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Viaggio nei lati B di ‘Achtung Baby’, il disco che ha preso a martellate il mito degli U2

Usciva 30 anni fa un album fondamentale, il primo di una trilogia “weird” che ha rivoluzionato suoni e temi della band. Scopriamo come e perché attraverso alcuni brani esclusi dalla tracklist del '91
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Foto: Birmingham Post and Mail Archive/Mirrorpix/Mirrorpix via Getty Images

“Tutto quello che sai è sbagliato” era uno degli slogan che campeggiavano sugli schermi dello Zoo TV Tour degli U2. Erano i primi anni ’90 e la band irlandese si toglieva l’aureola dalla testa per trasformarsi in una specie di parodia nichilista e grottesca del lifestyle delle rockstar e dei suoi fan, schiavi del consumismo legato al culto della personalità.

Achtung Baby fu uno strappo vistoso nella storia del gruppo. La distorsione industrial, il disagio, l’andazzo drogato, l’incoerenza, la violenza “romantica”, la critica sociale e soprattutto l’autoanalisi spietata sostituirono i vecchi U2. Nacque così il suono di chi ha «abbattuto il Joshua Tree», come disse Bono.

L’album è solo l’inizio di una trilogia notevolissima per il coraggio di prendere a martellate il mito U2. Registrato in parte a Berlino, negli studi Hansa dove Bowie aveva inciso Heroes, è influenzato dal Muro appena abbattuto. Il cambiamento epocale rivoluziona anche il modus operandi della band. Achtung anticipa altri due capisaldi degli U2 “weird”, ovvero Zooropa e Pop, sempre sulla linea di una bizzarria musicale, tecnica e tematica notevole, che raggiunto il limite poi si arrotolerà su se stessa producendo prove più classiche e a dire il vero un po’ pacchiane, perché – diciamolo – non puoi fare il diciottenne in eterno.

Oggi però è il trentennale di Achtung Baby e gli U2 sono pronti a celebrarlo con un’edizione deluxe nuova di zecca che doppia quella già uscita nel 2011: al suo interno molti remix, versioni inedite e soprattutto i lati B e le demo, che già nell’edizione del ventennale fornivano una sorta di versione alternativa dell’album, visto il sostanzioso numero delle tracce. Vediamole insieme per capire meglio la genesi di un disco simbolo degli anni ’90 che sembra essere invecchiato bene, anche e soprattutto a giudicare da questi brani “minori” che rivelano un notevole work in progress creativo.

“Lady with the Spinning Head”

È uno dei brani più travagliati del nuovo corso degli U2, che non riuscirono mai a dargli una forma soddisfacente. Alla fine dopo diverse session di registrazione, decisero di relegare il brano al lato B di One. Questo non significa che il pezzo non germoglierà poi in qualcosa di egregio: molti dei suoi elementi finiranno a comporre ben tre brani di Achtung, cioè Until the End of the World, Ultraviolet e Zoo Station, oltre al finale epico e “cinematografico” che ricorda la tensione di Thrill Me, Kiss Me, Kill Me. Anche se la cosa più evidente è il riff di chitarra finito poi su The Fly, che riascoltato qui dà l’idea di un collegamento quasi da concept album tra i brani, nei quali un tema si ripropone in contesti distanti tra loro, suggestione presto abbandonata. Complessivamente il pezzo sembra strizzare l’occhio al Brit pop più “beatlesiano”, chiaramente sporcato di macchie “industriali” come da estetica del disco e come si respirava nella scena alternative d’epoca (Jesus Jones). Un esperimento interessante che mostra una band impegnata nell’impresa di trovare un suono nuovo che la possa traghettare il più possibile lontano dal passato: si sente l’entusiasmo di questa scoperta, seppur in una forma acerba.

