Andres Serrano (sperma umano e sangue bovino? Almeno il disco suonasse come i Godflesh, ma manco quello). Il pregio di Load – e il motivo per cui non è a fondo classifica – è però quello di vedere dei Metallica che cercano nuove strade, che escono dal metal tentando di colorare di più il proprio stile. Pazienza se questo sia proprio, paradossalmente, il difetto del disco, da qualche porta dovevano pur uscire per non restare soffocati da se stessi.

7

Metallica

1991

Per molti – vedi i ricordi personali, vedi anche il periodo storico dell’uscita in cui finalmente il metal viene sdoganato e considerato dal mainstream – il Black Album è qualcosa di intoccabile. Gli adolescenti ne rimasero folgorati, chi invece aveva assaporato Master of Puppets come una calamorosa epifania non poteva non essere perplesso. Il Black Album è senza dubbio l’addio dei Metallica all’underground, una tacita adesione a più remunerative tamarrate, è la costruzione di un thrash metal per tutti, dal volto umano, con il risultato paradossale di rendere umano Bon Jovi. Ma cosa possiamo dire di male di un disco i cui pezzi ancora circolano in ogni circuito di massa? Basti pensare al recente inserimento di Nothing Else Matters nella serie Wednesday per capire che il Black Album non lo possiamo cassare così facilmente. Per il sottoscritto rappresenta – detto in maniera schietta – la fine dei Metallica e l’inizio della generazione di rincoglioniti da MTV, ma è senza dubbio una raccolta di buone canzoni. Seperò cerchiamo qualcosa di estremo, eccitante, diverso, siamo proprio fuori strada. E anche i Metallica in fondo lo sapevano, sprofondando presto in una crisi d’identità tale da doversi portare lo psichiatra tutti i giorni in studio di registrazione.

6

St. Anger

2003

Ed eccolo qui, il disco più odiato dei Metallica, lo spauracchio della loro crisi creativa, il feticcio a cui dare fuoco per purificare una scena – quella metal – che aveva bisogno di un sacrificio in quanto anche lei a corto di fiato. St. Anger viene dipinto come un disastro, e se in parte è vero, almeno è un disastro genuino. I Metallica devono rinascere da una serie di riabilitazioni da droga e alcol e il disco è appunto il vagito di un neonato sporco di sangue e placenta, rugoso tanto da sembrare un vecchio, che urla il suo diritto a vivere. Vedere il correlato documentario capolavoro Some Kind of Monster chiarisce molto le idee sulla situazione tesissima all’interno del gruppo, al limite della psicosi, e un Bob Rock ridotto a bassista che non riesce manco più a fare il produttore. Lascia ad esempio che la batteria sia settata in solo 15 minuti dando retta a un Ulrich oramai in delirio di onnipotenza. Il famoso suono di pentolame che viene dalla batteria di Ulrich, avvezzo a usare piatti rotti, rullanti senza corde e altre lamiere varie, e che ha disgustato i fan è forse però l’ ultimo dei problemi. St. Anger è infatti un tentativo estremo dei Metallica di svecchiarsi, di stare al passo col nu metal e l’industrial metal, di sperimentare provando addirittura a creare un genere nuovo, dal nulla. Ovvio che abbiano peccato di hybris, ma St. Anger – che faccia schifo o meno – è il suono di una gabbia dorata che si tenta in tutti i modi di insudiciare per ritornare puri: almeno diamogliene atto.

5

Lulu (con Lou Reed)

2011

Altro disco che appena uscito scandalizzò tutti, Lulu appartiene alla categoria di album nati per provocare. O almeno, questo lo sapeva Lou Reed il quale pensava Lulu come una specie di Metal Machine Music del futuro. Una roba inascoltabile, una decadenza addirittura da poseur, uno schifo stravoluto che è comunque in linea – ad esempio – con l’opera omonima di Berg, che chi conosce sa è tempestata di omicidi, suicidi, orrori, follie amorose, isterismi, morte, autodistruzione e ovviamente la dodecafonia che fa esplodere il cervello già dalla prima nota e rende impossibile qualsiasi gradimento immediato. Quindi tutto sommato la cosa è coerente, funziona, mena forte. Ai Metallica questo sfugge. Nel senso che loro ce la mettono davvero tutta per fare una base musicale all’altezza e invece si ritrovano come cavie nelle mani di Lou Reed, producendo della roba completamente priva di senso. Proprio per questo Lulu merita di stare nelle migliori prove dei Metallica, perché finalmente non sanno quello che stanno facendo: e lo fanno fin troppo bene.

