La canzone d’autore ha raccontato Venezia in tanti modi. Francesco Guccini dice che è un sogno che puoi comperare, come i gadget di plastica che vendono nei negozi per turisti. Franco Battiato l’ha mischiata con D’Annunzio e Socrate, Paolo Conte vi ritrae una coppia che si scatta fotografie in Piazza San Marco. Se De Gregori immagina operai in gondola, Ivano Fossati vi ambienta una scena di seduzione.
“Com’è triste Venezia” (1965) Charles Aznavour
“Com’è triste Venezia soltanto un anno dopo”. Senza la donna amata, la città è desolante. Non ti resta che vagare come uno spettro sotto lo sguardo di gondolieri e gabbiani. Nemmeno l’ironia funziona: è troppo triste Venezia se non si ama più. La versione originale era in francese, Aznavour l’ha cantata anche in inglese, spagnolo e tedesco. Giusto: Venezia è una città turistica.
“Tua cugina prima (Tutti a Venezia)” (1974) Paolo Conte
Paolo Conte usa un liscio – un liscio spudoratissimo – per raccontare di una coppia che si scatta una foto in Piazza San Marco, “col colombo in man”, per far arrabbiare la cugina che si vantava d’essere stata a Venezia prima di loro. Sono vendicativi e piccolo borghesi, ma hanno ragione: quell’antipatica della cugina “tutto il viaggio raccontò, quando descrisse anche il bidet ci siam sentiti come due pezzi da piè”. Una Instagram story novecentesca.
“Venezia-Istanbul” (1980) Franco Battiato
Che bella macedonia. C’è Venezia, che “mi ricorda istintivamente Istanbul, stessi palazzi addosso al mare, rossi tramonti che si perdono nel nulla”. E poi D’Annunzio che monta a cavallo con fanatismo futurista, la cronaca di una partita di calcio alla radio, Socrate che parla delle gioie dell’amore e gli studenti che gli offrono il corpo, giù giù fino al secco finale: “E perché il sol dell’avvenire splenda ancora sulla terra, facciamo un po’ di largo con un’altra guerra”. Di che cosa parla la canzone? Forse del cambiamento della società, forse dell’evoluzione della morale, forse di un’Italia che non c’è più, forse del Novecento. Ma c’è davvero bisogno di saperlo per amarla?
“J’adore Venise” (1980) Ivano Fossati
Una specie di piccolo trattato erotico: tre doppi whisky, una calza di seta sull’abat-jour, una musica lenta. E una frase esatta: “I motivi di un uomo non sono belli da verificare”. L’hanno cantata anche Enrico Ruggeri e Loredana Berté. Quest’ultima versione accompagna una scena di Chiamami col tuo nome di Luca Guadagnino.
“Venezia” (1981) Francesco Guccini
È una delle canzoni più tristi che possiate ascoltare. C’è Stefania che muore di parto in un letto sudato d’un grande ospedale sullo sfondo della città che è sì un sogno, ma di quelli di plastica, “di quelli che puoi comperare”. E che finale amaro: il lavoro del figlio di Stefania sarà vendere Venezia ai turisti e noialtri un giorno “saremo contenti di esserne solo lontani parenti”. L’autore è Gian Piero Alloisio.
“Miracolo a Venezia” (1985) Francesco De Gregori
Nel 1951 Vittorio De Sica immagina per il film Miracolo a Milano un finale fantastico in cui i barboni volano sopra Piazza Duomo a cavallo di scope. Nel 1985 Francesco De Gregori chiude l’album Scacchi e tarocchi con l’immagine degli operai che navigano sulle gondole che non si possono permettere. Un altro miracolo. «È una canzone sulla centralità operaia e sul cinema», ha detto De Gregori. «È un disegno di Buzzati, è una vecchia foto, è un simbolo dello scontento, di qualcosa che muore».
“Pin Floi” (1991) Pitura Freska
I Pin Floi sono naturalmente i Pink Floyd che nel 1989 tengono un concerto storico e controverso di fronte a San Marco. I Pitura Freska, che sono di Venezia, descrivono l’esperienza con tono comico, fra calca, scoppiati e tanta, ma tanta figa. “Persi par persi, ndemo a consolarse, ndemo al Paradiso a inbriagarse”.
“Nelle paludi di Venezia Francesco si fermò per pregare e tutto tacque” (2000) Angelo Branduardi
Nel disco in cui Angelo Branduardi racconta la storia di Francesco d’Assisi, a un certo punto il futuro santo, in compagnia di un altro frate, si ferma nelle paludi di Venezia di ritorno dall’Oriente. Gli uccelli cantano, Francesco chiede loro di tacere. “Ed il silenzio sulle paludi calò e nessuno più cantò sinché Francesco smise di pregare e se ne andò”. La canzone è stata rifatta da Teresa Salgueiro dei Madredeus.
“La bellezza” (2002) Roberto Vecchioni
“Venezia inverosimile più di ogni altra città”, canta Roberto Vecchioni in una canzone ispirata a La morte a Venezia di Thomas Mann. Gustav, che ha cinquant’anni e si descrive come un vecchio senza dignità, scende in un hotel del Lido e s’infatua del quattordicenne Tadzio. Non può né sedurlo, né comprarlo e allora se ne sta lì a contemplare quell’amore impossibile: “Venezia in questa luce del lido prima del tramonto ha la forma del tuo corpo che mi ruba lo sfondo, la tua leggerezza danzante come al centro del tempo e dell’eternità”.
“O Venezia che sei la più bella” (2002) Francesco De Gregori e Giovanna Marini
Un po’ di storia. Inclusa nel disco in cui De Gregori recuperava con Giovanna Marini una parte del patrimonio della canzone popolare italiana, titolato Il fischio del vapore, la canzone racconta delle sollevazioni popolari nel 1848, della proclamazione della Repubblica di San Marco e del ritorno l’anno dopo degli austriaci. “Vedevo il sangue, scorreva per terra e i feriti sul campo di guerra e tutto il popolo gridava pietà”. Venezia è nella volontà del narratore una donna che si sposa con un pezzo d’Italia: “O Venezia ti vuoi maritare, ma per marito ti daremo Ancona e per corredo le chiavi di Roma e per anello le onde del mar”.