“Blow Your House Down”

Forse non è del tutto corretto parlare di lato B, in quanto nella deluxe editon del 2011 fu scelto come singolo di traino dell’operazione. All’epoca era un succoso inedito la cui genesi veniva addirittura dalle session di Rattle and Hum. Recuperata e ri-registrata nel 1991, pare che venne ulteriormente modificata con parti vocali di Bono sovraincise direttamente nel 2011. Il pezzo è un roccioso rock’n’roll che ancora una volta richiama lo spettro dei Beatles e degli anni ’60 di Roy Orbison. Le trame chitarristiche di The Edge si spostano però su binari dream pop, a volte ricordando con la slide i migliori momenti psych dei Pink Floyd, che aleggiano anche nell’ultimo ritornello. A occhio e croce è la Rain degli U2.

“Salomé”

Il lato B di Even Better Than the Real Thing è ancora una volta un rock classico vestito con panni “giovani e alternativi”: non stupisce che fosse il pezzo degli U2 preferito da Robert Plant, poiché sembra davvero un omaggio al suo modo di cantare in stile Zeppelin. Stranito da un effetto alla voce di Bono che a un certo punto va per la tangente con un pitch modulato, il brano possiede un testo che potrebbe essere autobiografico, dato che sviscera in maniera metaforica la crisi di coppia che il frontman – e non solo lui ma praticamente tutta la band – stava vivendo. Il titolo del brano sarà usato per nominare un bootleg uscito anzitempo in cui appariranno outtake e provini di Achtung Baby, che la leggenda vuole siano stati presi da un cestino della spazzatura nell’hotel di Berlino dove essi soggiornavano: la realtà è che a Berlino i nostri svilupparono ben poca cosa, tanto che si trasferiranno presto a Dublino per recuperare il tempo perduto. Ad ogni modo l’incidente creerà grossi malumori nella band, ma nello stesso tempo ne motiverà le scelte stilistiche estreme, visto che i pezzi non avevano ancora una forma definita ed erano a tutti gli effetti solo abbozzi.

“Heaven and Hell”

Un lentone che usa il giro armonico finale di Perfect Day di Lou Reed per un brano in cui ancora una volta Bono confessa alla partner di turno che il loro rapporto è compromesso, in quanto lei è “inferno e paradiso” quindi implicitamente ammette di trovarsi in un pericolosissimo limbo. Si nota ancora di più che nel periodo di lavorazione di Achtung Baby c’era il desiderio di tornare alle più veraci radici del rock, poi regolarmente trattato con effettistica, feedback e altro fino a trasformare il tutto in una specie di psicodramma sonico, come se tutti i fantasmi del rock uscissero contemporaneamente dalle tombe per dare vita a un capolavoro di decadenza. La cosa curiosa è che il nome del pezzo è mutuato dal titolo della versione bootleggata dei ’90 e non viceversa, forse primo caso in cui i ladri di musica diventano – anche se in minima parte – loro stessi beffati e coautori non accreditati.

“Oh Berlin”

Ode alla forza primordiale di Berlino, ai suoi lati più insondabili e alla sua potente influenza creativa, prevede un uso di chitarre in cui si riascolta il vecchio The Edge, quello con il delay facile e il suono cristallino. Anche qui la voce di Bono è stata sovraincisa nel 2011 – insieme con alcune parti di tastiera –, quindi è lecito pensare che il testo sia una specie di retrospettiva sul percorso di registrazione dell’album che non manca di colorarsi di esistenzialismo. Essenzialmente basato su uno spoken word di Bono sulla base realizzata nel 1991 e quindi formalmente completata, ha un ritornello che però potrebbe competere con le migliori canzoni della band, roba che ti entra in testa e non se ne va più. Da segnalare un grande lavoro alla batteria di Larry Mullen, che pesta come un fabbro su delle incudini roventi.

“Near the Island”

Brano strumentale pianoforte e chitarra, che potrebbe ricordare nella sua progressione melanconica il Bowie berlinese, è atipica tra le demo del periodo in quanto non c’è traccia di alterazioni sonore. Il pezzo, infatti, ha un andazzo quasi ambient che molto ha – ovviamente – a che vedere con l’Eno più “discreto” (ricordiamo che l’artista inglese insieme a Lanois è l’artefice del sound del disco, che si muove però su territori diametralmente opposti). Un bozzetto comunque delizioso, che è una sintesi perfetta della malinconica atmosfera berlinese che circondava i nostri: sembra quasi di respirarne le nebbie.