4

...And Justice for All

1988

And Justice è un altro di quei dischi sofferti, di passaggio, che risente del peso della morte del grande Cliff Burton. Ricominciare è doveroso quanto doloroso, c’è un nuovo bassista, l’essenziale Jason Newsted, ma forse inconsciamente lasciare che si senta il suo strumento nell’album per ora sembra un insulto all’inarrivabile e ovviamente insostituibile Burton. Il povero Newsted deve accollarsi questa arbitraria presa a male nonostante cerchi di dare tutto, situazione che rivela un problema di salute mentale nei suoi bandmates. Nonostante sia un disco francamente rovinato, And Justice è l’ultimo grande album dei Metallica classici, quelli che riescono anche a filtrare con un pubblico più vasto senza svendersi (il successo di One parla chiaro). Cosa che con l’album nero sarà un ricordo.

3

Ride the Lightning

1984

Il secondo album dei Metallica è da mettere nella categoria dei dischi della crescita, quelli dove c’è il grande Cliff Burton e aleggia ancora il fantasma di Dave Mustaine, qui accreditato in due brani micidiali. In poche parole, un discone. Si alza il budget per registrarlo, ma soprattutto si migliora il metodo di composizione. Burton mette tutti sotto a studiare armonia – perché sì, ok il fragore. però le canzoni sono canzoni – con il risultato che vengono introdotte addirittura le chitarre acustiche, ci si focalizza sui momenti strumentali e insomma i Metallica diventano maturi, quasi sinfonici. Nei testi c’è un filo conduttore che è invettiva al potere con temi forti come la pena di morte, la guerra, il suicidio, coi quali i Metallica si fanno portavoce critici della loro generazione. E per questo, Ride è probabilmente il disco più aperto, quello che tende una mano al successo popolare, che vuole arrivare a tutti e fondamentalmente ce la fa. Ma il popolo è una cosa e la massa è ahimè un’altra.

2

Kill 'Em All

1983

L’album di debutto dei Metallica è pura potenza, innovazione, quello che ti aspetti da dei giovani che hanno la loro cosa da dire, non quella di altri. La storicizzazione di uno stile che si fa velocità percussiva, shredding, vocalità abbaiate, ribaltamento dei canoni della NWOBHM, ma anche grande virtuosismo in un caos organizzato: il thrash metal ha trovato i suoi paladini, con testi dotati di street credibility tra violenza, guerra e ribellione, in contrasto con il glam metal, all’epoca accusato di essere commerciale. Di certo non avrebbero mai pensato di passare dall’altra parte della barricata, così come non avremmo noi mai pensato che Mustaine, cacciato prima di registrare e qui presente come co-autore in quattro brani su dieci, potesse fondare i Megadeth e che Cliff Burton potesse fare cose clamorose come (Anesthesia) Pulling Teeth lasciando un segno perenne e indistruttibile nell’anima del gruppo. Disco imprescindibile.

1

Master of Puppets

1986

La prima volta che misi Master sul piatto si aprì una voragine nella mente: era una roba che ti sparava nel futuro, era quello che avresti voluto da sempre sentire e quello che non avresti mai voluto ammettere di volere. Un disco sul quale dire una parola in più è superfluo: assoluto capolavoro, in cui non c’è una cosa fuori posto, con la title track epica e fragile allo stesso tempo, la furia di Battery che anticipa in certi riff il noise rock estremo stile Zeni Geva, il gioiello compositivo di Burton Orion, che sembra nato dalla penna di Bach, i testi che tra droga, malattia mentale e potere sono tra i più politici della loro storia. I ragazzi sono concentratissimi e addirittura vanno a registrare sobri. Risultato, il primo disco metal patrimonio del National Recording Registry americano. E incredibilmente, nel momento in cui la luce sembra brillare inarrestabile, la tragedia della morte di Burton spegne probabilmente per sempre la fiamma dei sopravvissuti. A cui va però dato atto di essere cocciuti, di aver comunque provato ad affrontare il futuro. Probabilmente non ci sono ancora riusciti, ma ogni loro nuovo disco schizza ai primi posti in classifica, segno che chi li disprezza è il primo che li compra. Tranquilli, c’è ancora vita oltre i Metallica.

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