“Down All the Days”

Tutti ricordano Numb, il singolo tratto da quello che sarà il disco successivo ad Achtung Baby, ovvero Zooropa. Singolo controverso in quanto a cantare era The Edge, ma più che avere una linea melodica il pezzo prevedeva un salmodiare alienato, descrizione perfetta dell’ottundimento da esposizione al tubo catodico. Ebbene, pochissimi invece sanno che la prima versione di Numb viene direttamente dalle session di Achtung Baby, quando aveva il titolo Down All the Days. Ed è stupefacente perché, a parte la base che rimane sempre quella caratterizzata da una chitarra pesantemente trattata con il flanger, si tratta di una canzone completamente diversa, dove Bono con il testo e la voce sembra ritornare al periodo “mistico” di The Joshua Tree, con la complicità del produttore Daniel Lanois che ancora non aveva bene in mente come armonizzare il passato della band con il nuovo corso. Gli U2 si resero presto conto che il pezzo poteva prendere altre direzioni, soprattutto quando The Edge se ne uscì con il testo di Numb. Non avendo tempo per andare in studio a farne una canzone nuova, decisero di riciclare la base di Down All the Days ottenendo forse il brano più estremo del loro repertorio. Ma non fu solo la base ad essere “ripescata”: è successo anche con la melodia vocale di Bono, che possiamo riascoltare riveduta e corretta nel ritornello di Lemon, sempre su Zooropa.

“Alex Descends into Hell for a Bottle of Milk / Korova 1”

Lato B di The Fly, il pezzo è un semi-strumentale che già dal titolo omaggia Arancia meccanica di Kubrick. E ovviamente anche la colonna sonora di Walter/Wendy Carlos, di cui riprende lo spirito dell’unico brano originale, ovvero Timesteps. Originariamente scritto e pensato dalla premiata ditta Bono/Edge per la versione teatrale di Arancia meccanica della Royal Shakespeare Company, è l’unico documento sonoro esistente dell’intera operazione. E risulta molto interessante, con una linea vocale in falsetto che canta (in latino) del giorno del giudizio e parti di elettronica che sfiorano leggermente la superficie dell’IDM grattando invece nel fondo degli Happy Mondays. Ascoltandolo accoppiato con The Fly è un perfetto spaccato dell’inferno che gli U2 stanno cercando di evocare in terra tramite personaggi “negativi” che lo esorcizzino definitivamente.

“Where Did It All Go Wrong?”

Lato B di Even Better Than the Real Thing, prosegue la scia del sovvertimento dei canoni del rock’n’roll usandoli pari pari ma caricandone il senso fino a farli scoppiare. Le chitarre di The Edge sferragliano, la ritmica di Larry Mullen e Adam Clayton non cede di un millimetro e Bono serve su un piatto d’argento una grande melodia che ci riporta addirittura ai Kinks (come dimostra anche lo stacco al minuto 2:13, dove si respirano anche polveri sottili di glam rock). Avrebbe potuto essere più potente se rivisto in studio, ma paradossalmente manca di mordente solo per il fatto che è composto prevalentemente in maggiore, cosa che cozza con il resto dell’album (particolarmente scuro) e che mantiene ancora un piede nella scarpa dei classici U2, quelli di Gloria per intenderci. Nonostante ciò rimane uno dei migliori numeri della band, anche per il testo autocritico che potrebbe essere visto come una confessione sulla fama e che probabilmente è stato l’inizio di tutto il progetto (ma nulla ci vieta di pensare che sia anche una frecciatina alle loro vicissitudini sentimentali).

Gli U2 con Achtung Baby hanno dimostrato che anche la band più sclerotizzata sulle sue convinzioni può dare una sterzata netta e che a volte anche le idee più ingenue – anzi soprattutto quelle – possono trasformarsi in assoluti capolavori. Checché se ne dica, nonostante le critiche e le antipatie che spesso attirano, gli U2 sono come il maiale: a volte disgustano, a volte spaventano, ma alla fine di loro non si butta mai niente. E come dice The Fly, “it’s no secret at all”.

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